GLIEROIDELCALCIO.COM (Andrea Gioia)
Due gemelli che a volte e a qualcuno sembravano cinque.
La storia dei fratelli Filippini è legata ad una carriera al top, in un calcio professionistico che aveva poco a che fare con quello odierno, tutto lustrini e foto.
Per la mia intervista di oggi raggiungo Antonio Filippini, centrocampista del Brescia di Mazzone ma anche di Lazio e Livorno.
Mi sento subito a mio agio, Filippini è molto cordiale e disponibile. Inizio con le giovanili, come sempre faccio, per cercare di carpire la parte romantica del calcio da oratorio che ormai è andato perduto … “Io, come tutti i ragazzini, ho iniziato a sei anni in oratorio. La mia squadra si chiamava Urago Mella. Lì abbiamo fatto 4 anni prima che ci notasse la Voluntas, la squadra più forte che radunava tutti i migliori ragazzini della provincia. Lì sono passati i vari Pirlo, Baronio, Diana, Bonera. Due anni e poi settore giovanile del Brescia, prima dell’esperienza in C con l’Ospitaletto del presidente Corioni”.
Visto che si parla di serie minori, inevitabile per me chiedere ad Antonio se la Serie C dell’epoca era un campionato difficile … “Era molto difficile soprattutto perché, non essendoci le regole di oggi, il giovane giocava soltanto se era davvero forte. Giocavi contro calciatori di categoria che erano molto preparati. Tutto molto più competitivo”.
Parto con l’esordio e con il rapporto calcistico con il gemello Emanuele … “Sono entrato dalla panchina a 20 minuti dalla fine. Giocavamo contro la Fidelis Andria. Essendo bresciano, ero voglioso di dimostrare il mio valore e non avevo paura perché era come la realizzazione di un sogno. Ho anche rischiato di fare gol in quella partita. Con mio fratello ci trovavamo a memoria, bastava una semplice occhiata per capire le intenzioni reciproche. Eravamo in simbiosi”.
Capisco che per Antonio Filippini il rapporto con la squadra che lo ha fatto crescere è davvero forte. Brescia ed il Brescia, rappresentano una parte fondamentale di una grande carriera che lo ha visto giocare affianco a campionissimi come Baggio, Pirlo o Guardiola. Gli aneddoti sono tanti. Decido di iniziare dall’era Lucescu e dalla bizzarra idea di sostituirlo con il fratello gemello … “Eravamo a Perugia e mio fratello marcava un giocatore molto forte. Io giocavo ala destra e lui terzino. Durante l’intervallo, visto che mio fratello era stato ammonito, il mister Lucescu ci chiese di cambiare maglia per scongiurare una possibile altra ammonizione, ma noi ci rifiutammo per evitare problemi alla prima stagione in B. Era un calcio senza televisioni, ancora molto genuino”.
Poi il Brescia cambia registro: arriva il Divin Codino, silenziosamente, direttamente da un campetto nel quale era finito ad allenarsi da solo in attesa di squadra … “Baggio era il grande calcio. Il primo giorno che entrò nello spogliatoio iniziò a salutare tutti, uno ad uno, partendo dalla parte opposta rispetto alla nostra. Io, mio fratello, Diana e Bono lo guardavamo con gli occhi strabiliati come fosse un extraterrestre. Dall’altra parte Turkyilmaz, che era stato un nazionale svizzero, ci chiese se volevamo dei popcorn, quasi fossimo al cinema. Siamo scoppiati a ridere. I primi 15 giorni degli allenamenti nessuno voleva stare in coppia con lui per fare i passaggi, perché ci ritenevamo inferiori. Con il passare del tempo, però, abbiamo alzato l’asticella e siamo migliorati, tutti, perché un campione del genere in squadra ti fa migliorare. Baggio era un compagno fantastico, sempre sorridente. Un ragazzo d’oro e umilissimo. Un grande campione anche fuori dal campo. Mai una volta si è permesso di criticarci”.
Chiedo allora ad Antonio se ricorda il gol di Roberto alla Juventus, forse il suo più bello, sicuramente il più difficile … “Ricordo che Pirlo prese la palla dopo una serie di contrasti. Potevamo partire in contropiede ed infatti io gliela chiesi con insistenza. Anziché darla a me lanciò Baggio. Mentre mi arrabbiavo, capii che Roby stava facendo qualcosa di straordinario. Uno stop a seguire che scavalcò Van der Sar e ci permise di pareggiare a pochi minuti dalla fine”.
Passo al racconto degli altri grandi giocatori che componevano il Brescia di quegli anni e che hanno lasciato un segno indelebile nella storia delle rondinelle … “Guardiola era umilissimo, con le stesse caratteristiche morali di Baggio e Pirlo. Quando si allenavano insieme era una delizia. Hubner era simpaticissimo, il classico attaccante che pensava solo a fare gol. Tecnicamente molto molto forte. Pirlo era cinque o sei marce in più rispetto a tutti noi. La prima volte che venne in ritiro con la prima squadra vedevi che era di un altro pianeta. Buonissimo e disponibile”.
Siamo quasi alla conclusione di questa chiacchierata, ma ho ancora qualche domanda per Antonio. Inizio da Carletto Mazzone, storico mister di quella squadra di inizio duemila … “Lui non amava darci confidenza. Era molto distaccato e arrivava “il burbero” soltanto la Domenica. Lui diceva che non potevi nemmeno fargli domande. Però era di una coerenza impressionante e tutti gli volevamo bene perché era come un padre. Prima che arrivasse Baggio, ci riunì in albergo e prese un foglietto dalla tasca dicendoci che dentro c’era scritto un nome. Se quel campione fosse arrivato al Brescia, nessuno doveva creare problemi. E così fu”.
Vado avanti con l’eventuale rimpianto della Nazionale … “Sinceramente non ho nessun rimpianto, nel senso che ho sempre dato il massimo senza mai risparmiarmi. Quello era il mio livello e so benissimo che quando giocavo io c’era gente più brava di me ed era difficile giocare in Nazionale. La Serie A dei nostri tempi era al primo posto nel mondo. All’epoca i grandi campioni venivano in giovane età da noi”.
Da ex abitante della terra dei canguri, concludo con qualche domanda sull’esperienza da allenatore in Australia, affascinato da un calcio socialmente differente dal nostro … “E’ stata un’esperienza fantastica, con un modo di vivere totalmente diverso. Calcisticamente sono molto inglesi, molto schematici, ancora sui retaggi del calcio britannico. C’è bisogno di lavorare molto, per raggiungere il rugby nella cultura sportiva australiana”.
Grazie Antonio.