GLIEROIDELCALCIO.COM (Andrea Gioia)
“Ho l’impressione che si gioisca poco per cose che danno solo gioia”
Correva l’anno 1987 e, in una Italia sempre più centro del mondo calcistico e in procinto di ospitare i campionati mondiali più belli di sempre, una proposta innovativa e futuristica si faceva largo nell’intricato e politico mondo capitolino.
Il nuovo stadio della Roma, soprannominato Megastadio, da realizzare nella zona della Magliana. Un progetto incredibilmente ambizioso, voluto fortemente da un presidente capace di portare i giallorossi, in meno di un decennio, dall’anonimato dei ’70 alla ribalta europea degli ’80.
La Roma, per poter sostenere le proprie ambizioni calcistiche, aveva bisogno di un proprio impianto di proprietà. Ci aveva visto lungo l’ingegnere, uomo d’esperienza, proiettato già verso un futuro pronto ad essere agguantato ma sfuggito, purtroppo, per colpa di cavilli e opposizioni. L’Italia, infatti, avrebbe dovuto partire da quell’idea per impostare un programma almeno decennale e indirizzato verso la costruzione di strutture adeguate al sempre più ricco mondo calcistico.
Il 20 Gennaio del 1987, sulle pagine de La Gazzetta dello Sport, un articolo dettagliato descriveva l’idea di costruire un nuovo stadio capace di contenere 102 mila spettatori. La struttura veniva descritta così: “Una grande conca appoggiata sul terreno e retta da una corona di terra che raggiunge il limite superiore delle gradinate. […] Una copertura d’acciaio e […] 17mila posti macchina eventualmente elevabili a 25mila.
Costo dell’operazione: 120 miliardi da ottenere, soprattutto, attraverso fondi privati.
La strada che portava a Italia ’90, in quella stagione del primo scudetto napoletano, si dimostrava più ingarbugliata del previsto, con troppi progetti ancora in alto mare e la sensazione che bisognasse trovare una soluzione fattibile e alternativa all’Olimpico, ormai vecchio di quasi tre decenni.
Le alternative erano l’ammodernamento dello stesso Olimpico, con la costruzione di una copertura in acciaio, oppure l’ampliamento del Flaminio.
Il fronte degli oppositori era nutrito quasi quanto quello dei favorevoli.
Alla fine, naturalmente, seguendo il tipico spirito italiano, si preferì la tradizione, con la decisione di non approvare quel progetto e di mantenere il tempio calcistico di Roma e Lazio.
Magari, costruendo quello stadio, si sarebbe potuta aprire una strada alternativa, dando il via ad un piano che verrà poi applicato, all’inizio del nuovo millennio, dal calcio inglese, con i risultati che tutti conosciamo.