Il ricordo di Trevor Francis
Attraversare la vita con passo leggero, quasi pudico, lasciando comunque un segno che rimarrà nell’imperitura memoria della Storia. È la speranza, magari recondita, di molti che ambiscono a lasciare un’impronta del loro passaggio. Per alcuni viene naturale per la fama conquistata grazie al talento. Altri questo problema non se lo pongono. È il loro passaggio stesso, però, che diventa storia. Protagonisti di eventi che travalicano loro stessi. In maniera anche involontaria, certo, il più delle volte inconsapevole. È quanto si può ascrivere alla figura di Trevor Francis, in questo britannico autentico, difficilmente sopra le righe, anche se si ritrovò ad assaltare aree di rigore in un tempo, tra gli anni Settanta e Ottanta, in cui queste erano difese da difensori tra i più arcigni, e ai quali spesso era permesso di tutto, oltre i regolamenti.
Ma Francis aveva dalla sua la classe innata, la leggerezza di movimenti, la qualità tecnica che lo avvicinavano più ad un fantasista che ad un attaccante puro, con caratteristiche che, nel tempo, lo hanno accostato più alla leggiadria di un Marco Van Basten che alla potenza di uno Zlatan Ibrahimovic. Nato a Plymouth alla fine degli anni Cinquanta, svolse per un decennio la sua carriera di attaccante nel Birmingham City, assommando un buon bottino di reti, 118 in 279 presenze, che gli valsero il passaggio al Nottingham Forest, fortemente voluto da quell’altro personaggio che è stato Brian Clough, per dare l’assalto all’Europa.
L’avventura in Italia con la maglia della Sampdoria
Fu pagato un milione di sterline, la cifra più alta mai spesa in Inghilterra per un calciatore, all’epoca, ma furono soldi ben spesi, perché Trevor con un suo gol regalò la Coppa dei Campioni ai Tricky Trees nella finale contro il Malmoe, non partecipando al bis dell’anno successivo contro l’Amburgo, saltando la finale per infortunio. Le sue prestazioni non passarono inosservate e arrivò la convocazione in nazionale, con la maglia dei Tre Leoni disputò il mondiale del 1982 con buone partite, che gli valsero il passaggio in Italia, negli anni della riapertura delle frontiere.
Fu la Sampdoria che se ne assicurò le prestazioni, il quadriennio della sua permanenza non fu molto fortunato a causa dei frequenti infortuni, ma riuscì comunque ad arricchire la bacheca doriana con il primo trofeo blucerchiato, la vittoria della Coppa Italia 1984/1985, chiudendo con nove reti, capocannoniere della manifestazione. Fu il suo canto del cigno, poi un anno all’Atalanta e il ritorno in patria, chiudendo la carriera nel 1994 allo Sheffield Wednesday. Poca cosa la sua successiva carriera di allenatore, spesa tra Queens Park Rangers, Sheffield, Birmingham e Crystal Palace, con alcune finali di coppa raggiunte e mai vinte. Un passaggio nella storia del calcio non banale, fatto con pochi clamori, in puro stile british.
GLIEROIDELCALCIO.COM (Raffaele Ciccarelli