Il Museo della Fiorentina, nella nuova rubrica, racconta le emozioni e la passione dei tifosi in trasferta per sostenere i colori viola. Si inizia da tre gare che sono rimaste nella storia del club: Vicenza, Pisa e Roma.
8 aprile 1979 la trasferta di Alessandro Giannetti
[…] Si partiva all’alba, in pullman, mezzi assonnati e con un giornale fresco di stampa sotto il braccio (La Nazione o Stadio, e se qualcuno si presentava con la “rosea” rischiava seriamente di essere lasciato a terra).
Il bagaglio di viaggio prevedeva poi una radiolina a transistor (per ascoltare – ovvio – Tutto il calcio minuto per minuto), qualche gettone per chiamare casa (si avevano quattordici anni, da soli o con un coetaneo amico in giro per il mondo), qualche giornalino per i viaggi più lunghi (Tex soprattutto), bevande a piacere e gli immancabili panini da sopravvivenza (dal banale prosciutto fino alle cotolette fritte, passando per frittate, mortadelle, finocchione e salami assortiti), che madri premurose o amorevoli ave ti avevano consegnato salutandoti come un soldato in partenza per il fronte: “Mi raccomando, mangiali tutti!”
Durante il sonnecchioso viaggio di andata venivano distribuiti i biglietti per lo stadio: ma a volte si acquistavano direttamente sul posto, in un comune botteghino, e si poteva anche scoprire – come quella volta a Vicenza l’8 aprile del 1979 – che fino a 14 anni l’entrata era gratuita.
Si arrivava in loco ben prima dell’apertura dei cancelli, che attendevamo ansiosi dinanzi ai medesimi, a volte riuscendo a salutare qualcuno dei nostri eroi dall’altra parte delle sbarre (ricordo a Verona il gigantesco e gentilissimo Galdiolo, detto Badile).
Si entrava, quindi, dentro lo stadio con almeno due ore, o anche più, di anticipo sull’inizio della partita: un tempo lunghissimo, che veniva impiegato per lo più discutendo di formazione e consumando panini a volte ammorbiditi dalle cateratte del cielo. Si cantava anche, è ovvio: cori da stadio, per fare atmosfera.
Le partite spesso non erano spettacoli memorabili, ma se ne uscivi vincitore, magari con un golletto agli ultimi minuti (come quella volta a Vicenza, con l’unica rete in serie A di tal Luciano Venturini da Empoli, o quell’altra a Bologna, con la zuccata di Birillo Orlandini su magico cross di Antonio), il viaggio di ritorno era una goduria.
Si tornava a Firenze a buio, con tuo padre che ti attendeva paziente in Piazza Stazione, nei pressi della caserma dei Carabinieri. L’attesa del mai abbastanza ringraziato genitore poteva essere anche lunghissima (l’orario previsto di rientro del pullman era sempre molto approssimativo) ed una volta il milite di guardia gli si avvicinò per indagare cosa ci facesse a quell’ora di notte di fronte alla caserma, con barba equivoca e aria circospetta (eravamo, del resto, negli anni di piombo).
– Aspetto quei bischeri di ritorno dalla partita della Fiorentina…
Il carabiniere lo guardò con aria a metà fra il disgusto ed il disprezzo. E mio padre pensò che doveva essere, indiscutibilmente, gobbo […]
27 aprile 1986 nel derby contro il Pisa raccontata da Stefano Borgi
[…] Duecento metri. Appena duecento metri. Questa, più o meno, la distanza tra piazza dei Miracoli e l’Arena Garibaldi. Stadio che, solo nel 2001, verrà cointitolato al presidentissimo del Pisa Romeo Anconetani. Ed in quei duecento metri si consumarono gioia, passione, paura… e di nuovo gioia, quando (oramai sano e salvo) salii sull’autobus che mi avrebbe riportato a Firenze. Ma andiamo con ordine: è il 27 aprile 1986, si gioca l’ultima di campionato, la Fiorentina di Aldo Agroppi è quarta alla pari di Inter e Torino. Sette giorni prima aveva battuto in casa l’Udinese con una rete di Antognoni. Di testa. La terza nella sua quindicinale carriera gigliata. Solo per questo un patrimonio che non andava disperso.
