GLIEROIDELCALCIO.COM (Marvin Trinca) – Messico 1970, semifinale dei mondiali, l’Italia è ferma sul 3-3 contro la Germania del kaiser Franz Beckenbauer, sta per mettere a segno il gol deciso Gianni Rivera il Golden Boy del calcio italiano. Questa è una fotografia dal sapore leggendario per i tifosi italiani. La storia di Gianni Rivera, giocatore simbolo per due decadi del calcio italiano e del Milan comincia dal cortile dell’Oratorio dei Salesiani, dove sboccia il suo talento, incoraggiato dal padre; gioca il suo primo torneo a dodici anni. È un prodigio questo ragazzo e agli osservatori dell’Alessandria Calcio questa cosa non sfugge.
Così, la carriera dell’Abatino parte dalla squadra della sua città natia, dove esordisce in serie A non ancora sedicenne, dimostrando di avere la tempra giusta per reggere un campionato difficile come quello italiano. Il Milan è fortemente interessato al ragazzo, tanto che nel 1960, dopo solo due stagioni, viene acquistato dai rossoneri e comincia la lunga carriera che lo vedrà perno assoluto della squadra fino al 1979. Alla guida della squadra meneghina c’era il Paron Nereo Rocco, autentica leggenda del nostro calcio, grande tattico dai metodi diciamo non molto fini, che sarà fondamentale per la sua crescita tecnica. Sotto la sua guida, Rivera, diventa un regista con un cervello da matematico che sfodera lanci che assomigliano a pennellate degne di un grande d’artista riuscendo a mandare sempre in rete i suoi attaccanti. Lo stesso Rivera, ai funerali di Rocco nel 1979, porterà il feretro del suo vecchio mister da lui considerato come un secondo padre.
La visione di gioco di Rivera era una vera mannaia per i difensori avversari, aveva un tocco di palla cristallino, il suo dribbling era morbido e leggero. Con il Milan vinse tre campionati, quattro Coppe Italia, due Coppe dei Campioni, due Coppe delle Coppe e una Coppa Intercontinentale. Come Maldini padre, Maldini figlio e Baresi, nel corso della sua lunga militanza rossonera, Rivera, divenne un’icona, un simbolo che andava ben oltre il mero ruolo del capitano e che riusciva personificare il Milan con la sua persona, una frase tipo del tempo era: “Il Milan di Rivera”. Per il popolo rossonero, l’aurea di Rivera, anche dopo il suo ritiro assunse contorni sacrali, come testimoniano alcune citazioni cinematografiche: in Il padre di famiglia (Nanni Loy, 1967) l’effige di Rivera sostituisce sul letto il quadro sacro nella stanza di uno dei figli del protagonista; in Eccezzziunale veramente (Carlo Vanzina 1982), il protagonista Donato interpretato da Diego Abatantuono, idolatra il giocatore fino ad attribuirgli un parodistico ruolo da profeta del calcio nel mondo, inviato direttamente da Dio.
Su questo punto, è ancora Abatantuono, che durante un’intervista dette un altro particolare che faceva comprendere come Rivera, il campione, fosse diventato un mito popolare: “Diventai milanista perché da piccolo trovai un giorno per terra il portafoglio di mio nonno. Lo aprii e vidi le foto ingiallite di Padre Pio e Gianni Rivera, che io non conoscevo, non sapevo chi fossero. Lo chiesi a mio nonno e lui mi spiegò: uno fa i miracoli, l’altro è un popolare frate pugliese “. Ma cosa rese Gianni Rivera un mito agli occhi della tifoseria rossonera tanto da arrivare allo status d’intoccabile e scatenare una rivolta popolare quando fu minacciata la sua cessione? Rivera era pacato, ironico e con una buona dose di sangue freddo anche nelle situazioni più disperate. Sapeva personificare al meglio il ruolo di fuoriclasse/guida della squadra, perché era il cervello pensante del gioco del Milan e i giocatori guardavano a lui come a un capitano di lungo corso di un vascello. Queste doti da leader le aveva già dimostrate in giovane età e col passare del tempo, “maturando sportivamente”, le affinò ancor di più, grazie alle esperienze vissute nelle competizioni internazionali con i rossoneri.
Un campione solitamente per diventare l’idolo della tifoseria deve avere alcune caratteristiche fondamentali per venire eletto a questo ruolo. Una di queste è lo spirito “democratico” del campione e in quanto tale è rappresentante del popolo e dei suoi valori. Nel corso della sua carriera, Rivera dimostrò che oltre alla pacatezza in alcune situazioni sapeva usare anche una lingua molto tagliente; infatti, ebbe polemiche con la stampa, la Federazione, la classe arbitrale e anche nei confronti dei dirigenti sportivi, tra cui lo stesso presidente del Milan Albino Buticchi. Con quest’ultimo il contrasto fu più forte tanto che il presidente pensò addirittura di cedere il giocatore scatenando le ire dei tifosi dei tifosi già accennate. Uno dei momenti sicuramente più alti a livello personale, fu il pallone d’oro vinto nel 1969 e oltre alla consacrazione, Rivera divenne il primo giocatore italiano non oriundo a vincere questo prestigioso premio. Il presidente della giuria, il giornalista di France Football Max Urbini, motivò l’assegnazione dichiarando: “il riconoscimento premia il talento calcistico allo stato puro. Rivera è un grande artista che onora il football”.
La stagione 1978-79 fu la sua ultima nel calcio giocato, il numero dieci rossonero riuscì a chiuderla nel migliore dei modi vincendo il decimo scudetto e riuscendo a raggiungere la tanto agognata stella che il Milan inseguiva da anni. Il nome di Rivera è legato in modo indissolubile al calcio italiano e al Milan, che sicuramente senza di lui non sarebbe salito più volte sul tetto del mondo calcistico. Un’ultima menzione, ma non da meno, per la sua avventura nella nostra nazionale, che a differenza di quella col Milan, il Golden Boy soffrì tremendamente a causa del presunto dualismo con Sandro Mazzola.
In realtà, se guardiamo al passato con gli occhi di oggi, ci sembra strano questo dualismo che portava alla presenza di uno o dell’altro in campo, sia per 90 minuti o addirittura un tempo per uno. In nazionale Rivera vince l’Europeo del 1968 e collezionò un secondo posto al mondiale in Messico del 1970, manifestazione segnata pure questa dalla “sua alternanza” con Mazzola. Il talento del Milan prenderà la sua rivincita segnando il gol decisivo contro la Germania dell’Ovest e regalandoci una delle fotografie più memorabili del calcio italiano.
Bibliografia
Gianni Brera. Storia critica del calcio italiano. Milano, Baldini & Castoldi, 1998.
Sergio Taccone. Milan Story. La leggenda rossonera dal 1899 a oggi. Roma, Edizioni della Sera, 2013
Gianni Rivera e Laura Marconi, Gianni Rivera Ieri e Oggi – Autobiografia Di Un Campione, Marconi Productions, 2015
Nato a Livorno il 5 febbraio 1988, si è laureato in "Storia contemporanea" all'università di Pisa, in particolare si occupa di storia dello sport, ha approfondito i filoni di ricerca relativi a questo campo di studi, più precisamente della storia del pugilato italiano e statunitense.
Per GliEroidelCalcio in convenzione S.I.S.S.