GLIEROIDELCALCIO.COM (Raffaele Ciccarelli) – Nel calcio moderno, sempre più ricco e ipertecnologico, è ormai molto raro assistere a singole grandi imprese, i campioni sono noti a tutti e difficilmente sulla scena internazionale si esce dai cliché.
È il potere soprattutto dei soldi, che ha scavato un solco profondo tra i ricchi, sempre più ricchi, e i poveri, sempre più poveri.
In un contesto simile, che è anche lo specchio della società, difficilmente chi appartiene al secondo mondo riesce a prevalere su qualcuno del primo.
L’esempio di quanto scritto si può evidenziare in quella che è l’attuale Champions League, cui tante partecipano, ma alla fine vede sempre le stesse contendersi il trofeo finale.
Eppure non è sempre stato così, in un calcio ormai antico certe imprese erano possibili, o più possibili, quando ancora la massima competizione continentale per club si chiamava Coppa dei Campioni.
La storia che vogliamo raccontare risale a quella che ormai si può considerare un’era fa: era il 1986, il mondo era ancora diviso dalla Cortina di Ferro, si viveva la paura della Guerra Fredda, un Muro divideva Berlino e, metaforicamente, l’Oriente e l’Occidente d’Europa, in quell’anno ci fu anche il disastro di Černobyl’ che iniziò a rendere consapevole il mondo sul rischio del nucleare.
Il calcio dell’Est era ancora un mistero, poco si sapeva delle sue squadre e dei suoi campioni.
Una di queste era la Steaua di Bucarest, la squadra dell’Esercito rumeno, che vantava vari giocatori che si sarebbero rivelati campioni, qualcuno passato anche per il nostro campionato: Stefan Iovan, Miodrag Belodedici, Marius Lacatus, Victor Balint, Laszlo Boloni e, soprattutto, Helmuth Duckadam, di professione portiere.
Duckadam, nato nel 1959, iniziò a giocare nella squadra della sua città, il Constructorul Arad, per passare poi all’UT Arad e, finalmente, nel 1982 alla Steaua Bucarest.
Diventato, grazie al fisico imponente e agli ottimi riflessi, presto titolare della squadra allenata da Emerich Jenei, iniziò a vincere campionati e coppe, con il successo interno del 1985 la sua squadra acquisì il diritto di partecipare all’edizione della Coppa dei Campioni del 1986.
Sembrava dovesse essere la classica partecipazione effimera della squadra dell’Est invece, grazie ad abbinamenti anche fortunati, i rumeni riuscirono ad arrivare fino alla finale.
Sul loro cammino avevano eliminato i danesi del Vejle ai sedicesimi, gli ungheresi della gloriosa Honvéd agli ottavi, i finlandesi del Kuusysi Lahti, a proposito di sorprese, ai quarti, prima di affrontare e superare in semifinale i belgi dell’Anderlecht, che non uscirono indenni dallo “Stadionul Ghencea”, per l’occasione trasformato in un vero girone infernale per Vincenzo Scifo e compagni, che dovettero arrendersi (3-0) pur avendo vinto all’andata (1-0).
Un vero exploit, che sembrava dovesse fermarsi in finale, dove di fronte si sarebbero trovati il Barcellona, non ancora grande come oggi, ma comunque favorito nel pronostico.
I blaugrana, poi, in pratica giocavano in casa, essendo stata scelta come sede della finale Siviglia, e allora le speranze rumene, in partenza, erano veramente nulle.
Come sempre, le ipotesi dei pronostici sono poi smentite dalla realtà del campo.
Per novanta minuti, più i supplementari, gli attacchi dei catalani rimbalzarono sul muro di gomma eretto da Jenei, ultimo baluardo Duckadam, che neutralizzò i tentativi spagnoli.
Inevitabilmente si arrivò ai rigori, e qui iniziò il miracolo dello stesso Helmuth Duckadam.
Primo tiro per la Steaua, calciò Mihajl Majearu, e il portiere basco Urruti parò, tirò Alexanco per gli spagnoli e Duckadam neutralizzò; Boloni si presentò sul dischetto per la seconda tornata, ma si fece irretire ancora da Urruti, ma anche Duckadam si ripeté su Pedraza.
Incredibilmente, dopo centoventi minuti di partita e quattro tiri di rigore, il risultato era fermo ancora sul nulla di fatto.
Finalmente fu Lacatus a rompere l’equilibrio mentre Duckadam ancora parò su Pichi Alonso, Gavril Balint realizzava il secondo rigore e ancora il portiere rumeno neutralizzava l’ultimo tiro di Marcos Alonso Peña.
Straordinario!
Non si erano mai visti quattro rigori parati nella stessa partita, e le manone di Duckadam poterono agguantare anche la Coppa, sogno insperato.
Per il portiere della Steaua sembrarono aprirsi le porte di una carriera luminosa, invece, altrettanto incredibilmente, quella fu in pratica la sua ultima partita internazionale, e qui la storia si ammanta di giallo e di leggenda.
Bisogna ricordare che all’epoca la Romania era sotto la dittatura, velata di finta presidenza, di Nicolae Ceauşescu, riconosciuto qualche anno dopo colpevole di crimini contro lo stato e condannato a morte, con la Steaua seguita con particolare attenzione dal figlio Valentin.
Da uno screzio tra questi e Duckadam, che pare avesse rifiutato di consegnare una Mercedes avuta in premio e ambita dallo stesso Valentin, quest’ultimo avrebbe inviato una squadra della Securitate, la polizia segreta rumena, in una spedizione punitiva che mirava a rompere le mani al portiere.
Impresa in apparenza riuscita, perché Duckadam scomparve improvvisamente dalla scena, terminando in pratica la sua carriera.
Una leggenda, legata ai tanti misteri che circondavano quel mondo in quel periodo, perché lo stesso ex portiere ha poi specificato che il suo fu un problema fisico, un embolo che si era formato nel braccio che lo costrinse a lunghe cure mediche e all’abbandono del calcio.
La verità vera, probabilmente, non si saprà mai, resta l’impresa e la leggenda di questo giocatore, capace di vincere da solo quella Coppa dei Campioni, portiere di (una) notte.