(GLIEROIDELCALCIO.COM di Andrea Gioia)
Raccontare quello che sono state le notti magiche per gli italiani è sempre un pò scontato. In quell’estate di 30 anni fa tutti si sentivano parte di qualcosa, di un progetto, di una vittoria, di un momento destinato ad incarnare un sogno poi infranto.
Il preludio a quell’Italia – Argentina che, probabilmente, rappresentò la più cocente sconfitta azzurra in più di un secolo di storia, ebbe luogo il 30 Giugno in uno Stadio Olimpico che pregustava la gioia di una finale troppo spesso annunciata.
Quel giorno la squadra di Azeglio Vicini affrontava la sorpresa del torneo, l’Eire guidato dal meno famoso dei fratelli Charlton, quel Jackie stratega di una formazione rognosa e decisa a vendere cara la pelle.
Persino La Gazzetta dello Sport, sulla prima pagina firmata Cannavò, esaltava la tenacia irlandese definendo quella squadra “Imbattibile”. E ne aveva ben donde.
L’Eire era imbattuto da 19 mesi e veniva da quattro pareggi consecutivi.
L’Italia aveva invece navigato sull’onda emotiva del momento, spinta da un pubblico senza eguali e da uno sconosciuto calciatore siciliano salito alla ribalta come il re mida scelto dal dio del pallone: Totò Schillaci.
Non c’era un clima di appoggio totale alle scelte tecniche del c.t., soprattutto alla luce del fatto che quella era la quinta nazionale diversa in cinque partite. Non proprio il modo migliore per far stare tranquilli tutti gli italiani.
Ma Vicini sapeva di dover giocare contro una formazione particolare, diversa dall’Uruguay sconfitto negli ottavi e poco avvezza a lasciar giocare totalmente i raffinati palleggiatori italiani. Bisognava cambiare, soprattutto in attacco. E così spazio al trio Donadoni – Baggio – Schillaci, tre piccoletti dal piede caldo e dalla tecnica sublime.
Minuto 24’, cross al centro di McGrath per la testa di Quinn e stacco imperioso a sovrastare Ferri. Parata plastica di Zenga.
Dieci minuti più tardi è il genietto di Caldogno a segnare un gran gol, annullato dall’arbitro per fuorigioco dubbio.
Al minuto 37’ l’episodio che cambierà l’incontro.
Palla persa dall’Eire nella trequarti italiana e contropiede imbastito da Baggio. Triangolo con Schillaci e palla di ritorno all’accorrente Giannini che si appoggia su Donandoni. Parte un tiro potente e angolato sul quale Bonner, colpevolmente, si esibisce in una parata goffa e stilisticamente discutibile, che ha l’effetto di servire un implacabile Schillaci.
1-0 per gli azzurri e quarto gol in quattro partite per il bomber siculo.
“Se Kevin Sheedy avesse giocato una palla semplice anziché cercare di tenerla, probabilmente non avremmo avuto quel risultato quel giorno” dichiarò anni dopo il saggio Charlton.
Probabilmente. Ma quel 30 Giugno del 1990 i ragazzi di Vicini giocarono una partita di sacrificio e di cuore, di astuzia e di attesa, vedendosi annullare anche due gol regolari.
Erano i più forti in campo, a dispetto del poco timore che incutevano agli irlandesi.
Lo dimostrarono anche in un secondo tempo segnato dall’arrembaggio irish e da una traversa colpita, tanto per cambiare, da uno Schillaci in versione Branco, capace di scagliare un bolide su punizione che si andò a stampare sulla traversa, prima di terminare la sua corsa sulla linea di porta (magari, con le moderne tecnologie, sarebbe stato gol).
Il giorno dopo, tutti si svegliarono con la convinzione che nemmeno Maradona avrebbe infranto il sogno di un intero popolo.
Tutti, compresa La Gazzetta dello Sport che, con un poco fortunato titolo a pagina 4, sentenziava: “L’Argentina ci porta bene, 11 precedenti e una sola sconfitta nel ’56”.
Tutti si sbagliavano.