Italia, calcio e società: sintesi storica del “Bel Paese” – Prima Parte - Gli Eroi del Calcio
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Italia, calcio e società: sintesi storica del “Bel Paese” – Prima Parte

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GLIEROIDELCALCIO.COM (Carlo Brizzi) – Se a un bambino gli regalano una palla dopo poco gli darà un calcio, perché è un istinto logico, una disposizione naturale, ed è da questa espressione dell’animo che è nato il gioco del calcio. Non voglio effettuare una ricostruzione storica del gioco del calcio ma piuttosto una breve sintesi del suo percorso in Italia e del suo rapporto con la società.

La prima squadra vincitrice del campionato italiano di calcio, il Genoa

Alla fine dell’800 in varie città cominciano a nascere le società sportive che promuovono quest’attività a imitazione di uno sport che in Inghilterra è praticato e regolamentato. Quest’origine è riportata in alcune ragioni sociali, ad esempio “Genoa Cricket and Football Club”, e dall’inglese abbiamo appreso tutto il vocabolario relativo abituandoci a parole come “goal, corner, penalty e offside”. In ogni caso, pur con i suoi termini inglesi, il gioco del calcio era entrato nella nostra vita trovando l’ordinamento che meritava e realizzandosi in campionati regolari. La scena italiana è stata animata da squadre cittadine dai nomi gloriosi che hanno preso a contendersi il titolo di Campione d’Italia. L’inizio folgorante fu proprio del Genoa che in più riprese avrebbe conquistato nove titoli, con la timida apparizione del Milan e dell’Internazionale prima dell’irruzione di città di provincia come Casale, Novese e Pro Vercelli che vinsero per molti anni prima che si consolidasse la supremazia di importanti squadre del Nord, la neonata Juventus, il Torino e il Bologna che si qualificava come “Lo squadrone che tremare il mondo fa”. Poi la nazione è stata dominata dal Partito Fascista che ha compreso quale arma propagandistica rappresentasse il calcio e lo ha usato a fini promozionali. Il primo atto fu di modificare il nome dell’Internazionale, che evocava tristi fantasmi, in Ambrosiana e di eliminare il vocabolario inglese e di conseguenza non più goal ma rete, non penalty ma rigore, e questi erano solo effetti superficiali mentre si volevano ottenere maggiori successi. Si presentava un’occasione unica e Mussolini in persona non volle perderla: i campionati mondiali! Nel 1930 si era disputato il primo in Sud America ed era stato un avvenimento che aveva riguardato poche nazioni, vinto dall’Uruguay dopo una lotta fratricida con l’Argentina.

1934 – L’Italia è Campione del Mondo

Quello successivo, nel 1934, fu assegnato all’Italia, rappresentando un’occasione propagandistica eccezionale. Fu nominato Commissario Tecnico Vittorio Pozzo con pieni poteri che allestì una rappresentativa nazionale di tutto rispetto. Disponevamo di una generazione di calciatori di alto livello e, infatti, vincemmo il titolo di “Campioni del Mondo”. Non era stato un caso e nel 1936 vincemmo anche il titolo di campioni olimpici alle Olimpiadi di Berlino, e non era ancora finita perché nel 1938 a Parigi guadagnammo il secondo titolo mondiale. I giocatori salutavano il pubblico con il braccio alzato e teso come voluto dal regime e il pubblico, festante per le eccezionali imprese sportive, lo considerava una naturale conseguenza del periodo storico che si stava vivendo. Il campionato di calcio si era talmente radicato nel panorama italiano che non fu nemmeno interrotto quando nel 1940 l’Italia entrò in guerra. Nel 1942 lo scudetto fu assegnato alla Roma che fu la prima a infrangere, per un breve momento, il predominio delle squadre del Nord. Nello scenario dell’Italia disastrata dalla guerra il campionato fu sospeso per riprendere con manifesta debolezza nel 1945/46 diviso in due gironi, il Sud e il Nord con spareggio finale tra le prime di ogni girone. L’Italia calcistica scoprì la settima meraviglia del mondo: il grande Torino.

