Oggi è l’anniversario della tragedia di Superga. Andiamo, però, a ricordare l’ultima recita del “Grande Torino”
Momenti: sono quegli attimi della vita che si incidono a marchi di fuoco, che segnano l’esile confine tra gioia e dolore, tra successo e sconfitta, tra caduta e resurrezione.
Con una particolarità: la maggior parte delle volte, quando accadono, non se ne capisce la portata, non si intuisce l’importanza.
E scorrono, fluiscono come fluisce la vita, diventandone parte integrante, frammenti di storia sconosciuta e ignota, prima di divenire cruciali, dopo che sono accaduti, collegati ad altri eventi, in un caleidoscopio che si trasforma, appunto, in Storia.
Ce ne accorgiamo quando poi, all’analisi successiva, ci rendiamo conto che quell’evento quasi insignificante, sicuramente marginale in quel momento, invece diventa snodo fondamentale, punto d’incontro di un passato che diventa un futuro diverso da quello che ci si aspettava.
E ancora, diventano momenti di sintesi, bilancio di quanto fatto fino a quell’istante e rispetto all’inesauribile fluire del tempo, dando l’occasione di comprenderli nel contesto storico in cui sono avvenuti, capire l’alchimia positiva o negativa che si può essere creata affinché tutto accadesse.
Ora, prendiamo quanto scritto nella anche lunga introduzione esposta sopra, e trasliamolo al mondo che ci interessa, al contesto storico sportivo cui vogliamo riferirci.
Di momenti così ne troviamo millanta, qui vogliamo soffermarci su uno dei tanti, in cui notevole è stato il peso di quel Destino che tanta parte ha sulle cose umane.
Il campionato di calcio della stagione 1948/1949 vede il Torino primeggiare, avviandosi alla conquista del suo quarto titolo consecutivo, il quinto di fila considerando l’interruzione per la guerra dal 1942/1943, che non aveva visto mutare i valori calcistici alla ripresa nel 1945/1946.
Avversarie formidabili in quel campionato furono le milanesi, anche se la più tenace fu l’Inter, che andò a pareggiare in casa dei granata all’andata con un roboante quattro a quattro, e ora si accingeva ad ospitare la squadra del presidente Ferruccio Novo e del Direttore Tecnico Egri Erbstein per l’ultimo assalto.
Mancavano cinque giornate al termine del campionato, la classifica recitava: Torino cinquantadue punti, Inter quarantotto, per cui per la squadra guidata da Giulio Cappelli quella era l’ultima occasione per avvicinarsi alla vetta.
Prima di addentrarci nella analisi di quel match, occorre aprire una piccola parentesi: a quel tempo i giocatori erano personaggi importanti ma non superstar inavvicinabili come oggi, la parola d’onore era sacra, e proprio quello aveva dato capitan Valentino Mazzola al suo omologo del Benfica Francisco Ferreira, cui sarebbe stato devoluto l’incasso nella sua gara d’addio al calcio giocato, voluta appunto contro il prestigioso Torino.
Prima, però, c’era da affrontare l’Inter e Novo promise a Mazzola di concedere il permesso per la trasferta portoghese se non si fosse perso in casa dei nerazzurri.
Il Torino, però, si apprestava a scendere in campo, quel 30 aprile del 1949, proprio senza il suo capitano, convalescente.
Per l’Inter un’occasione unica, perciò i vari Benito Lorenzi, Amedeo Amadei, Istvan Nyers strinsero ben presto d’assedio la porta difesa dall’insuperabile Valerio Bacigalupo.
Per una volta tanto, complice anche l’assenza del suo capitano, il Torino pluricampione dovette subire per quasi tutto il match, non scattò il mitico “quarto d’ora granata”, si dovette accontentare di difendersi con la lotta, le unghie e i denti, oltre che con la forza del suo reparto difensivo (Aldo Ballarin – Danilo Martelli – Mario Rigamonti), e le prodezze del suo portiere, per conservare il prezioso pareggio.
Tanto bastò, sia per mantenere il vantaggio di quattro punti sull’Inter, sia per permettere a Valentino Mazzola di onorare la sua promessa per la trasferta in terra portoghese.
MilanoStadio “S. Siro” ore 16.00 Inter – Torino 0 – 0
Nessuno degli oltre trentacinquemila tifosi presenti sugli spalti dello stadio, nessuno in tutta la penisola calcistica che idolatrava quella squadra al di là dei colori del tifo, emblema di rinascita italiana dopo gli orrori della guerra, nessuno pensò o immaginò che quella sarebbe stata l’ultima partita del Torino.
Dopo la partita con il Benfica ci fu il quattro maggio, Superga, che trasformò quella squadra nel Grande Torino, eroi per sempre.
Quel momento, di cui abbiamo parlato all’inizio di questa storia, si sarebbe congelato nell’eternità, al termine di uno zero a zero che fu anche l’ultimo sberleffo del Destino, per una squadra abituata a dominare e che per una volta dovette difendersi, mostrando comunque quella determinazione da grandi anche nella sua ultima recita.