Dall’altra parte il Pisa, allenato da un ex-viola come Vincenzo Guerini, annaspava terzultimo in classifica: sopra il Bari, sotto l’Udinese. Capirete che quella giornata valeva non solo la qualificazione Uefa o la permanenza in serie A, valeva la supremazia regionale, l’onore, l’orgoglio, la dignità… valeva tanto. Forse troppo. Fiorentina in formazione tipo: Galli in porta, Contratto e Gentile terzini, Pin e Passarella difensori centrali. Linea mediana a tre con Nicola Berti a dx, Massaro a sx, Oriali nel mezzo. Antognoni nella posizione di trequartista dietro le punte Monelli e Iorio. Un 4-3-1-2 in fase offensiva, 4-4-2 in quella difensiva. Come insegnavano gli italianisti, come insegnava Aldo Agroppi.
Primo inciso: Agroppi, nonostante una promozione nel 1982 proprio alla guida dei nerazzurri, affrontava quelli che erano i rivali storici, essendo lui di Piombino. E già su questo si potrebbe scrivere un libro. Secondo inciso: la Fiorentina quel giorno schierava Giovanni Galli e Daniele Massaro già ceduti al Milan, Daniel Passarella ceduto all’Inter. Eppure… Torniamo brevemente al sottoscritto che le trasferte se l’era fatte tutte: Torino, Milano, Verona, Genova, addirittura Udine… Vuoi che mancasse Pisa? La più facile, la più raggiungibile. Anche se, vista la rivalità, le premesse erano poco rassicuranti. Tutti sapevano, tutti pensavano ad un risultato scontato: troppo differenti, si diceva, i valori in campo. Ma si sa, il derby (seppure solo toscano) è una livella, annulla le distanze, e come dicono quelli bravi… sfugge ad ogni pronostico.
La partita visse una storia assai lineare: pioggia battente, terreno scivoloso, primo tempo di studio per poi sparare tutte le cartucce nel secondo. Intanto il Torino vinceva sul Verona, l’Inter pareggiava con la Sampdoria, insomma… la qualificazione Uefa era appesa ad un filo. A maggior ragione quando al 63′ Ciro Muro tira da fuori area e, per il terreno scivoloso di cui sopra, la palla (forse deviata) schizza beffarda sul terreno e finisce in rete. Pisa 1 Fiorentina 0. A quel punto i nerazzurri sarebbero salvi ed i viola fuori dall’Europa. Ma nessuno aveva fatto i conti con la professionalità di Daniel Passarella, che non a caso era campione del mondo. Passano 180 secondi, Nicolino Berti entra in area e si prende un contestato rigore: calcia il “caudillo” ed è una sentenza. Ancora dieci minuti, sempre Berti costringe Cavallo al fallo dal limite dell’area: ricalcia Passarella ed è la seconda sentenza. Quella definitiva. Pisa 1, Fiorentina 2, Viola in coppa Uefa, nerazzurri in serie B. Terzo ed ultimo inciso: vale la pena ricordare come quei due gol portarono ad 11 il bottino finale del fuoriclasse argentino, un record che (per i difensori) resisterà per parecchi anni a venire. Nel frattempo l’Inter pareggiava ed era fuori dall’Europa, con tanti saluti ai “biscotti” ed alle pastette made in Italy. Un’ultima immagine: Giovanni Galli che corre sotto la curva, lancia la maglietta e comincia a piangere. Proprio nella sua Pisa si chiudevano 9 anni di militanza viola (oltre ai tanti altri nel settore giovanile), lo attende il Milan di Berlusconi, i titoli, le coppe, ma come si suol dire… al cuor non si comanda. Intanto sono scoccate le 17,45, l’arbitro Pieri di Genova (ricordate? Quello di Catanzaro) fischia la fine e per l’ignaro tifoso inizia l’avventura.