Una squadra perfetta piena di campioni in tutti i reparti che macinava un gioco mai visto in precedenza, che prese a ingoiare scudetti come se fossero gelati, cambiando maglia e vestendo l’azzurro della nazionale con nove undicesimi. Un astro che cadde dal cielo nel Maggio del 1949 lasciando l’intera nazione in un lutto generale e profondamente sentito. Il Torino era primo in classifica da quattro anni ma quel campionato del 1948/49 non lo aveva ancora conquistato e fu deciso, che nelle poche partite restanti, le squadre avversarie si presentassero in campo la formazione “Primavera”, affinché gli incontri si svolgessero in parità di condizioni. In quegli anni una scoperta straordinaria scosse il paese e rivoluzionò la vita delle famiglie italiane, era stata inventata la schedina del Totocalcio.

La prima schedina

Era il miracolo del raggiungimento della ricchezza o almeno del benessere senza merito, e gli italiani si scoprirono scommettitori imparando a valutare la qualità delle squadre e a ipotizzare risultati mentre si consolidava la convinzione che non fosse una questione di conoscenza tecnica ma di fortuna a fare cadere una pioggia settimanale di milioni sui possessori delle schedine vincenti. Gli appassionati del gioco del calcio si riscossero dal torpore causato dalla grave perdita della nostra squadra migliore per un avvenimento straordinario che era alle porte, dopo dodici anni si sarebbero disputati in Brasile i Campionati del mondo e noi vi avremmo preso parte da campioni in carica. L’incidente aereo che aveva causato la scomparsa del Torino aveva lasciato nell’animo dei calciatori italiani una diffusa paura del volo, e fu quindi deciso che il trasferimento degli Azzurri avvenisse per mare. Arrivammo a Rio de Janeiro bolliti e poco allenati e il risultato si vide sul campo, dove la Svezia, che poi finì al terzo posto, ci eliminò subito. La nostra convinzione di essere forti nel mondo del calcio crollò in terra ma messa da parte la nazionale ci rituffammo nel campionato. Di nuovo salirono al proscenio i soliti squadroni, Inter, Milan e Juventus, e ritornammo alla realtà internazionale nel 1954 ai Campionati del Mondo in Svizzera. La delusione fu enorme perché l’avversario che ci fece tornare a casa era la modesta Svizzera. Questa volta la consolazione ci venne dalle migliorate condizioni di vita. L’Italia stava attuando una crescita impressionante, la Lira era stata premiata quale migliore valuta e l’industria aveva acquisito un vigore mai immaginato. La ricchezza si era calata anche nelle squadre di calcio che avevano preso a ingaggiare astri del firmamento mondiale. Vedemmo arrivare i campioni uruguayani che avevano umiliato il Brasile, Schiaffino al Milan e Ghiggia alla Roma e i campioni svedesi che ci avevano massacrato, Nordhal, Green e Liedholm tanto per citarne alcuni. Con il desiderio di rinforzare la Nazionale scoprimmo gli oriundi, calciatori che avevano un nonno italiano ai quali fu riconosciuta la cittadinanza e così Ghiggia e Altafini poterono indossare la maglia azzurra, senza però migliorare le sorti della nostra rappresentativa. Volevamo risollevarci ed ecco le qualificazioni per il Mondiale che nel 1958 si sarebbe svolto in Svezia, e questa volta risparmiammo le spese del viaggio perché fummo eliminati dall’Irlanda del Nord in una partita ripetuta per il mancato arrivo dell’arbitro. Si verificò, inoltre, un’invasione di campo e oltre ai goal beccammo anche qualche cazzotto. Il campionato in Svezia segnò il trionfo delle riprese televisive, già conosciute nella precedente edizione svizzera, e fece conoscere al mondo un ragazzo di diciassette anni, il più grande giocatore che abbia calcato i campi di calcio: Pelé. Lui non venne mai a giocare in Italia e avemmo la possibilità d’apprezzarne la maestria solo in occasioni internazionali.

