(GLIEROIDELCALCIO.COM di Andrea Gioia)
Un bambino sta camminando per strada con le lacrime agli occhi. E’ deluso, amareggiato, non capisce come il suo amico pallone possa essere tanto crudele.
E’ il 3 Luglio del 1990 e si è appena concluso, di fatto, il sogno di tutti gli italiani.
L’Argentina di Maradona ha appena battuto una fortissima e sfortunata Italia, beffata sul più bello da una uscita avventata e dalla troppa paura di sbagliare un calcio di rigore.
I particolari, purtroppo, fanno la differenza, così come gli episodi.
Quel bambino piange e ripensa a come era cominciato quell’incontro ed il suo sogno azzurro.
Quella sera ci sono 27 milioni di italiani davanti alla tv…un numero mai visto per una partita di calcio. Per le strade c’è silenzio e tensione. C’è la voglia di festeggiare una finale troppo spesso annunciata e c’è il timore che il sogno venga spezzato.
Nello spogliatoio argentino, in un San Paolo quasi diviso nel tifo, c’è un portiere dalle grandi mani e dagli occhi che colpiscono. Si chiama Goycochea e ancora non sa che sarà l’eroe dell’incontro. Lo spera e lo immagina, fin dal 13 Giugno, da quando è subentrato al titolare Pumpido. C’è anche Diego Armando, il dio del calcio, l’uomo che ha sapientemente traghettato una parte di pubblico dalla sua parte.
Napoli ti ama, ma l’Italia è la nostra patria, recita uno striscione tanto semplice quanto significativo.
I giocatori della Nazionale stanno aspettando il momento di entrare in campo; sanno che il San Paolo non è l’Olimpico e intuiscono che quella non sarà una partita semplice.
C’è Toto Schillaci, il dio del mondiale, l’uomo venuto dal nulla ed in grado di portare gli azzurri avanti; c’è il capitano Bergomi, uno degli eroi del Mundial, non più ragazzino; c’è anche un riccioluto 23enne veneto dal piede senza eguali, capace di meravigliare con le sue giocate da predestinato. C’è, ma purtroppo è in panchina.
Azeglio Vicini ha scelto di dare fiducia al titolare Vialli, uomo di punta prima del torneo e poco risolutivo nelle prime partite.
L’Italia e tutti gli italiani stanno spingendo verso un successo che permetterebbe di ritornare a Roma e giocare per la vittoria finale.
E’ il minuto 17’ e Schillaci sta manovrando un pallone sulla fascia sinistra; sguscia via tra gli avversari prima di cedere la palla a De Napoli, altro idolo partenopeo.
Dopo una rocambolesca azione conclusa dal Gianluca della Sampdoria, la sfera torna al mitico Totò che la infila con un tiro al volo in mezza rovesciata.
1- 0 per l’Italia. Stiamo vincendo e l’Argentina non punge come dovrebbe.
E’ l’inizio della seconda frazione di gioco. Tutto sembra uguale, il copione della partita sembra lo stesso. L’albiceleste a difendere e gli azzurri ad attaccare. Ma arriva il minuto 68’ quando Maradona sta manovrando vicino l’area di rigore avversaria. E’ pressato e la passa a Olarticoechea. L’astuto Caniggia si sta inserendo nella impenetrabile difesa italiana, tra la roccia Ferri ed il momumentale Baresi. Sta aspettando quella palla e con la coda dell’occhio sta guardando Zenga, il portierone italiano ancora imbattuto nel torneo.
La palla sta arrivando ed il biondo attaccante sta per toccarla quanto basta, di nuca, per siglare il pareggio.
1-1 e tutto da rifare.
L’Italia tutta sta per affrontare i fantasmi della paura, quelli che portano dritti all’eliminazione. La partita si sta facendo dura e a nulla valgono i tentativi dei ragazzi di Vicini contro il muro sudamericano. Nemmeno quel riccioluto veneto, che di nome fa Baggio e che nel frattempo è subentrato, sta riuscendo a portare avanti la sua squadra. Ci sta provando, soprattutto su punizione, ma il sostituto di Pumpido ha le manoni troppo grandi e la sorte dalla sua.
Si stanno avvicinando. I calci di rigore sono lì e le gambe iniziano a tremare.
Il francese Vautrot sta fischiando la fine della partita e dei tempi supplementari.
Quel bambino, con gli occhi ancora lucidi, sta pensando a quei tiri dal dischetto, alla disperazione di Donadoni e di Serena e a quella corsa di quel portiere, dagli occhi spalancati e dal pugno chiuso, che va festante verso la sua panchina pensando a quanto sia benevolo il dio del calcio, a volte.
Per dirla alla Pizzul: “Sono immagini che non avremmo mai voluto commentare”.