SPECCHIO DELLE MIE BRAME. CHI È IL PIU’ BRAVO DEL REAME?
«Credo che sia migliore di me, appartiene a un’altra galassia». A pronunciare queste parole, nel lontano 1982, è il Pibe de Oro, al secolo Diego Armando Maradona.
Universalmente, o quasi, riconosciuto come il miglior giocatore di calcio. O quanto meno alla pari di Pelè, leggenda brasiliana, al quale vien spesso contrapposto.
Maradona non sta parlando però né di Pelè, né di Cruijff, Di Stefano, Zico, Platini e altre stelle del passato e di quel presente calcistico. No, Diego parla di un giocatore originario di El Salvador, il più piccolo, ma anche il più densamente popolato, stato del Centro America. Il nome di questo fenomeno del quale il Pibe declama virtù ai più sconosciute? Jorge Alberto Barillas Gonzalez.
JORGE ALBERTO BARILLAS GONZALEZ, OVVERO IL MAGO
In El Salvador, dove è una istituzione, Jorge Alberto González Barillas, detto anche El Mago, comincia a farsi notare a 17 anni, acquistato dal Club Deportivo FAS di Sant Ana, con il quale vince due titoli nazionali consecutivi e una coppa campioni CONCACAF, trascinando al contempo la sua nazionale ad una storica qualificazione ai mondiali di Spagna ’82, quelli tanto cari a noi.
La nazionale de El Salvador si qualificherà a sorpresa, per i mondiali 1982 in Spagna, stendendo il Messico del giovane fenomeno Hugo Sanchez. Il gol qualificazione lo segna un certo Hernández, ma in pratica lo ha fatto proprio Jorge Alberto González Barillas, seminando l’intera difesa messicana e mettendo il compagno in condizione di doverla appena spingere dentro. E, seppur il piccolo El Salvador va incontro a disfatte storiche (1-10 contro l’Ungheria), El Mago riesce ad attirare le attenzioni su di lui, giocando talmente bene da venire inserito, a fine torneo, nella top 11 della manifestazione!
Niente male per uno che gioca in una nazionale che nemmeno era presa in considerazione dagli organizzatori del torneo. Infatti, arrivati in Spagna con una colletta popolare che permise di pagare i biglietti aerei, trovarono la corriera che li avrebbe portati in ritiro, che però, era verde bianco e rossa, perché la FIFA aspettava il blasonato Messico di Hugo Sanchez!
Al ritorno dalla Spagna, qualcuno, nel piccolo paese centro americano, svalvola maledettamente: i calciatori della nazionale, poco più che dilettanti con i canoni dell’epoca, al ritorno in patria vengono minacciati di morte, ripudiati dai loro club, umiliati pubblicamente per essere stati nient’altro che una Cenerentola.
Alcuni dirigenti proposero addirittura l’impiccagione nello stadio della capitale, mentre l’allora diciassettenne portiere Luis Guevara Mora, l’angelo custode delle qualificazioni, nonché bersaglio favorito della gogna popolare, uscì miracolosamente illeso da un attentato in cui gli crivellarono l’auto con mitra.
Nonostante ciò, in nazionale Magico Gonzalez segnerà 41 goal in 48 presenze!
Il suo soprannome fu coniato dal commentatore sportivo Rosalío Hernández Colorado che dopo una partita tra ANTEL e Club Deportivo Aguila terminata 3-1 lo definì El mago.
EL MAGO IN EUROPA: CHE LO SPETTACOLO COMINCI!
La Fiorentina di Antognoni, la Sampdoria fresca promossa in A, il PSG e qualche squadra inglese cercano di accaparrarsi i suoi servigi. Ma lui dimostra subito che oltre alle capacità funamboliche nel calcio, anche nella vita ordinaria dribbla ogni pensiero ad una velocità superiore anche a quella esplosa in campo. Semplicemente non si presenta agli appuntamenti e finisce con l’accordarsi con la piccola squadra spagnola del Cadice.
Ci prova persino l’Atalanta, l’esito è racchiuso in un dialogo surreale ma che descrive perfettamente il nostro attore.
«Si mangia pesce fritto a Bergamo?», chiese al suo agente.
«No Magico, al massimo qualche acciuga con la polenta».
«Allora rimango qui».
Volete sapere il perché di questo comportamento? Semplice, è lui stesso a spiegarlo, ancora oggi.