Mike Bongiorno

Intanto l’Italia pulsava di vita straordinaria, l’autostrada del Sole coronava il sogno di collegare Milano con Roma e Napoli, frigoriferi e televisori trovavano domicilio in molte abitazioni e il gioco a quiz “Lascia o raddoppia” di Mike Buongiorno aveva portato gli abbonati della Rai a superare il milione. Nel campionato di calcio il monopolio della triade era stato rotto nel 1955/56 per merito di una Fiorentina rivoluzionata nel gioco da Fulvio Bernardini, ma subito dopo era stato riaffermato il potere delle solite grandi. Juve e Milan vinsero campionati ad anni alterni mentre ci avvicinavamo a un nuovo incontro mondiale, nel 1962 in Cile. Il tifoso è come un giocatore incallito e ogni volta che perde è sicuro di rifarsi alla successiva occasione. Affrontammo il Cile con una squadra dignitosa piena di oriundi argentini dal nome famoso come Maschio e Angelillo e … perdemmo, questa volta contro i padroni di casa con la fattiva collaborazione dell’arbitro inglese Aston che permise ai cileni di menarci anche con il ricorso ai pugni. Le partite le vedemmo in differita perché ancora non esisteva il collegamento tramite satellite, ma intanto gli americani annunciavano future imprese spaziali. Ritorniamo al campionato per trovare due sorprese straordinarie, il nuovo allenatore dell’Inter, il Mago Herrera, pagato a peso d’oro che avrebbe attraversato a lungo la scena italiana portando l’Inter anche alla conquista della Coppa dei Campioni; l’altra sorpresa fu rappresentata dal Bologna affidato al mago nostrano Fulvio Bernardini che vinse il titolo in una partita di spareggio proprio contro Herrera.

Sophia Loren e l’Oscar

Si profilava un altro campionato mondiale ma questa volta però, forti dei risultati di casa nostra, eravamo decisi a rifarci anche ai campionati del mondo del 1966 che si sarebbero svolti in Inghilterra. Ogni volta che pensavamo in grande finiva a “schifio” e la regola si ripeté ancora una volta: eliminati dalla Corea del Nord! Cercammo consolazione in altre attività quali il cinema con l’Oscar a Sophia Loren per il film La Ciociara diretto da Vittorio De Sica. Il calcio nazionale però stava dando segni di rinnovamento e ne ricevemmo conferma ai Campionati europei del 1968 che furono disputati in Italia. Affrontammo in semifinale la Russia a Napoli e la partita terminò in pareggio dopo i tempi supplementari. Il regolamento dell’epoca prevedeva il sorteggio con la moneta e la dea bendata favorì le sorti dell’Italia. La finale si tenne allo Stadio Olimpico di Roma l’8 Giugno contro una pimpante Jugoslavia e terminò in pareggio, 1 a 1, dopo i tempi supplementari. La finale fu ripetuta il 10 Giugno e l’Italia vinse due a zero con reti di Anastasi e Gigi Riva. L’Italia tutta poté festeggiare gli Azzurri campioni europei, mettendo in bacheca il primo titolo dopo il lontano 1938. Di ben altro spessore e importanza fu il passo enorme compiuto dall’uomo, il 20 Luglio 1969, con l’impresa dell’Apollo 11. Da anni seguivamo le attività spaziali degli Stati Uniti e i lanci in orbita di equipaggi nelle attrezzate navicelle, ma il viaggio dell’Apollo 11 segnò una tappa fondamentale della storia dell’uomo e potemmo vedere in riprese televisive lo sbarco dell’astronauta Neil Armstrong sulla Luna e i suoi passi sul suolo del nostro satellite. La vittoria ai Campionati Europei aveva aumentato la nostra autostima e aspettammo il successivo mondiale che nel 1970 si sarebbe disputato in Messico. Jannacci imperversava con la canzone “Messico e Nuvole” che si riferiva a tutt’altro cantando dei divorzi all’estero, roba da ricchi. Noi interpretammo quella canzone come un segno di buon augurio e questa volta il dio del pallone aveva deciso di premiarci.

In semifinale contro la grande Germania che schierava astri come Schnellinger, che militava nel Milan, Mueller e Beckenbauer disputammo una partita epica che dopo i tempi supplementari sarebbe terminata 4 a 3. La nostra era una squadra di prim’ordine con grandi giocatori tipo Boninsegna, Domenghini, Cera, il Rombo di Tuono Riva e due eccezionali campioni, Mazzola e Rivera. Purtroppo la conduzione tecnica era affidata a persone non eccellenti e alla fine perdemmo per stanchezza contro il Brasile che celebrò il terzo titolo per il superuomo Pelé.

Italia, calcio e società: sintesi storica del “Bel Paese” – Seconda Parte

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Romano, scrittore, romanziere, poeta. Con le sue opere ha partecipato a importanti premi letterari in Italia e all’estero. Dai genitori toscani ha ereditato l’amore per le terre delle origini familiari, Anghiari in particolare di cui è “Cittadino Onorario”. L’altra passione, il calcio, che fa da falsariga alle vicende della vita: mano nella mano con il papà a festeggiare lo scudetto della Roma del 1942. www.carlobrizzi.it

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