GLIEROIDELCALCIO.COM (Andrea Gioia)
“Giocavo, avevo soldi, non mi mancava niente. Poi … tutto in discesa”
Le parole silenziose, pronunciate con quel tono pacato, gentile, roco. Tutta la carriera racchiusa in un semplice verso, una carriera che poteva essere e non è stata.
Perché Maurizio Schillaci ha passato per vivere le fasi più complesse dell’esaltazione e dell’oblio, cercando uno stallo tra la gioia di una carriera arrivata all’apice, all’improvviso, e la disperazione per un passaggio a vuoto definitivo. Quello che tutti consideravano il cugino più forte di Totò è sparito dai riflettori accesi del pallone per un periodo molto lungo, salvo poi attirare la curiosità attraverso una storia di vita vera, vissuta, sudata.
Quel ragazzetto classe 1962, nato nel primo giorno di Febbraio, era cresciuto per le vie assolate della sua Palermo, la città che lo avrebbe accolto nel dorato mondo del pallone. Il calcio era la sua vita: la sua e quella di suo cugino Salvatore, di due anni più piccolo.
Di Maurizio si diceva un gran bene: fisico asciutto, sguardo fiero e deciso, velocità e tecnica sopraffina.
Dopo Palermo, la sua seconda casa sarebbe diventata un’altra piazza siciliana, una vera piazza di provincia. Il Licata di un giovane boemo che, come lui, aveva poche parole per tutti, con quella sigaretta sempre accesa e la testa piena di idee e schemi. Forse lo volle Zdenek, forse la società. Quello che si formò nel biennio 1984-86 fu un binomio rimasto nella storia, un binomio che portò il Licata a raggiungere il sogno della C1 e Maurizio ad essere il miglior marcatore della squadra.
I fari erano ormai accesi sul ragazzo palermitano. La destinazione sarebbe stata Roma, sponda laziale. Lo stadio sarebbe stato l’Olimpico, quello che anni dopo avrebbe visto trionfare un altro Schillaci.
A Roma, però, l’avventura più bella sarebbe durata soltanto il tempo di qualche partita e di un gol di testa, peraltro bellissimo. Un vai e vieni tra campo ed infermeria e la sensazione diffusa di avere un malato immaginario. Meglio privarsene e cederselo altrove, magare al Messina di Totò.
E proprio a Messina i medici si accorsero di avere per le mani un talento purissimo ma con uno scafoide in necrosi.
Per colpa di un infortunio mal curato, e che necessitava riposo, la carriera lanciata di Maurizio Schillaci aprì le porte alla discesa inesorabile fatta di serie minori e strade sbagliate. Chissà cosa sarebbe stato quel giocatore senza la forzatura dello stop, chissà se avrebbe fatto in tempo a giocarsi l’avventura mondiale accanto a quel suo cugino diventato icona.
Chissà…
Tanti auguri Maurizio.