GLIEROIDELCALCIO.COM (Andrea Gioia)
“Per me, ogni volta che arriva un cross in area, scatta la marcatura a uomo.
Non c’è zona che tenga”
Quando arrivò in Italia, nel 1992, in pochi conoscevano le capacità di quel ragazzo di Montevideo, coccolato da Menotti e destinato ad un futuro alla Passarela.
L’Atalanta di Lippi diventerà la sua casa per quattro stagioni: quelli saranno gli anni fondamentali nella crescita di uno dei centrali difensivi più forti della Serie A targata ’90.
Una faccia da galeotto, un fisico asciutto e l’utilizzo delle maniere forti. Per Paolo Montero il campo da gioco era un campo di battaglia; il luogo ideale nel quale sfogare la sua grinta sportiva, il posto perfetto per farsi rispettare. Fuori, però, ritornava ad essere il bravo ragazzo di sempre.
Lo stesso bravo ragazzo che correrà al capezzale dell’amico Pessotto nel 2006, dando prova di amicizia e attaccamento ad un rapporto costruito sulla sincerità e sul rispetto.
Con la Juventus del suo maestro Lippi, tra il 1996 ed il 2005, vincerà tutto e ancora di più. E sarà primo anche nella speciale classifica delle espulsioni in massima serie. Un record di 16 cartellini rossi, in più di 10 anni di onorata carriera. Alcuni saranno meritati, altri invece contestati.
In definitiva, però, quel suo essere duro, deciso, scontroso, attaccabrighe, era il marchio di fabbrica di un calciatore cresciuto alla vecchia maniera, con l’idea di una marcatura a uomo necessaria e indispensabile. La zona, per lui, era soltanto una chimera. Il difensore moderno, abituato ad impostare il gioco, poco più che uno sconosciuto.
“Io amo il passato. Soprattutto in Italia non ci si può dimenticare come ci si difende: è l’essenza del calcio italiano. Ma ricordiamoci che gli altri Paesi hanno in bacheca una sola Coppa del Mondo, mentre l’Italia ne ha quattro” (dal canale YouTube della Serie A)
Auguri Paolo.