GLIEROIDELCALCIO.COM (Francesco Quattrone) – L’Inter e quello scudetto cucito sul petto dopo una cavalcata straordinaria. Il merito va a Giovanni Invernizzi, entrato in corsa e portato i nerazzurri a diventare Campioni d’Italia per l’undicesima volta. Una storia iniziata con tanta perplessità e finita con il lieto fine. Una rimonta impensabile, forse per alcuni, non per il giovane tecnico arrivato dalla Primavera.
La sua cura va dritta sulla testa dei giocatori. L’unione per compiere qualcosa di irripetibile. La fiducia, l’ottimismo e soprattutto il non accontentarsi, questi aspetti sono entrati nella routine dei calciatori tanto da ribaltare il pronostico. La sfida è iniziata in un ambiente quasi allo sfascio per diversi motivi: dalle cessioni, passando dai ritiri, fino al cambio presidenza. Invernizzi non si abbatte e cerca in tutti i modi di ricompattare il gruppo. Un tricolore particolare e inaspettato che rimane nei capolavori del club nerazzurro. L’uomo giusto al posto giusto. Alla fine vince il suo modo di essere e la squadra risponde presente.
Dall’inferno al paradiso tutto questo grazie all’artefice numero uno, Giovanni Invernizzi, da perfetto sconosciuto a eroe. Nella Gazzetta dello Sport del 4 maggio 1971 salta all’occhio la sua ambiziosità : “E ora la Coppa dei Campioni se il presidente allargherà la rosa…” Non fu proprio così ma nonostante tutto l’anno dopo Giovanni Invernizzi, senza tanti proclami come nella sua indole, portò quell’Inter ormai invecchiata alla finale di Coppa dei Campioni. A Rotterdam si trovò davanti l’Ajax di un certo Cruijff, di Neeskens, Krol, Haan e compagnia bella, alla seconda finale consecutiva. Non ci fu storia in quella finale, troppa la differenza con la vitalità ed il talento mostruoso dei giovani lancieri. Ma lo spirito era giusto: quello di provarci sempre e sfruttare al meglio il potenziale.
Altra differenza di quel capolavoro l’amore per l’Inter: “Sono nato interista e morirò interista”.
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