Il ricordo di Giovanni Lodetti: l’infaticabile mediano del Milan
L’ultima volta che avevo sentito Giovanni Lodetti era stato lo scorso 10 agosto, giorno del suo compleanno: dopo gli auguri e le immancabili considerazioni sulla campagna acquisti del Milan, ci eravamo ripromessi di vederci quanto prima per il nostro consueto caffè “milanese” come avveniva un paio di volte l’anno. Però quella telefonata non era stata come le tante intercorse tra noi da quando una ventina di anni prima ci eravamo conosciuti in un’emittente televisiva lombarda.
Non osai chiederlo, ma intuivo che c’era qualcosa che non andava. Venerdì 23 settembre la notizia che mi ha gelato il sangue: è morto Lodetti. Mi sono seduto, provando un forte dolore e anche il rimpianto per non aver anticipato quel caffè. Un campione sportivo, e quello già lo sapevamo. Ma soprattutto un uomo d’altri tempi, di un’umiltà e una generosità rarissima, oltre che dalla simpatia contagiosa.
Mediano infaticabile del Milan di Nereo Rocco era soprannominato Basléta per via del suo mento pronunciato. Con i rossoneri ha vinto praticamente tutto: due scudetti, la Coppa Italia, due Coppe dei Campioni, la Coppa delle Coppe, l’Intercontinentale; ma nella sua personale bacheca brilla anche l’Europeo del 1968 con la Nazionale. Passato alla storia come “scudiero” o “terzo polmone” di Rivera, è in realtà riduttivo etichettarlo così.
Lodetti è stato un centrocampista completo, perché a quei tempi non si poteva occupare un ruolo così importante se non si sapeva fare tutto. Oltre alla corsa, infatti, era dotato di buona tecnica. Un concetto spesso rimarcato dal suo ex compagno di squadra Karl Heinz Schnellinger, detto “il tedesco”, con il quale Giuanìn, come lo chiamava la mamma e come poi lo chiamavano anche gli amici, era sempre rimasto in contatto. Amava i colori rossoneri, che non avrebbe mai lasciato.
Messico ’70: l’esclusione dalla Nazionale
Per quello nel ’70 gli crollò il mondo addosso. Era in Messico per partecipare al Mondiale, ma a causa dell’infortunio di Pietro Anastasi tornò a casa per far posto e Roberto Boninsegna e Pierino Prati. “Mi offrirono di rimanere ad Acapulco con mia moglie per tutta la durata dei Mondiali. Non dico quale è stata la mia risposta… Ho preso il primo aereo e sono rientrato in Italia.” Neanche il tempo di metabolizzare la delusione, che ecco squillare il telefono mentre si trova al mare a Forte dei Marmi. “Era la Rina, la nostra segretaria, anch’essa molto dispiaciuta: “Guarda, c’è qui il presidente Colantuoni: il Milan ti ha ceduto alla Sampdoria.” Nessuno mi ha chiamato, tranne il mio amico Trapattoni. Con il Trap al Milan eravamo sempre insieme, tanto che Rocco ci chiamava le “cocorite.”
A Genova si ambienta subito. Lì trova anche Luis Suarez, appena arrivato dalla sponda nerazzurra di Milano. Un’amicizia consolidata nel tempo, favorita dal fatto che abitavano vicini. Il mio ultimo incontro con Giovanni Lodetti risale a circa un anno fa. L’appuntamento era in via San Gimignano sotto la palazzina dove da sempre viveva (un piano sopra al suo abitava il futuro presidente rossonero Silvio Berlusconi, con il quale spesso si trovava per guardare e commentare insieme le partite del Milan.) Siamo nel quartiere Bande Nere, periferia Ovest di Milano, zona piuttosto tranquilla e non troppo lontana dal centro città.
Quella volta Giovanni decide di raggiungermi direttamente alla fermata della metropolitana M1, quella che porta in piazza del Duomo. Raggiungiamo il bar all’angolo e dopo un po’ mi confida il suo dispiacere per non essere stato più invitato dai nuovi dirigenti allo stadio. Ma non era il tipo da chiedere biglietti e così si accontentava di vedere le partite in tv.
