Il ricordo di Gigi Riva
Raccontare di Gigi Riva nel momento della sua dipartita significa raccontare una parte importante della storia del calcio italiano. Se mai c’è stato un giocatore rappresentativo della propria epoca, nel ruolo di attaccante, segnatamente di ala sinistra, come si soleva dire una volta, questi è stato proprio il leggiunese, originario della profonda provincia lombarda, ma cagliaritano d’adozione. Questa è stata, oltre alla bravura tecnica, alla forza e al talento donatigli da madre natura, la sua caratteristica principale: quella di essere diventato, lui lombardo, sardo, e di non aver mai ceduto alle lusinghe che pure gli arrivavano dai maggiori club del continente.
Iniziò la sua carriera nel Legnano, ma qui durò una sola stagione, poi il passaggio al Cagliari, dove non fu facile ambientarsi, ma da dove non sarebbe più andato via. Fin da subito con la maglia dei quattro mori divenne protagonista, voluto dal vice presidente Andrea Arrica, in un crescendo di gol di anno in anno, fino ad arrivare alla magica stagione 1969/1970. Qui la squadra, guidata da Manlio Scopigno, imperniata proprio su Riva insieme ad Enrico Albertosi e a Nenè, con l’innesto dei nuovi acquisti Angelo Domenghini e Sergio Gori, iniziò e portò a conclusione un cammino esaltante che ebbe lo scudetto come traguardo, già sfiorato con il secondo posto della stagione precedente, per la prima volta in assoluto di una squadra meridionale vincente. Fondamentali, per questa storica vittoria, le ventuno reti che mise a segno Riva, che lo consacrarono per la terza volta anche capocannoniere.
Ormai la stella del leggiunese era consacrata, così come il suo legame con l’isola, rivelatosi con il tempo inossidabile e incorruttibile, diventato Rombo di Tuono per la solita, felice, intuizione dialettica di Gianni Brera, già si erano aperte per lui le porte della nazionale, convocato nel 1965 da Mondino Fabbri, partecipe della sfortunata spedizione ai mondiali inglesi del 1966 ma non schierato in campo, protagonista assoluto, invece, nella squadra che avrebbe vinto il primo Europeo della sua storia appena due anni dopo, e protagonista anche al mondiale messicano del 1970, contribuendo a quell’epopea che è stata Italia-Germania quattro a tre, insieme a Franz Beckenbauer, che pure ci ha lasciato da poco.
Raccontando cosa è stato Gigi Riva, oltre che per il Cagliari, è proprio con la maglia azzurra che si evidenza il suo legame più forte, quasi una seconda pelle, onorata con i trentacinque gol in quarantadue partite, record tuttora ineguagliato e, forse, irraggiungibile per gli attuali attaccanti per ancora molti anni e, chissà, forse per sempre, ma oltre queste restano anche i due gravi infortuni subiti con l’Italia, contro il Portogallo nel 1967 e contro l’Austria nel 1970, sempre ritornando, sempre onorando quei colori.
Smessa la carriera, dopo una parentesi dirigenziale al Cagliari, fu quasi inevitabile la sua chiamata proprio come team manager della Nazionale nel 1987, quasi a fare da chioccia ai nuovi campioni, ruolo che onorò anche questo con dedizione, facendo capire ai tanti giovani cosa significava indossare la maglia che rappresentava il proprio paese. In questa veste riuscì a completare il discorso fermatosi in finale nel 1970, accompagnando la squadra al successo nel 2006, in un momento tra l’altro molto turbolento per il calcio italiano, ruolo che è stato poi dell’indimenticato Gianluca Vialli, prima di diventare, ora, di Gigi Buffon.
Gigi Riva è stato una leggenda di un calcio che non c’è più, un uomo che ha preferito la propria indipendenza e la propria libertà di scelta a quello che potevano essere la ricchezza e gli allori che questo calcio promette. Sarà forse proprio l’uomo con la sua coerenza a mancare più di tutti, anche se il ricordo di Rombo di Tuono vale già più di mille altri esempi.
GLIEROIDELCALCIO.COM (Raffaele Ciccarelli)