Sport e vita hanno da sempre intrecciato i fili del loro destino, sia in tempo di pace, quando era il primo a prevalere sugli eventi della seconda, sia in tempo di guerra, quando lo sport si è offerto come ancora di salvezza alle situazioni tragiche della vita.
Purtroppo, spesso la popolarità e il seguito massivo degli avvenimenti sportivi sono diventati la miccia per trasformare questi stessi in momenti di rivolta sociale, creando l’occasione per veri e propri atti eversivi contro un governo in quel momento oppressivo.
Questo per non dire di quando i grandi eventi sportivi sono stati strumentalizzati a fini propagandistici, basti pensare alla cassa mediatica che a suo tempo fece il fascismo con il calcio, o dei boicottaggi olimpici, con addirittura gli attacchi israeliani del 1972 a rompere quella che per gli antichi era la sacra tregua olimpica.
Oltre a queste strumentalizzazioni ci sono anche eventi causati dall’uomo e dalla sua follia, basti qui ricordare il disastro di Bradford, con l’incendio della vecchia tribuna in legno del Valley Parade che costò la vita a cinquantasei spettatori, o la strage di Hillsborough, dove fu la ressa per il panico e la troppa gente a causare novantasei vittime.
La storia che abbiamo in animo di raccontare qui ha delle premesse simili, radici geografiche e temporali lontane, tanto da essere poco conosciuta alle nostre latitudini: il Bloody Sunday di Lima.
Il nome è già evocativo, e bisogna risalire a un secolo fa, ad un’altra strage sportiva, quando a essere coinvolto non fu il calcio, ma il calcio gaelico, uno sport diffuso quasi esclusivamente in Irlanda e che è un misto di calcio e rugby insieme.
Scenario di quella prima domenica di sangue fu proprio l’Irlanda che sarebbe stata ancora scenario, nel 1972 nell’Irlanda del Nord, di un tragico evento che non vedeva coinvolto, però, lo sport, quando l’esercito britannico sparò sulla folla manifestante a Derry, provocando la morte di quattordici persone, nell’ambito del conflitto indipendentista nordirlandese, evento cantato anche dal gruppo degli U2 nella celeberrima canzone “Sunday Bloody Sunday”.
Noi, però, per la nostra storia, ci dobbiamo spostare dall’altra parte del mondo, per l’esattezza a Lima, capitale del Perù.
È il 1964, in programma ci sono i Giochi Olimpici di Tokyo.
Per il calcio si svolge in Sud America un torneo pre olimpico, ed in lizza per qualificarsi c’è anche la piccola nazionale peruviana, in una delle rare volte in cui ha l’occasione di poter competere per un torneo importante.
Per farlo, però, deve superare l’Argentina, fino a quel momento invitta e sempre vincente, per poi giocarsi le sue possibilità contro il Brasile: non facile, ovviamente, ma tutto dipendeva dalla sfida con l’albiceleste.
Era un Estadio Nacional stipato da oltre cinquanta mila spettatori quello che il 24 maggio si apprestava ad ospitare la sfida.
La partita era equilibrata, il primo tempo si chiuse con un nulla di fatto, che non serviva ai padroni di casa, ma lasciava aperto ancora uno spiraglio.
Nella ripresa, però, fu l’Argentina a passare in vantaggio con un gol del centrocampista Nestor Manfredi.
I sogni degli antichi discendenti degli Inca sembrarono svanire, ma a pochi minuti dalla fine Victor Lobaton riuscì a pareggiare, scatenando un tripudio di gioia sulle tribune.
Una gioia effimera, però, perché l’arbitro uruguayano, Angel Eduardo Pazos, annullò la rete per gioco pericoloso, e bastò un attimo, quell’attimo, a tramutare la gioia in rabbia.
Le reti di recinzione oscillavano paurosamente sotto la spinta della folla inferocita, in campo volavano sediolini e due tifosi, Victor Melasio Campos, detto El Negro Bomba, ed Edilberto Cuenca, riuscirono ad entrare in campo, correndo per avventarsi contro l’arbitro, per farsi giustizia sommaria.
La polizia riuscì a bloccarli e a salvare la giacchetta nera, ma come troppo spesso accadeva da quelle parti, picchiarono selvaggiamente i due malcapitati.
Tanto bastò per scatenare l’inferno in terra.
Come quasi sempre accade in questi casi, le forze preposte all’ordine furono quelle che causarono, invece, il maggior disordine, vennero sparati lacrimogeni in mezzo alla folla, e allora tutto si tramutò in panico.
Nella ressa per scappare a centinaia restarono schiacciati o asfissiati, quelli che riuscirono a uscire scatenarono una vera guerra nei dintorni dello stadio, che durò tutta la notte.
Alla fine, depredati anche dagli sciacalli, restarono a terra trecentodiciotto morti, anime innocenti senza più vita, che volevano assistere solo a una partita di calcio, per una tristezza che, anni dopo, avremmo vissuto anche sulla nostra pelle, con la strage dell’Heysel.
Quella di Lima, alla fine, resta la tragedia più grande capitata in uno stadio, con trecentodiciotto fantasmi che ancora vagano, senza pace, sulle tribune dell’Estadio Nacional.