“Riconosco che non sono un santo, che mi piace la notte e che la voglia di sbronzarmi non me la toglie neanche mia madre. So che sono un irresponsabile e un pessimo professionista, e che probabilmente sto sprecando l’opportunità della mia vita. Lo so, però ho una “scemenza” nella testa: non mi piace considerare il calcio come un lavoro. Se lo facessi, non sarei più io. Io gioco solo per divertirmi”.
Comunque l’El Salvador è dilaniato da una guerra civile dal 1980, i giocatori non percepiscono stipendi in un paese dove la povertà è in ogni angolo e Magico può, e deve, sfruttare quella opportunità che ha avuto nella vetrina dei Mondiali. L’importante è trovare una squadra a sua dimensione. E chi meglio della Spagna, per varie affinità. Ma non al Real o al Barcellona, che pure lo cercano, ma nella bella Andalusia, terra di mille colori con il mare e le spiagge che si alternano a paesaggi lunari con basse e brulle montagne.
Terra di chitarre e flamenco, belle donne e allegria, dove Cadice, di ciò, ne è capitale. E in Spagna si diverte lui e i tifosi del piccolo Cadice. Un po’ meno i tifosi e i difensori avversari.
Il primo anno è monstre: 15 reti in 33 gare totali.
Tozzo, marchiato, dagli inconfondibili lineamenti da indio, non proprio un Adone, fa impazzire con tunnel, gol spettacolari, rabone, finte e altro il pubblico andaluso che subito lo rinomina “Magico”.
Colpi sempre spettacolari, mai fini a sé stessi, il più famoso dei quali rimane quello della “culebra macheteada”, in cui invita l’avversario a farsi sotto per poi schivarlo come un torero fa con il toro tra gli applausi di approvazione del pubblico.
Elastici, colpi di tacco, cucchiai, dribbling in velocità, carezze con la suola, tunnel, sombreros e qualsiasi movimento con la palla un corpo umano possa concepire, sono le magie che ogni benedetta domenica mette in campo.
Magico Gonzalez però non è solo un teatrante da circo catapultato nel calcio, una foca ammaestrata si direbbe oggi, il tipico funambolo sud americano è molto di più: al di là dei numeri da illusionista c’è un giocatore a tutto tondo, capace, di avere una visione panoramica del gioco e delle linee di passaggio, un assist-man formidabile, con in dote una tecnica spaventosa.
“A Cadice, durante un allenamento, lo sfidammo a fare 10 palleggi con un pacchetto di sigarette. Ne fece quasi 30» (Davíd Vidal, ex-allenatore del Cadice)
E uno che se ne intende di magie, un certo Diego Armando Maradona, dirà di lui: «Provavamo a imitarlo ma era impossibile, era unico, uno dei migliori della storia»
TUNNEL E DORMITE, GOAL E DONNE
A Cadice, come detto sopra, fa impazzire una città intera, che gli dedica una statua, lo coccola, aspettando il rito sacro domenicale dove il nostro Houdini del calcio non mancherà di stupire un pubblico felice e festante.
A dire il vero fa impazzire anche i suoi dirigenti, in virtù di un comportamento non sempre da professionista. Gli piace dormire, tanto da tardare agli allenamenti, e allora la società, per svegliarlo, gli manda una
banda musicale. Lui si alza e come se fosse la cosa più naturale del mondo risponde così:
«Sia chiaro: scendo dal letto soltanto perché è una bella musica, di mio gradimento».
Gli piacciono le donne, l’alcol, le feste notturne, i locali con ogni tipo di vizi. E lui, oltre che Magico, è anche un re a Cadice. Tutto gli viene perdonato, anzi si fa a gara per averlo ospite nei locali.
Dopotutto che puoi mai dire ad un giocatore che entra in campo il secondo tempo e, da solo, con due gol e due assist, ti fa vincere una partita che stai perdendo con il Barcellona per 0-3?
NON SVEGLIATE IL CONDUCENTE, SE È MAGICO GONZALEZ
Maggio 1983, il Cadice affronta i blaugrana nel torneo Ramón de la Carranza. Incomincia la partita, ma “Magico” non c’è. Nessuno sa dove sia.
Il Cadice entra in campo e ne prende tre nel primo tempo, come è anche naturale che sia. È ben poca cosa senza il suo indio, paracadutato in Spagna da un piccolo paese centro americano
dove mai ti immagineresti che possa nascere un talento simile. Nell’intervallo della partita, però, accade qualcosa: Magico ha deciso di presentarsi allo stadio.
