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8 agosto 1955 – Nasce Herbert “Schneckerl” Prohaska

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GLIEROIDELCALCIO.COM (Riccardo Lorenzetti) – Sembrò un ottimo affare, Herbert Prohaska.

Ma lo sembrarono tutti, all’inizio.

Come quando, in aprile, vai a scegliere i costumini per la riviera, e li trovi irresistibili: perché ti basta guardarli per capire che sta arrivando la bella stagione.

Per tutti noi, Prohaska fu questa roba qui.

E con lui, Brady e Falcao, Neumann, Eneas e persino quelli che non se la cavarono benissimo come il leggendario Luis Silvio, che toccò alla Pistoiese ed era un gelataio, ma aveva il nome esotico.

Furono loro a farci capire che l’estate, per il nostro calcio, stava tornando: anche con un solo straniero a testa, ma sufficiente per riaprirsi al mondo e (soprattutto) per calmierare un mercato che da Savoldi-due miliardi in poi aveva preso una brutta piega. E valutava cifre obbrobriose Ambu, Tosetto e Mario Piga… L’affare Paolo Rossi, che di fatto spedì il Lanerossi Vicenza a dormire sotto i ponti, fu la goccia che fece traboccare il vaso.

Prohaska arrivò, con la sua capigliatura leonina ed il baffetto d’ordinanza, nell’Inter di Bersellini che si era appena cucita lo scudetto sul petto.

Il raffinato, classico Prohaska, capitano dell’Austria Vienna, la squadra più aristocratica dell’intera mitteleuropa: a ribadire, anche in campagna acquisti, i propri quarti di nobiltà e la distanza di rango con i cugini del Milan. Che a un certo punto, si dice, sono lì lì per ingaggiare il barbuto Hans Krankl, che invece è il simbolo del Rapid d rappresenta l’anima operaia e popolare della Vienna calcistica.

Ma il Milan ha altri grilli per la testa: lo scandalo scommesse lo retrocede d’ufficio in serie B, dove non era mai stato in ottant’anni di storia.

E Krankl finisce al Barcellona.

Prohaska sbarca a Milano, e i tifosi scoprono, con un certo dispetto, che in patria lo hanno soprannominato “Schneckerl”.

Che sarebbe l’equivalente di “hippy”, o “fricchettone”, ma nel suo caso pare essere il vezzeggiativo che si usa per le lumachine: minuscoli e innocui animaletti che mal si conciliano, però, con quello che ci si aspetta da un campione del genere, ammirato in mezzo mondo.

Beltrami, che è il DS dell’Inter, tranquillizza tutti: “Lumachina o no, Prohaska sarà il nostro fiore all’occhiello. L’ingranaggio che mancava tra i polmoni di Marini, i muscoli di Pasinato e il genio di Beccalossi”.

Sembrerebbe un tripudio, ma i tifosi storcono ugualmente la bocca… Beltrami è sì famoso per alcune felici intuizioni, ma anche per qualche cantonata memorabile: come quando gli propongono un certo Paolo Rossi, che fa l’ala destra nel Como, e lui alza le spalle: “L’unico Paolo Rossi che conosco è quel signore con i capelli bianchi che si vede ogni tanto al telegiornale”, ribatte. E si riferisce al Paolo Rossi Presidente della Corte Costituzionale.

Un giorno gli fanno vedere il giovanissimo Ramon Diaz, che sta facendo faville in Argentina, ma non ne rimane convinto: “l’unico Diaz che conosco –dice- è quel Generale che ha vinto la prima guerra mondiale”.

Stavolta l’ineffabile Beltrami sembra aver fatto centro: ma, con il senno di poi, si scoprirà in seguito che l’ha combinata ancora più grossa: perché sull’altare di Prohaska viene sacrificato il giovane francese Michel Platini, che all’Inter verrebbe di corsa, ed ha pure firmato una specie di precontratto.

Ma questo Platini, dice Beltrami, è antipatico marcio, e soprattutto ha la tendenza ad infortunarsi spesso.

Mentre la nostra Lumachina austriaca è sana come un pesce; e umanamente parlando è un pezzo di pane.

Prohaska arriva, gioca partite molto diligenti ma non è il calciatore decisivo che ci voleva: più che una bistecca, è uno di quei piatti elaborati che si presentano bene ma non ti fanno passare l’appetito.

E d’altronde lo straniero, nel 1980, è una specie di jolly: se ne può tesserare uno, e uno soltanto, ed è logico aspettarsi il salto di qualità… Quello che Falcao, Krol e saltuariamente Brady imprimono a Roma, Napoli e Juventus.  Che, infatti, chiuderanno ai primi tre posti

La Lumachina si colloca nella zona intermedia, quella del “bene ma non benissimo”, per intendersi. Come Daniel Bertoni, della Fiorentina, che sarà anche Campione del Mondo ma non è uno sfondareti.