Dal calcio alle piastrelle senza dimenticare la sua grande passione…
Poi mi racconta quell’episodio, oggi diventato di dominio pubblico, di quando a 36 anni decise di dire basta (le ultime stagioni professionistiche le trascorre a Foggia e a Novara) e comincia a fare il rappresentante di piastrelle. “A propormelo fu un amico di Vimercate, ma inizialmente rimasi un po’ titubante perché non sapevo niente di quel mondo. Alla fine accettai e proseguii per 22 anni, mettendo insieme i contributi per la pensione.” Ma la voglia di giocare a calcio non si era mai chetata in Giuanìn. Una mattina, mentre sta correndo al parco di Trenno – uno dei più grandi di Milano che si caratterizza per i prati delimitati da doppi filari alberati e piccoli boschi – vede dei ragazzini giocare a pallone e si ferma a guardarli.
“La squadra che perde ha un giocatore in meno. Non resisto e vado dietro al loro portiere: scusa, mi fate entrare?” Il giovane, che avrà avuto sì e no 16 anni, si volta e senza troppi riguardi gli risponde che forse non era il caso perché erano tutti giovani. “Io insisto: dai, gioco anche in porta. Alla fine uno mi fa segno di entrare, e dopo una ventina di minuti si avvicina e si complimenta con me: “Sai che sei buono? Ma sul serio!”
Lodetti, forse ritenendo che quei ragazzini non potessero ricordarsi di lui, si limita a raccontargli di aver fatto dei tornei aziendali. «Sì, ma come ti chiami?», insiste il ragazzo. Ed ecco il colpo di genio, come quando recuperava la palla e la consegnava a Rivera: “Avevo un giubbotto con scritto Ceramica e così gli dissi: mi chiamo Ceramica. Mi hanno guardato strano, però poi mi chiesero se volevo giocare con loro ogni sabato mattina, sempre al parco Trenno; e io, che avevo ripreso a divertirmi di nuovo, accettai subito.”
Giovanni Lodetti e le sue qualità morali
Durante la partita era tutto un “bravo Ceramica”, “passa Ceramica”, “tira ceramica”. Passarono ben due anni prima che quei ragazzi scoprirono con chi stavano giocando. La “soffiata” arrivò da un conoscente che quel sabato si trovava per caso a passare per i giardini del Trenno. “Uè, ma lo sapete chi è quello lì?” “Sì, è Giovanni Ceramica.” «Ma che Ceramica? È Giovanni Lodetti, giocatore del Milan, campione europeo con la Nazionale.”
Dieci secondi di silenzio totale, e poi scoppia un lungo applauso da parte di quei ragazzi. Forse uno degli attestati di stima più belli per una persona che nonostante avesse fatto incetta di trofei e goduto degli applausi di San Siro, non aveva mai dimenticato i giovani e le persone comuni. L’ultimo saluto all’ex giocatore del Milan, Giovanni Lodetti ha avuto luogo martedì 26 settembre nella chiesa di Caselle Lurani, oggi Lodi, all’epoca provincia di Milano, il suo paese d’origine da cui partì il sogno verso il grande calcio. E davvero tante sono state le testimonianze di cordoglio pervenute alla moglie Rita e al figlio Massimo.
Il vescovo di Lodi, Maurizio Malvestiti, ha mandato un messaggio letto prima dell’inizio delle esequie, durante le quali è stato ricordato l’alto profilo morale di Lodetti. “Sapeva donare a tutti il meglio di sé. Nel cuore aveva il desiderio che nessuno rimanesse indietro”, ha aggiunto don Gianfranco Pizzamiglio, parroco del paese che ben lo conosceva. In quanto ai nostri caffè, caro Giovanni, ce li prenderemo da un’altra a parte. Promesso.
GLIEROIDELCALCIO.COM (Matteo Vincenzi)