Da sempre le grandi manifestazioni sportive sono state un’occasione per veicolare grandi o piccoli messaggi, approfittando del fatto di coinvolgere grandi masse di persone, di avere una visibilità praticamente ecumenica.
Inizialmente furono i Giochi Olimpici, che avevano anche la capacità, invero presunta, di fermare i conflitti bellici; poi vennero i giochi dell’Antica Roma, con i gladiatori, veri idoli delle folle, elevati al rango di “eroi sportivi”, con i giochi diventati essi stessi un mezzo dei vari imperatori o dittatori per distrarre le masse, propinando il classico panem et circenses; si è poi passati, in tempi moderni, di nuovo ai Giochi Olimpici che, approfittando della loro diffusione mondiale con l’incremento dei mezzi mediatici, sono diventati strumenti di propaganda e di schermaglie di potere, si pensi ai tentativi nazisti di esaltare la razza ariana a Berlino 1936, ai vari boicottaggi intercorsi tra il 1976 e il 1984, addirittura con il sangue entrato ai Giochi con gli attentati palestinesi di Monaco 1972.
Una breve carrellata, quella sopra, che ci fa ben capire come le grandi manifestazioni sportive siano terreno fertile per coloro che intendono trasmettere messaggi urbi et orbi, ma anche una cassa di risonanza che amplifica a dismisura qualsiasi gesto accada.
Da tutto questo non sono esenti, naturalmente, i mondiali di calcio, grazie alla universale popolarità di questo sport, come abbiamo anche potuto constatare nei, per certi aspetti, controversi mondiali che si sono svolti in Qatar.
Sono tanti gli episodi che si possono raccontare, più o meno conosciuti, che hanno suscitato scalpore, a volte anche ilarità al momento, ma che nascondevano motivazioni ben più serie e drammatiche.
Nel 1974 i decimi mondiali di calcio erano in programma in una Germania divisa tra Est e Ovest, ferita dai recenti attentati ai Giochi, come abbiamo già scritto.
Tra i tanti spunti storici che ogni edizione della competizione alla fine riserva, questo fu il primo mondiale in cui cambiò il trofeo, non più la “Coppa Jules Rimet” definitivamente assegnata alla terza vittoria del Brasile, ma la nuova “Coppa Fifa”, opera dell’artista italiano Silvio Gazzaniga; ci fu la prima qualificazione di una nazionale dell’Africa Nera, lo Zaire.
Mwepu-Ilunga
Per chi cercasse, oggi, il nome di questa nazione sulla carta geografica, non troverebbe nulla, perché quella denominazione la Repubblica Democratica del Congo, questo il nome attuale, la assunse nel periodo tra il 1971 e il 1997, quanto durò la dittatura di Mobutu Sese Seko.
Preso il potere con un colpo di stato, questi governò in maniera sanguinaria e violenta, cercando poi di ripulirsi l’immagine anche attraverso lo sport, come quando il 30 ottobre 1974 volle l’organizzazione del match di pugilato per il titolo mondiale dei pesi massimi tra George Foreman e Muhammad Alì a Kinshasa, passato alla storia come “The Rumble in the Jungle”.
La qualificazione della nazionale di calcio al mondiale tedesco rappresentava l’altro suo punto d’orgoglio, ora bisognava ottenere risultati almeno onorevoli, ma sul campo andò diversamente.
Inserito nel gruppo 2 con Brasile, Jugoslavia e Scozia, lo Zaire partì con una sconfitta dignitosa, il tonfo avvenne nella seconda gara contro gli slavi, quando gli africani persero nove a zero, e ci fu un primo episodio che vide protagonista il nostro “eroe a posteriori”.
Joseph Mwepu Ilunga era un buon difensore che si era distinto in nazionale in quell’anno partecipando alla vittoria in Coppa d’Africa e contribuendo alla qualificazione ai mondiali della sua nazionale.
lafigurinadimwepu_thumb
Nel match contro la Jugoslavia, al quarto gol segnato da Josip Katalinski in fuorigioco e convalidato dall’arbitro colombiano Omar Delgado Gomez, Mwepu, nella ressa generale che seguì, colpì lo stesso arbitro con un calcio.
Non avendo individuato il colpevole, l’arbitro espulse un altro giocatore: episodi che accadevano quando l’occhio del “Grande Fratello” era meno invadente e invasivo, non esistevano moviole o prove televisive.
La mancata squalifica permise a Mwepu di essere in campo anche nell’ultimo match contro il Brasile, il 22 giugno 1974, sempre al “Parkstadion” di Gelsenkirchen.
La vittoria dei verde oro non era, naturalmente in discussione, dopo la rete di Jairzinho nel primo tempo gli africani iniziarono a cedere nella ripresa, quando Rivelino e Valdomiro portarono a tre i gol, all’85’ accadde il fatto: punizione dal limite per il Brasile, Rivelino, uno dei maggiori specialisti dell’epoca, si apprestava a battere quando, all’improvviso, un istante prima del fischio dell’arbitro rumeno Nicolae Rainea, Mwepu uscì dalla barriera e calciò lontano il pallone.
L’episodio suscitò l’ilarità generale, molto si ironizzò sulla sprovvedutezza degli africani, sulla loro ingenuità.
Solo anni dopo si sarebbe scoperto cosa c’era, in realtà, dietro quel gesto.
ilunga-mwepu
Dopo la pesante sconfitta subita contro la Jugoslavia, ai giocatori fu recapitato un eloquente messaggio da parte del dittatore Mobutu: se avessero perso con più di tre gol di scarto al cospetto dei campioni del mondo in carica, la squadra sarebbe scomparsa, e così anche parenti e affini dei giocatori.
Fu per scongiurare questo tragico destino che Joseph Mwepu Ilunga, istintivamente, cercò di allontanare il pericolo, per contenere il passivo, per trascorrere quei minuti finali con la paura dentro e il fischio finale come meta, per garantire la sopravvivenza a sé stesso, ai compagni, ai loro familiari.
Anche nel corso del recente mondiale in Qatar, forse memori di questa storia dello Zaire, molti si sono preoccupati della sorte che potrebbero avere i giocatori dell’Iran che, non cantando l’inno durante la prima partita, e anche con dichiarazioni successive, si sono apertamente schierati contro il regime duro che vige nel loro paese.
Gesti, questo come quello di Mwepu Ilunga che, forti della visibilità mondiale, invitano alla riflessione, perché spesso in palio, in una partita di calcio, per certe nazionali, può non esserci solo una vittoria o una sconfitta, ma la vita stessa.
allenatore di calcio professionista, si dedica agli studi sullo sport, il calcio in particolare, dividendo tale attività con quella di dirigente e allenatore.
Giornalista pubblicista, socio Ussi e Aips, è membro della Società Italiana di Storia dello Sport (Siss), dell’European Committee for Sports History (Cesh), dell’Associazione dei Cronisti e Storici dello Sport (La-CRO.S.S.).
Relatore a numerosi convegni, oltre a vari saggi, ha pubblicato: 80 voglia di vincere – Storia dei Mondiali di Calcio (2010); La Vita al 90° (2011), una raccolta di racconti calcistici; Più difficile di un Mondiale – Storia degli Europei di Calcio (2012); Il Destino in un Pallone (2014), una seconda raccolta di racconti calcistici; Lasciamoli giocare-Idee per un buon calcio giovanile (Edizioni del Sud, Napoli 2016).
Per GliEroidelCalcio in convenzione S.I.S.S.