ILROMANISTA.EU (Gianvittorio De Gennaro) – Si può diventare bandiera di una società pur essendo nati a mille chilometri dallo stadioteatro di ricordi indelebili. Gigi Riva, per molti semplicemente “Rombo di Tuono”, è e sarà per sempre il capitolo più prezioso della storia calcistica di Cagliari.
I numeri d’altronde sembrano parlare per il centravanti simbolo di un’epoca intera. 164 gol in 315 partite di campionato con la maglia dei sardi, campione d’Italia da assoluto protagonista della stagione 1969/1970, campione d’Europa con la Nazionale nel 1968, tre volte capocannoniere della Serie A. Ma i numeri a volte non sono capaci di raccontare quanto importante possa esser stata una carriera sportiva.
Ne sanno qualcosa le migliaia di ragazzi cresciuti nel mito di “GiggiRriva”, tutto attaccato e con le consonanti raddoppiate a mo’ di dialetto da sciorinare imitando una rovesciata sulla ghiaia e creando porte dove prima erano serrande. Ma soprattutto, nell’isola che ha ospitato quel ragazzone arrivato dalla lontana provincia di Varese per scrivere la storia, nessuno potrà mai dimenticare le innumerevoli volte in cui i quotidiani nazionali hanno titolato: “Riva via dalla Sardegna”.
Inter, Milan e soprattutto Juventus. La Vecchia Signora nemica di mille battaglie e protagonista in negativo di quello che a Cagliari son soliti chiamare battendosi il petto come “il gran rifiuto”. Dieci anni, tanto è durato il corteggiamento mai corrisposto da un giocatore coraggioso in campo nel gonfiare la rete lanciandosi di testa dove gli altri non avrebbero messo neanche i tacchetti, così come fuori quando a più riprese decise di rappresentare una squadra per sempre.
Così tanto da portare la città e il club a combattere contro una regola discutibile per innalzare una statua in suo onore. Quel Gigi Riva che “non si tocca”, come affermavano con orgoglio i tifosi dello stadio Amsicora prima e del Sant’Elia poi. Ancora di più dopo quel 12 aprile del 1970: a Bari furono Gori e proprio il numero 11 a regalare uno Scudetto unico in tutti i sensi. Tenace, testardo, potente come il popolo che l’aveva adottato: questo e tanto altro è stato Gigi Riva da Leggiuno.
«Vincere un campionato qui è come vincerne dieci altrove», una frase pronunciata al termine della gloriosa cavalcata cagliaritana, che potrebbe essere attribuita anche a un numero 10 di Porta Metronia. Perché si può essere figli di una terra pur essendo nati altrove, così come è onore di pochi diventare bandiere che non possono essere ammainate. Fumatore incallito, sinistro al vetriolo e guascone col sorriso nascosto tra le pieghe del viso.
Quel sorriso sornione mostrato con fierezza affermando di aver imparato a riconoscere i volti degli emissari juventini. Non per impressionarli, ma anzi per tirare dritto verso un cammino fatto di gioie estranee a numeri e palmares. Gigi Riva ha trovato nella lontana Sardegna il luogo ideale per dar vita a un miracolo sportivo. Quello di portare il Cagliari nell’Olimpo del calcio italiano, quello di rifiutare il dolce richiamo delle sirene del Nord.
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