Però, Bertoni è Argentino, e naturalmente furbissimo: e non rilascia intervista dove non si ricordi di dire che Firenze è la città più bella del mondo, e i Fiorentini sono i tifosi più straordinari dell’intero universo.

Prohaska, invece, è un elegante mitteleuropeo, e dalle sue parti la paraculaggine non l’hanno ancora inventata. Così, Milano non si scalda.

L’annata nerazzurra riesce mediocre: quarto posto in campionato e il rimpianto di una semifinale di Coppa dei Campioni persa con il Real di Vujadin Boskov e, soprattutto, del fromboliere Santillana che da lì in poi diventerà una specie di leggenda nera.

Nella gara di ritorno, in un San Siro record d’incasso, la Lumachina colpisce un palo dopo cinque minuti di gioco: rimarrà quello l’episodio più rimarchevole di tutta la sua stagione, se non addirittura dell’intera permanenza in nerazzurro.

Perché il secondo anno, se possibile, lascia tracce ancora più labili. L’Inter vive un’involuzione storica, e si trova a disputare campionati da “sottomarca”, né più né meno dei televisori Inno-Hit che quell’anno (ed è un’altra novità epocale) vengono pubblicizzati sulle maglie nerazzurre.

La conquista della Coppa Italia non basta per strappare la riconferma, perché Beltrami si è guardato in giro, ed ha adocchiato, per il salto di qualità, il piccolo Juary, che fa meraviglie all’Avellino, e Hansi Muller, bello come un divo del cinematografo.

Per la Lumachina si chiude una porta e si apre un portone.

Ci sarebbe la Roma del Barone Liedholm, che gioca una zona per piedi buoni ed ha giustappunto una casella vuota, adesso che gli stranieri sono diventati due.

Falcao, Ancelotti, Bruno Conti e… Prohaska. Ed ecco servito il centrocampo della “Maggica” che riporta dopo quarant’anni lo scudetto in giallorosso, per farci piangere e abbracciarci ancora.

La Roma “brasileira” è la squadra perfetta per le caratteristiche della Lumachina, che vi porta tutto il rigore e la disciplina asburgica. Guadagna anche la copertina del Guerin Sportivo, che in quegli anni non sbaglia un titolo: e lo definisce “Herr Più”.

A Milano, invece, volano gli stracci: l’atteso Hansi Muller non si ambientato, ed ha litigato forte con Beccalossi che ha paragonato il suo rendimento in campo a quello di una sedia a sdraio.

La Roma, però, è ambiziosa.

Soprattutto, la piazza scalpita per il nome ad effetto, ora che la Coppa dei Campioni disputerà la finale all’Olimpico, e sembra proprio l’occasione del secolo.

Di fronte a Toninho Cerezo, da Belo Horizonte, bisogna abbassare la testa: il Brasiliano è, all’epoca, uno dei migliori centrocampisti in circolazione e allora tocca alla Lumachina rientrare nel guscio.

Gli offrono contratti allettanti, ma di scendere in provincia non ne ha voglia. Prohaska è uomo da grandi piazze, e allora preferisce tornare all’Austria Vienna, che è casa sua: dove potrà far valere tutto quello che ha imparato nel nostro campionato, che in quegli anni è una specie di università del calcio.

Ed ha imparato così bene che i suoi connazionali restano a bocca aperta.

Herbert Prohaska non è più lo “Schneckerl”, la “lumachina” o il “fricchettone”, a seconda dei gusti. Adesso, quando scende in campo, è semplicemente “Der Professor”, che non ha bisogno di traduzioni.

E in sei anni otterrà tre scudetti, e tre secondi posti.

Oggi questo campione festeggia i 65 anni.

Tanti auguri.

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Riccardo Lorenzetti ne ha combinate molte, in vita sua. Ha ideato, e condotto, programmi radiofonici e televisivi; ha scritto per giornali e riviste, per il teatro e per il cinema. Ha lavorato in fabbrica, ha insegnato matematica in una scuola primaria, ha diretto redazioni giornalistiche ed emittenti locali. Si è cimentato anche come paroliere di musica leggera. E’ nato nel 1966; e infatti vorrebbe avere la genialità di Zola e l’irruenza di Alberto Tomba. Gli eccessi di Eric Cantona, la misura di Costacurta, la bellezza di Cindy Crawford. Avrebbe tanto voluto essere al posto del moretto che balla Reality con Sophie Marceau e, soprattutto, gli sarebbe piaciuto scrivere il testo di “Baciami Ancora”, di Jovanotti. Non essendone evidentemente capace, si è accontentato di rubargli l’incipit, per questo suo quinto libro. Dopo “L’anno che si vide il Mondiale al Maxischermo” (2012), “La Libertà è un colpo di tacco” (2014), “L’amore al tempo di Mourinho” (2016), “Il Paese più Sportivo del Mondo” (2018).

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