Le Penne della S.I.S.S.

Gigi Meroni: la farfalla granata

Published

on

GLIEROIDELCALCIO.COM (Marvin Trinca) – Luigi Meroni nato a Como il 24 febbraio 1943 fu un giocatore di grande talento che fece parlare di sé anche fuori dal campo per il suo personaggio totalmente fuori dagli schemi classici del tempo. Cresce con un amore verso la libertà, un tratto che manterrà per tutta la sua vita, detestando il bigottismo e gli integralismi in tutte le sue forme. Si formò calcisticamente nel Como, fino a quando venne notato dai dirigenti del Genoa, che – scolpiti dal suo immenso talento – si convinsero a portarlo all’ombra della Lanterna. Coi rossoblu trascorse solo due stagione fino a quando Nereo Rocco, allora allenatore del Torino, lo volle portare a tutti i costi a Torino. Meroni giocava nel ruolo di ala destra, vestiva la maglia con il numero sette, proprio come George Best, era veloce e dotato di un dribbling imprevedibile che riusciva sempre a spiazzare i suoi marcatori. Meroni, come la grande ala nord irlandese del Manchester United era dotato di estero e portava il suo stesso taglio di capelli, inconfondibile per gli anni sessanta. La sua figura era sicuramente una di quelle che andava a toccare la cultura, diciamo la controcultura del tempo, perché era parecchio insolito a quel tempo trovare un giocatore che dipingeva e disegnava personalmente i suoi vestiti, giacche quadrettare, pantaloni a zampa di elefante e cappelli di ogni foggia che poi portava a far confezionare. Non sapeva come  definirsi, non riusciva a capire se era più artista fuori dal campo o nel calcio stesso, dato il suo grande talento, eppure quando giocava riusciva a pennellare, come i grandi pittori del passato, assist perfetti che mandavano quasi sempre a botta sicura i suoi compagni di squadra. Rappresentava alla perfezione la figura dell’anticonformista dei lunghi anni sessanta, in maniera un po insolita per noi italiani, Meroni riusciva metterci quel tocco british che ne fece il personaggio che tutti noi ricordiamo. Viveva in una mansarda nella centralissima Piazza Vittorio che il calciatore arredò in vero stile Bohemien, comprendo i muri di manifesti e quadri. Dipinge molto ma si rifiutava di esporre le sue opere, portava gli occhiali da sole, calati sul naso, anche di sera. Era solito passeggiare sotto i portici di Torino portando una gallina al guinzaglio perché come diceva spesso: “Se tutti portano a spasso il cane, – dice – perché io non posso portare al guinzaglio la mia gallina”. Ci mise poco a diventare il beniamino della curva granata tanto che per i tifosi, Meroni, diventò subito la “farfalla” e per il resto dei giornalisti del tempo invece divenne beatnik che era un termine denigratorio usato negli Stati Uniti proprio verso i giovani della Beat Generation.

Proprio quest’ultimo punto fu quello che minò molto anche la sua presenza in nazionale, a parte i contrasti con il Ct.Fabbri, per i giornalisti era inconcepibile che uno come lui, con quello stile potesse vestire la maglia della nazionale italiana. A metterlo ancor di più in difficoltà, agli occhi dell’opinione pubblica del tempo, fu la relazione more uxorio con Cristiana Uderstadt. Nel 1966 venne convocato per i mondiali inglesi  ma non trovò molto spazio perché al suo posto gli venne preferito il bolognese Perini: riuscì a giocare una sola partita contro l’U.R.S.S e fu spettatore dalla panchina della disastrosa sconfitta contro la Corea del Nord. La sua avventura in nazionale si concluse con sole sei presenze e due reti, non per scelta sua ma perché non venne più convocato. La sua ascesa con il Torino invece continuò senza incontrare ostacoli raggiungendo l’apice nella stagione del 1966-67. Sembrava inarrestabile e destinato a una carriera costellata di successi ma come la storia insegna, soprattutto quella del Torino, il destino è beffardo così solo il fato poté vincere un grande campione come Meroni. Diciotto anni dopo Superga, il popolo granata si trovò a piangere una nuova tragedia, la sera del 15 ottobre del 1967, Gigi Meroni  venne investito da una macchina e l’impatto fu letale per il giocatore. Per uno strano scherzo del destino, a guidare la macchina che tolse la vita a Meroni c’era un giovane di nome Attilio Romero che in futuro diventerà presidente della squadra granata.  A soli 24 anni la farfalla granata chiuse per sempre le sue ali. Così, la storia del Torino obbedisce un copione già scritto che vede tifosi e squadra legati in maniera indelebile da un legame mentale con la loro maglia:è più importante soffrire che vincere. All’inizio la Diocesi di Torino si oppose ai funerali religiosi, perché il giocatore aveva convissuto con una donna sposata e per la chiesa bacchettona del tempo era una cosa un cattivo esempio. Alla fine Don Fernando, cappellano della squadra, sostenuto da tutto il mondo calcistico, tirando a diritto e riuscì a celebrare le esequie con rito religioso davanti a ventimila persone. Tutto il mondo calcistico per una volta lasciò da una parte le rivalità e si strinse intorno al Torino e al suo campione scomparso. Il 22 ottobre 1967 si svolse il derby della Mole al Comunale, in campo, i giocatori del Torino con il cuore ancora gonfio di dolore si scatenarono e travolsero  la Juventus per 4-0. Carelli, che in campo giocava con il numero sette, firmò il poker finale al termine di una travolgente azione,  e nell’esultanza, commosso, alzò la palla al cielo, a molti, compagni inclusi, sembrò di rivedere la farfalla granata. 

bibliografia 

Sergio Barbero, Gigi Meroni, il ragazzo che amava i beatles e i Rolling Stones, Graphot Editrice

Nando Dalla Chiesa, La Farfalla granata. La meravigliosa e malinconica storia di Gigi Meroni il calciatore artista, Limina Edizioni. 

Peroni-Cecchetti, Gigi Meroni, il ribelle Granata, Padova, Beccogiallo, 2011

più letti

Exit mobile version