All’inizio era il focolare, quel punto caldo ed accogliente, dove le famiglie si riunivano per raccontarsi i fatti della giornata, della vita, le gesta degli eroi sportivi, soprattutto quelli in bicicletta
La narrazione dello sport e del calcio era lasciata, oltre che a quella orale, alla sola epica della parola scritta e alla fantasia di chi la leggeva.
Erano dei veri e propri aedi quelli che narravano le gesta eroiche dei ciclisti ai primi Giri d’Italia, o quelli che raccontavano dei primi calci a palloni spelacchiati su terreno spesso polverosi, fangosi e gibbosi.
Venne poi la radio, cambiava di poco lo stile narrativo, ora la gente poteva sentire i notiziari, la musica, anche i meno istruiti, e all’epoca l’analfabetismo erano ancora tanto, potevano ricevere informazioni, e c’era sempre lo sport.
Di più, iniziò ad esserci il calcio, che proprio attraverso la narrazione radiofonica iniziò a imporsi definitivamente nell’immaginario collettivo.
Fu una partita della nazionale la prima ad essere raccontata: il 25 marzo del 1928, al Partito Nazionale Fascista di Roma, andava in scena, per la Coppa Internazionale, la gara tra Italia e Ungheria.
In alto, sulle tribune, si sarebbe potuto scorgere un uomo con un microfono che raccontava la partita, un giovane cronista della Gazzetta dello Sport che fino ad allora si era occupato d’altro, Giuseppe Sabelli Fioretti.
Fu una cronaca avvincente, perché il match terminò quattro a tre per gli azzurri e a goderne in diretta non fu solo il pubblico presente, ma anche quello raccolto intorno agli ancora rari apparecchi radiofonici.
Naturalmente l’idea non era stata nostra, la prima radiocronaca si era avuta l’anno prima, ovviamente in Inghilterra, quando il cronista della BBC Teddy Wakelam raccontò la sfida tra Inghilterra e Galles di rugby, una settimana prima della radiocronaca dell’incontro di calcio tra Arsenal e Sheffield United.
Il dado ormai era tratto anche da noi, si arrivò al primo gennaio del 1933 per avere un’altra gara raccontata ai microfoni dell’Eiar, stavolta con la voce di Nicolò Carosio, che sarebbe diventata la voce per eccellenza del nostro calcio, per più di trent’anni anche in video.
E arriviamo, appunto, alla televisione.
Era già il 1950 quando fu trasmessa la prima partita in diretta televisiva: si trattava della sfida tra la Juventus di Carlo Parola, Giampiero Boniperti, John Hansen e il Milan del già mitico Gre – No – Li, Gunnar Gren, Gunnar Nordhal, Niels Liedholm, con i bianconeri che furono strapazzati a Torino per sette a uno, risultato eclatante che fece passare sotto traccia l’evento catodico, trasmesso in via sperimentale nella sola zona del capoluogo piemontese.
Le trasmissioni televisive in Italia iniziano il 3 gennaio del 1954, e già in quella prima giornata, una domenica, la sera andò in onda “La Domenica Sportiva”.
Era il 13 dicembre del 1953 che, in via sperimentale, fu trasmesso il secondo tempo di Italia – Cecoslovacchia (3-0), dal “Ferraris” di Genova, con le voci a commento di Carlo Bacarelli e Vittorio Veltroni.
È pionierismo televisivo, ma la via è tracciata.
La storia del medium televisivo è strettamente intrecciata, sin dalle sue origini, con lo spettacolo sportivo. Si tratta infatti di due fenomeni di massa che condividono la stessa matrice storico – culturale: la società industriale che si afferma alla fine dell’Ottocento, come sistema compatto e integrato che investe molteplici campi, dall’economia alla politica, alla cultura, alla ricreazione e al divertimento[1]
Trascorsero pochi giorni e il 24 gennaio era in programma Italia – Egitto a Milano, valevole per la qualificazione mondiale, la Rai, sorta dalle ceneri dell’Eiar, decise di riprendere l’avvenimento in diretta.
Tutto facile? Naturalmente no, i presidenti di allora, subodorando l’affare, anticipando quelli che sono i tempi attuali, e dimostrando la litigiosità che da sempre li ha contrassegnati, si divisero in chi voleva soldi e chi invece voleva dare il via libera alle riprese.
Il compromesso fu la diretta di alcune fasi del match, con il commento alternato di Bacarelli, Veltroni e Carosio, che così diventò anche voce televisiva.
Una svolta epocale, perché
[…] ora c’è la possibilità da parte dello spettatore, non solo di essere testimone dell’evento, ma di sentirsi in qualche modo attore – perché la grande audience televisiva, la grande attesa, lo psicodramma popolare, la proiezione dell’evento stesso sul tele palcoscenico mondiale influenzano i protagonisti dell’evento stesso, determinano il loro comportamento, il loro impegno[2]
Al di là di queste valutazioni socio – antropologiche, un connubio tra calcio e televisione che con il tempo ha visto la seconda prevalere e diventare vera “regista” dell’evento calcistico, con il potere dei soldi che ormai decide i palinsesti dei vari tornei, vivendo ora un altro trapasso, quello in internet e alla varietà delle piattaforme.
Abbiamo rimpianto il focolare, all’inizio, rimpiangiamo alla fine la cara, vecchia, TV, che del focolare era diventata la sostituta
[1] A. Grasso, Sport e televisione, in: Enciclopedia dello Sport, 2003
[2] G. P. Ormezzano, Prima la televisione, poi…, in: (a cura di) A. Borri, Sport e mass media, Laterza, Roma, 1990, p. 118)
allenatore di calcio professionista, si dedica agli studi sullo sport, il calcio in particolare, dividendo tale attività con quella di dirigente e allenatore.
Giornalista pubblicista, socio Ussi e Aips, è membro della Società Italiana di Storia dello Sport (Siss), dell’European Committee for Sports History (Cesh), dell’Associazione dei Cronisti e Storici dello Sport (La-CRO.S.S.).
Relatore a numerosi convegni, oltre a vari saggi, ha pubblicato: 80 voglia di vincere – Storia dei Mondiali di Calcio (2010); La Vita al 90° (2011), una raccolta di racconti calcistici; Più difficile di un Mondiale – Storia degli Europei di Calcio (2012); Il Destino in un Pallone (2014), una seconda raccolta di racconti calcistici; Lasciamoli giocare-Idee per un buon calcio giovanile (Edizioni del Sud, Napoli 2016).
Per GliEroidelCalcio in convenzione S.I.S.S.