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Io sono Tatanka …

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GLIEROIDELCALCIO.COM (Marvin Trinca) –

Un volto d’acciaio contornato da uno sguardo impenetrabile, mi sento di descriverlo così Dario Hubner che noi tutti abbiamo conosciuto come Tatanka

La storia di Hubner è quella di giocatore che, nel corso della sua carriera ha colpito i cuori di ogni appassionato della sfera di cuoio. Sempre lì in quella provincia, che a tanti giocatori nel corso della propria carriera è andata sempre stretta, ma non a lui che invece è riuscito a farne un suo vanto raggiungendo risultati da far invidia a molti, perché se è vero che un grande atleta si valuta dai trofei vinti in carriera, allora è altrettanto vero che Hubner è l’eccezione a questa regola, un degno rappresentante, pur non avendo vinto, di questa categoria. Attaccante roccioso e con un fiuto del gol eccezionale, Tatanka, unico giocatore insieme a Igor Protti, ad aver vinto la classifica dei cannonieri di Serie A, Serie B e Serie C1 rispettivamente con Piacenza, Cesena e Fano.

Una cosa da far provare invidia ai giocatori più titolati di lui. Ciò che ha reso Hubner una vera icona popolare del calcio è in parte riconducibile alla sua storia personale, quella di un bomber operaio, perché prima di capire che il pallone fosse la sua vera strada, l’operaio l’ha fatto davvero e poi anche per la sua incredibile forza e corsa travolgente che li valsero proprio il soprannome di Tatanka, cioè bisonte in lingua Sioux, che lo accompagnerà per tutta la sua carriera.

Sigarette, grappa e gol, le prime due magari non erano caratteristiche specifiche che si richiedono a un giocatore, ma sono stati un marchio di fabbrica del suo personaggio sportivo

Un personaggio che Dario non se dovuto sforzare di costruire, anzi si è limitato a essere lui stesso in tutto e per tutto, qualcuno direbbe “vecchio stile” come dare torto a ciò.

Proprio questo suo essere sé stesso sempre e comunque permise a Hubner di entrare nel cuore di moltissimi tifosi di calcio italiano. Perché un’icona popolare? Perché Tatanka, come accennato prima, ha passato molta della sua carriera in squadre di provincia o poco blasonate, questo ha permesso alla sua figura rustica e sincera di legare maggiormente con i tifosi e di poter esprimere al meglio il suo grande potenziale. Tutto ciò poteva succedere perché quando guardavi Hubner dentro e fuori dal campo dicevi tranquillamente: “lui è come me”, una figura dove il tifoso poteva rispecchiarsi in maniera molto diretta. Ma nella sua mirabolante carriera ci sono state, senza ombra di dubbio, due esperienze importantissime che lo hanno portato a toccare risultati incredibili. La prima è quella con il mitico Brescia di Carletto Mazzone che lo porta a giocare al fianco di uno dei fuoriclasse più eleganti e cristallini del nostro calcio: Roberto Baggio.

Al Brescia arriva nel 1997, in serie A esordisce proprio con questa squadra a 30 anni, nonostante i 16 gol segnati le rondinelle purtroppo retrocedono. Ma quando alla guida della squadra arriva Carletto Mazzone cambia tutto, perché il romano carattere popolare e sanguigno sembra non trovare feeling all’inizio col bomber triestino, salvo poi trovare un punto di incontro e dare nuova linfa alla squadra. A completare il quadro c’è l’immenso Roberto Baggio che guida in maniera esemplare questa compagine portentosa. Hubner e Baggio, si, magari qualche anno fa sembrava una cosa sconosciuta e impossibile nel calcio, eppure insieme i due si trovano a meraviglia e Dario riesce a mettere a segno 17 reti. Una volta conclusa l’avventura col Brescia si piazza al Piacenza, dove nella “sua strepitosa” stagione 2001-2002, realizza 24 reti, dividendo il primato in classifica con lo juventino Trezeguet, contribuisce in maniera determinante alla salvezza del club emiliano e trovandosi a 35 anni a vincere la classifica cannonieri. Dopo questa performance, nell’estate del 2002, il Milan di Carlo Ancelotti lo porta in tournée in America, dove gioca tre partite senza segnare nemmeno una rete. La carriera di Hubner finirà a 44 anni in prima categoria nel Cavenago.

Cosa rimane oggi di lui nel calcio? La nostalgia di tanti tifosi che lo hanno ammirato per la tempra e il suo stile nazional-popolare ma soprattutto per aver dimostrato di come si può benissimo raggiungere grandi risultati anche senza vincere obbligatoriamente scarpe d’oro o palloni

Dario Hubner è un personaggio squisitamente pasoliniano che insieme ha saputo mettere anche un po’ di quel De André che raccontava la vita comune di tutti noi. È pasoliniano perché ha saputo catalizzare intorno alla sua figura quello che un tempo era il proletariato che andava allo stadio dimostrando ampiamente che si può emerge anche quando nessuno scommette un soldo su di noi e senza necessariamente rincorrere il successo come se fosse un’ossessione. C’è anche un po’ di Carmelo Bene in quel suo calcio spregiudicato fatto di forza e tempra fisica, quasi dissacrante che però conservava quella poesia “povera” che tanto appassiona le persone a questo sport, per citare il maestro mandando i fini critici calcistici del tempo a farsi un tè. Oggi che non gioca più, però, Tatanka è rimasto quello di sempre, vive in una cascina ristrutturata a Passarera, paese a pochi chilometri da Crema dove possiede un bar gestito dal cognato. In mezzo alla gente a fare i caffè, servire grappe e fumare sigarette, rimanendo fedele a quello che è sempre stato nella sua vita. Mentre per tutti noi rimarrà per sempre quel bisonte devastante che tanto faceva impazzire le difese altrui.

Un’artista del calcio popolare.

 

bibliografia

Dario Hübner, Tiziano Marino, Mi chiamavano Tatanka. Io, il re operaio dei bomber di provincia

Corriere.it 

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