Ancora pieno di sonno, e forse di alcol, entra negli spogliatoi e l’allenatore decide di mandarlo in campo.
Il risultato è un incubo.
Per il Barcellona, però.
Due goal, due assist e una serie di giocate al limite del paranormale, il tutto davanti a sua maestà Diego Armando Maradona.
La partita finisce 4-3 per il Cadice, fra il tripudio di un pubblico che è convinto che il suo paradiso sia in quello stadio, e il suo Dio sia quell’indio al quale tutto va perdonato.
Perché anche la follia, a volte, è arte.
Il PSG lo cerca, ma lui lo dribbla come gli avversari sul campo.
«E che ci vado a fare a Parigi? È una città troppo grande, non conosco la lingua»
TOURNEE IN USA, BIONDA NEL LETTO
Il Barcellona se lo porta a fare una tournee negli USA. Vorrebbe acquistarlo, ma prima vuole provarne non tanto le doti tecniche, quelle indiscusse, ma i
limiti caratteriali, che lo sono altrettanto. Gonzalez gioca una serie di partite a fianco del mito argentino Maradona, a quello olandese Cruijff e ad altri campionissimi.
Li oscura tutti, il pubblico ha occhi solo per lui.
E il Barcellona decide di acquistarlo, prevedendo una gran coppia con l’asso argentino. Pare che Magico sia ok anche dal punto di vista caratteriale, in verità i dirigenti blaugrana hanno fatto però i conti senza il destino, che si rivela attraverso il suono di un allarme antincendio (che poi si rivelerà fasullo) che scatta nell’albergo che ospita i blaugrana.
Tutti i clienti, compresi giocatori del Barca, evacuano immediatamente l’albergo.
Tutti tranne uno.
Indovinate un po’ chi!
Lo vanno a cercare e lo trovano, nella sua stanza, naturalmente a letto, meno naturalmente in compagnia di una procace bionda. Alle rimostranze dei dirigenti lui fa spallucce.
«Non avevo ancora finito con lei».
È troppo, anche per il club blaugrana, e così lo rispedisce a Cadice per la felicità del Magico, dei tifosi e delle tifose.
Un po’ meno per quella della dirigenza che già pregustava un ricco bottino per la sua cessione. Forse, conoscendo la sua poca propensione per la vita da professionista, potremmo pensare che Magico l’abbia fatto appositamente per non lasciare la sua Andalusia, le chitarre, i colori e il flamenco, i paesaggi lunari e le spiagge.
Una città, Cadice, che ha il grande pregio, agli occhi di Magico, di aver istituzionalizzato la siesta diurna.
EL MAGO OGGI, LA VITA COMA UNA CORSA IN TAXI
Lo cedono al Valladolid ma lui proprio non ci si trova e ritorna al Cadice dove rimane fino al 1991, in tempo per allungare la lunga scia di magie in campo e fuori, di goal e di donne, di rabone e dormite nel suo campo preferito, il letto.
E mica sempre solo lì. Non è leggenda quella volta che lo trovarono a dormire dentro un disco-club del centro, accovacciato all’interno della consolle del Dj, compromesso dall’alcol.
Niente di strano se solo si fosse capaci di entrare nella psicologia del personaggio: si era messo semplicemente d’accordo con il proprietario del locale, uno dei tanti che per lui non era un mistero, per dormire fra giradischi e sgabelli nel caso in cui non fosse stato in grado di raggiungere casa.
Fa ritorno in patria, mettendosi al servizio del Club Deportivo FAS, squadra di Santa Ana, la seconda città dello stato.
Giocherà fino al 1999, ritirandosi infine a 41 anni suonati.
Qualche anno dopo, nel 2006, il consiglio comunale di El Salvador approva una delibera secondo la quale lo stadio Flor Blanca di San Salvador viene rinominato Estadio Nacional Jorge Mágico González.
Ma lui è El Mago, il Magico, e il suo repertorio di magie, e follie, non può finire di stupire.
Così che, ancora oggi, se vi venisse voglia di fare turismo nel piccolo paese centro americano, potreste trovarvelo di fronte, diventare suoi clienti facendovi scorrazzare per le strade de El Salvador e facendovi raccontare la sua storia.
Infatti, terminato di dribblare gli avversari in campo, Gonzales dribbla il caotico traffico del suo paese.
Si è infatti iscritto ad una compagnia ed è diventato un tassista.
«Al di là dei tradimenti degli uomini/È magia, è magia, è magia» (Rotolando verso sud – Negrita)