GLIEROIDELCALCIO.COM (Federico Baranello) – Accostare la parola “Calcio” alla parola “Sacro” porta con se almeno altri due termini: irriverenza e superficialità. Eppure in molti hanno associato queste due parole che sembrano distanti tra loro. Per esempio, nei “Saggi sulla letteratura e sull’arte” Pasolini afferma come il calcio sia “l’ultima rappresentazione sacra del nostro tempo”. Alcuni studiosi, inoltre, come il filosofo Alessandro di Chiara o l’antropologo Harvey Whitehouse hanno analizzato i comportamenti dei religiosi e quelli dei tifosi trovando molti punti di contatto. Insomma il tema non è banale certamente e la discussione è aperta più che mai: nessuna irriverenza ma profondo rispetto e nessuna superficialità. E’ partendo da questi presupposti e ragionamenti che Nicola Bertoglio cerca questi punti di contatto e li rende “Arte”.
Ma chi è Nicola Bertoglio? Che tipo di arte è la sua? e cosa utilizza per cogliere questi momenti di sovrapposizione tra il calcio e la sacralità tipica della religione?
Nicola nasce a Cremona 45 anni fa e trascorre l’infanzia nelle zone d’origine. Qui inizia ad avvicinarsi alla poesia e partecipa ad alcuni concorsi sia a livello locale che nazionale. Si trasferisce poi a Milano dove lavora come consulente informatico in banca. Ora le sue passioni per la poesia e l’arte hanno trovato una convergenza verso l’iPhoneografia, ossia la sperimentazione con la fotografia da smartphone. Una dimensione, quella della iPhoneografia, che consente a Nicola di trovare la giusta modalità per raccontare la sua visione del mondo maturata attraverso viaggi ed esperienze in tutta Europa. Le sue opere sono state presentate e esposte sia in Italia sia all’estero e alcune sono presenti, tra gli altri, presso il Comune di Osnago, Lecco, e nel MuSA di San Giorgio di Pesaro.
Il calcio è uno sport molto lontano da Nicola, anzi lo era… ”Sapevo poco anche le regole, quelle che si sanno da piccoli e poco altro, non l’ho mai seguito ne tantomeno praticato. Poi ho letto il libro del mio amico filosofo e Presidente del Brera Calcio Alessandro Aleotti, “Il Calcio perfetto”. Ho giudicato il testo interessante, in maniera particolare quando ho letto che … “Lo spettacolo calcistico è integralmente costituito da elementi religiosi: lo stadio come tempio, la ritualità esasperata della partita, l’ossessiva ripetizione dei canti corali dei tifosi, la cadenza domenicale come tempistica tradizionale della funzione, la santificazione dei protagonisti e, infine, l’attesa messianica del frutto di questa religione: il gol”. Ecco queste parole sono state per me di grande ispirazione. Ho allora cercato di trovare quell’emozione, quel sentimento e quella tensione verso il trascendentale… verso il Sacro. E solo dove il calcio è povero, dove non ci sono soldi, quindi nei campi di periferia dove giocano i dilettanti, è dove ci si crede davvero. E non fa differenza se si gioca la finale di Champions o si gioca in periferia: la magia e la sacralità del calcio si ripetono sempre, ogni volta che un pallone viene preso a calci”. E’ lì che regna l’universalità del calcio.
“Ho cercato quindi di riprendere e immortalare i momenti più importanti, più significativi e suggestivi di questo spettacolo chiamato calcio”, continua Nicola, “nei campi di periferia, dove spesso queste squadre rappresentano zone con un vissuto sociale importante, problematico. Sono un concentrato di nazionalità e religioni diverse, abitudini e idee politiche distanti anni luce. Il calcio, nella sua magia, riesce a far superare queste barriere, mettendo insieme anime diverse che mai avrebbero lottato per uno stesso obiettivo in un altro contesto, in un contesto diverso dal calcio. Qui invece si sceglie si stare insieme e ognuno persegue il gol e la vittoria come un riscatto anche sociale. Una vittoria che è lo stare insieme e lottare per un ideale, dove l’allenatore diventa un maestro di vita. Tutto ciò diventa un mondo enorme a disposizione per l’arte. Io sono sempre molto attento quando con il mio iPhone invado gli spazi quali spogliatoi, docce e campi dove si gioca o allenano i ragazzi. Rimango in religioso silenzio, come in chiesa, e rispetto il luogo, il campo. Io ricevo da questi ragazzi e da tutto l’ambiente circostante una grande energia. Faccio circa mille scatti a partita, per fare poi cinque o sei opere composte ognuna da quattro di questi scatti. Creo delle composizioni di contenuto e forma: il contenuto è la verità, il calcio stesso e la forma la costruisco io. Io voglio parlare all’arte con la forma”. Nicola è molto preso dalla conversazione, si sente che è qualcosa in cui crede davvero, è trasportato da questi suoi pensieri.
“Creo delle composizioni di più immagini”, continua l’artista, “per portare colui che osserva a comporre egli stesso la narrazione. Il fruitore deve impegnarsi, perché la lettura non è semplice, deve prestare attenzione, ragionare, insomma deve soffermarsi di fronte l’opera. E’ necessario approfondire la sequenza… E’ uno sforzo che chiedo a colui che guarda le mie opere, è una mia scelta, pur consapevole che è una scelta controcorrente rispetto alla fretta che contraddistingue la vita odierna”.
Anche la modalità di presentazione delle opere è molto innovativa: “Le immagini sono stampate su lastre di alluminio Chromaluxe con l’obiettivo di replicare lo schermo luminoso dell’iPhone. Mentre la forma quadrata delle stesse lastre di alluminio è dovuta alla forma delle immagini generate dall’applicazione Instagram”.
Tutte le opere di Nicola Bertoglio sono realizzate in una unica copia, ciò rende ogni “pezzo” un oggetto unico e non delle semplici stampe. Le opere non hanno titolo, ma sono denominate “Versetti” e hanno un numero, come nei testi sacri.
E allora ecco che i palloni, le porte i scarpini, gli abbracci dei giocatori e dei tifosi, ma anche i momenti di tristezza e le imprecazioni diventano arte.
“Questi ragazzi ogni domenica si mettono la maglia e scendono in campo. Non guadagnano nulla, non sempre vincono. Si fanno male, si infuriano e alcune volte si abbracciano. Alla fine si tolgono quella maglia e tornano a casa, alle loro vite e ai loro problemi, pronti però a rifarlo la domenica successiva, ancora e ancora. Ci credono, davvero, in loro stessi, nei compagni, nel pallone. E’ quello che sono.” (Cit. Nicola Bertoglio)