Pochi metri e c’è subito la carica degli ultras pisani, avvelenati, inferociti, i manganelli della polizia volano come palline da tennis, ragazzi col naso frantumato che cadono sanguinanti ai miei piedi. Io impaurito più di loro. Quando all’improvviso, novello Mennea, l’intuizione salvifica di correre a perdifiato quei duecento metri e rinchiudermi nel Duomo, dove intanto si stava celebrando la Messa delle 18. Roba da non credere: alle 18 e 45 piazza dei Miracoli era vuota (un miracolo, appunto) con l’autobus del ritorno previsto per le 19. Alle 20 ero a casa, come se niente fosse successo: dall’Inferno dei tafferugli al Paradiso del focolare domestico. E mentre aspetto Domenica sprint, sento mia madre dire: “avrai fame, cosa vuoi per cena? […]
La trasferta magica a Roma 19 marzo 2015 di Niccolò Russo
[…] “Dai Nicco, vieni anche te! Nessuno di noi, finora, ha mai vinto a Roma…è l’occasione giusta. Vedrai che ogni sacrificio sarà ripagato…ce la ricorderemo per tutta la vita!” Adrenalina e profezia in una sola telefonata: come potevo dire di no al “Divino”? Si, perché Simone non è soltanto un indiscutibile cuore viola di Rivolta d’Adda ed un mio caro amico di Curva Fiesole; da qualche anno a questa parte, infatti, egli è conosciuto ai più con questo, sublime, soprannome.
Io, al tempo, non lo sapevo ancora, ma ero comunque ben disposto a fidarmi ciecamente: questo e altro per un miracolo all’Olimpico.
In programma c’era il ritorno contro i giallorossi nel “derby italiano” degli ottavi di finale di Europa League: lo sfortunato 1-1 di Firenze non lasciava spazio ad un grande ottimismo (alla luce dei nostri precedenti in terra romana), ma nessuno di noi aveva intenzione di mollare la presa…Mirko in primis.
Mirko è il “garante” delle nostre trasferte: se esistono dei problemi a livello di orari e di organizzazione, ci pensa lui a risolvere sempre tutto.
Io, per esempio, li avevo davvero, considerato lo scarso intervallo di tempo tra la mia uscita da lavoro (13.30 poco più) e l’inizio del match (19.00): fatto sta che, con mia grande sorpresa, giunsi sugli spalti del settore ospiti ad un pelo dal fischio di inizio, nonostante il copioso ritardo del bus-navetta predisposto per i tifosi fiorentini dalla frazione di Saxa Rubra.
La partita? Un assoluto dominio viola. Rigore di Gonzalo Rodriguez sotto la Curva Sud romanista. Raddoppio di Marcos Alonso su ingenuità colossale del portiere giallorosso Skorupski. Tris con “chiorbata” perentoria di José Maria Basanta. Gli Ultras della Roma, in tutta risposta, abbandonarono addirittura lo stadio per protesta. Il tutto in appena 21 minuti di gioco! Insomma: una serata a dir poco divina. Merito della squadra e dei miei amici, certo…ma non solo. Nella restante parte di gara, infatti, mi affacciai spesso verso l’ingresso del nostro settore per assistere ad un’infinita passeggiata storica: quella di Paolo Righetti. A Paolo, anima viola di Desenzano del Garda, erano stati affidati, per quell’occasione speciale, i gonfaloni degli “Alterati Viola Firenze nel Nord” (guidati dal mitico ed onnipresente “Barattistuta”): un ritardo sulla tabella di marcia, però, gli aveva impedito per un soffio di vedere il primo gol della Fiorentina. Paolo era sulle scale in quel momento. Una persona qualunque avrebbe raggiunto i propri compagni di viaggio per tifare insieme a loro; lui, invece, decise di farsi una bella camminata con le bandiere in spalla nello spazio antistante il bar…un gesto scaramantico durato fino al fischio finale dell’arbitro!
Quel giorno, in poche parole, Paolo Righetti ha sacrificato ferie, soldi e mille chilometri di viaggio in nome di un folle sogno a tinte gigliate.
Alla luce di quanto accaduto, quindi, non possiamo fare altro che ringraziarlo di cuore […]
(MUSEODELLAFIORENTINA.IT di Giannetti, Borgi e Russo )
Vai all’articolo originale