Tra le pagine del Corriera della Sera, di mercoledì 10 agosto, potete ritrovare un interessantissima intervista fatta a Giovanni Cabrini. Tra i tanti temi, il bianconero Campione del Mondo, si è soffermato sulla sua esperienza alla Juventus, sul suo ex compagno Paolo Rossi e tanti altri aneddoti.
Ecco le sue parole:
[…]E quale ricordo conserva, oggi, di quella Juve a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta. nella quale lei è stato anche capitano?
“Una grande avventura prima di tutto umana. Vede, io sono nato a Cremona, sono tutto sommato un provinciale. Ma l’aver vissuto a Torino mi ha insegnato tanto. Per esempio, a essere più sobrio: ieri come oggi Torino è la città ideale per un calciatore, perché anche se ti riconoscono per strada, la ritrosia sabauda impedisce loro di fermarti e chiederti un autografo o una foto”
Ma Torino, In quegli anni, aveva ben altri nodi: le proteste sindacali, il terrorismo. Voi calciatori eravate comunque già ben pagati: siete stati mai contestati?
“Un punto interessante: i cancelli di Mirafiori e il campo dove noi ci allenavamo erano vicini. Io tante volte sono passato da solo con la macchina in mezzo ai picchetti di protesta. Eppure non ho mai avuto nessun problema. Mi sono fatto l’idea che quegli operai ci abbiano sempre considerati simili a loro. Tutti eravamo alle dipendenze di un’azienda molto potente e dunque vedevano in noi dei lavoratori. Certo, privilegiati rispetto a loro, ma sempre lavoratori”
E la società che atteggiamento aveva?
“Le faccio un solo esempio che spiega tante cose. Io stesso ho avuto una situazione difficile, perché ad un certo punto rapirono quello che era il compagno di mia nonna. Iniziarono le trattative, però i sequestratori sapevano bene chi ero io e che cosa facevo. Con grande discrezione, il club mi mise a disposizione un’auto blindata per un certo periodo. Ricordo ancora che Boniperti veniva negli spogliatoi a sentire l’umore. Era evidente che anche noi eravamo preoccupati per il clima che si respirava, e così ci tranqulllizzava dicendo: “Andrà tutto bene” “
Boniperti è quello che vi voleva tutti ammogliati nel più breve tempo possibile?
“Sì, era convinto che il matrimonio ci avrebbe dato stabilità e solidità, ma, anni dopo, ha confidato a mia moglie Marta che aveva sbagliato tutto: “La maggior parte di quelli che si sono sposati giovani oggi sono separati”, ammise”
[…]Parla del rigore che Iei sbagliò in finale?
“Proprio quello. Per me fu un colpo terribile, sia perché all’epoca non si coltivava l’importanza degli errori come si fa oggi, sia perché capivo di aver sbagliato in una cosa che mi riusciva sempre bene e questo mi faceva molta rabbia. Comunque, ne fui alquanto scosso e, anche se poi il Mondiale lo vincemmo lo stesso, io avevo quel peso dentro. Che vivevo come una colpa, non come una casualità sfortunata. Così, sull’aereo del ritorno, mi avvicinai a Pertini e gli sussurrai: “Chiedo scusa per l’errore”. Il presidente mi guardò e mi disse: “Non dica sciocchezze, abbiamo vinto, è un grande risultato di tutti”. Eppure io avevo sentito il bisogno di scusarmi con lui, che li rappresentava tutto il Paese”
Quel Mondiale è parte della nostra storia recente. La partita a carte sull’aereo con Pertini, il sorriso di Bearzot. Che ricordi ha lei?
“Io e Paolo (Rossi. ndr.) eravamo in stanza assieme. E Tardelli veniva a romperci le balle, come d’altra parte faceva con tutti. perché non dormiva e non a caso il mister lo chiamava Coyote. E allora Bearzot ogni tanto piombava in camera per riprendersi Marco e cominciava a farci la predica sull’importanza di riposare, di essere lucidi l’indomani, eccetera. Il problema è che poi anche lui si sedeva accanto a noi e cominciava a parlare di tattica, strategie, ruoli. Io e Paolo volevamo soltanto dormire, ma come facevamo a dirglielo?”
E vai di notti insonni!
“Però che perfidi i giornalisti quando fecero insinuazioni sul fatto che io e Paolo dormivamo assieme. Qµelle cose ci amareggiarono molto e così decidemmo per il silenzio stampa”
Lei ha citato Prandelli, ma anche Pablito è stato un suo caro amico. Un ricordo?
“Un ricordo buffo. Paolo era goloso di caramelle e così girava sempre con le tasche piene. Però se gliene chiedevi una diceva sempre che non ne aveva. E quando doveva mangiarne, la scartava in tasca e se la portava alla bocca con la stessa velocità con cui scattava sul campo. Io penso che lui provasse quasi imbarazzo per questa golosità, come se fosse una debolezza. Questo ricordo me lo rende ancora più caro”
Un’altra figura importante nella sua carriera è stato Giovanni Trapattoni.
“Un uomo inflessibile. Non dimenticherò mai quella volta che mi indicò un percorso da fare di corsa entro un certo tempo. Quando aggiunse: “Se io trovo uno che, nello stesso arco di tempo, fa un passo in più, lo metto al tuo posto”
È vero che Gianni Agnelli vi telefonava alle sei del mattino?
“Eccome. Chiamava soprattutto Platini, ma una volta chiamò anche me e io non ricordo nemmeno che cosa risposi. Ma vorrei dire una cosa: Agnelli non era soltanto il proprietario della squadra, era un uomo che di calcio capiva davvero e che sapeva tenere certi equilibri. Platini lo scelse lui, così come anche altri. E ci teneva moltissimo alla squadra: un giorno lo vidi arrivare al campo di allenamento seguito da un uomo non tanto alto e ben vestito. Lo riconoscemmo poco dopo, era Henry Kissinger. Al campo l’Avvocato portava intellettuali, imprenditori, grandi protagonisti di quella che era la geopolitica dell’epoca: una visione molto lungimirante non tanto della squadra, quanto del calcio nella sua interezza”
[…]Com’era Maradona fuori dal campo?
“Un ragazzo dolce e disponibile, è stato quello che si è caricato addosso tutte le problematiche della squadra e della società. Meno maie che a me non toccava averci a che fare durante la partita, perché era davvero il più forte di tutti. E anche corretto: in campo con lui ci andavano molto pesante, ma io non gli ho mai visto fare scorrettezze evidenti”