(GLIEROIDELCALCIO.COM di Andrea Gioia)
Di giocatori speciali l’Italia ne ha avuti tanti.
Talenti di ogni tipo, stilisticamente perfetti o atleticamente prestanti.
Sebbene il nostro calcio sia stato sempre considerato un calcio difensivo, patria di quel catenaccio conosciuto anche oltre i confini nazionali, in Italia si sono avvicendati campioni famosi per le loro doti di fantasia e tecnica.
Meazza fu il primo grande calciatore, Mazzola padre ne raccolse la pesante eredità.
Dopo ci fu lui, il Golden Boy Gianni Rivera.
Un giocatore particolare, precoce, all’apparenza fragile ma molto concreto.
Il primo Pallone d’Oro del calcio italiano (escludendo i trofei vinti dagli oriundi, di moda prevalentemente negli anni ’60).
Un esordio precoce in Serie A, nel 1959, con la maglia dell’Alessandria; si sapeva fosse un predestinato, lo aveva capito anche il bomber Piola che ne aveva tessuto le qualità incredibilmente superiori alla media.
Nel 1960 il passaggio al Milan e la nascita di un amore che durerà 501 partite nella massima serie.
Un percorso lungo 19 anni, fatto di vittorie, delusioni, scontri con la classe arbitrale, partite memorabili e altre non raccomandabili.
Schiaffino, il grande talento dell’Uruguay che sul finire degli anni ’50 guidava i rossoneri, venne incaricato di visionarlo e di decidere se fosse meritevole di attenzioni oppure no. Naturalmente il parere fu favorevole, anche se il presidente Rizzoli ebbe a dire: “Ho speso un sacco di soldi per acquistare un ragazzino di cui sconosco persino il nome”.
Esordì in campionato il 25 Settembre del 1960, giocando contro il Catania nell’insolita posizione di ala destra. E dire che quell’amore tra quel giovane timido e quella casacca così gloriosa stava per essere interrotto proprio dal futuro mentore del campione alessandrino.
Il duro Nereo Rocco non lo voleva in squadra con lui, lo considerava ancora troppo fragile. Preferiva fargli fare le ossa altrove.
Ma Rizzoli si oppose e l’amore calcistico sbocciò.
Quel ragazzino fragile, che voleva diventare come Di Stefano (da un’intervista a “Il Calcio Illustrato” del 1962), iniziò a raggiungere un alto livello qualitativo soprattutto nella stagione della prima Coppa dei Campioni vinta da una squadra italiana.
Nel 1963 fu uno dei protagonisti della finale vinta contro il Benfica di Eusebio e, sfortunatamente, venne battuto soltanto dal portiere Jasin nella corsa al Pallone d’Oro: aveva soltanto 20 anni.
Una maturità conquistata sul campo, un passaggio da Abatino (nomignolo affibbiatogli a inizio carriera) a Golden Boy in meno di un decennio.
Gianni Rivera, durante quei mitici anni ’60, conquisterà soltanto due Scudetti ma altrettante Coppe dei Campioni; oscurerà un giovane Johan Cruijff nella finale della massima competizione europea del 1969, fornendo due assist perfetti a Pierino Prati: un tacco illuminante e un cross calibrato.
Alla fine della stagione arriva il Pallone d’Oro, conquistato con quattro punti di vantaggio su Rombo di Tuono
Il Corriere Sportivo titolò: “Rivera miglior calciatore europeo ’69. Il secondo è Riva: un trionfo italiano”.
Quel 13 Maggio del 1979 l’ultima partita in campionato contro la Lazio, alla fine di un decennio pieno di contraddizioni e tensioni. Rivera conquisterà lo Scudetto della stella quell’anno, ma quell’incontro passerà alla storia come l’addio non annunciato di un campione assoluto che ha scritto la storia del Milan per un ventennio.
Quello ufficiale arriverà alla fine di un tour estivo, con il significativo titolo della Gazzetta dello Sport che sottolineava l’importanza del momento: “Rivera non gioca più”.
Rimane un campione che ha saputo affrontare la prima “Fatal Verona” del 1973, la finale insanguinata di Coppa Intercontinentale del 1969 e l’umiliazione calcistica dei ‘6 minuti della finale di Messico ’70…. sempre a testa alta.