Storie di Calcio

16 Febbraio 1986: la cinquina di Pruzzo contro l’Avellino

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GLIEROIDELCALCIO.COM (Francesco Giovannone)

Un uomo avverso alle copertine, spigoloso e diretto

La storia di Roberto Pruzzo è quella di un calciatore di altri tempi che appare davvero lontana dai nostri attuali paradigmi e non soltanto in termini di tempo. Un uomo avverso alle copertine, spigoloso e diretto, con un baffo anacronistico tipico anni ’70 che oggi faremmo anche fatica ad identificare come un giocatore di calcio.

Roberto nasce a Crocefieschi, un paesino abitato da 600 anime a mezz’ora di macchina da Genova. Proprio sulla sponda calcistica rossoblu del capoluogo ligure inizia la sua carriera, non è un attaccante dotato di grande fisico e le sue movenze di certo non ricordano quelle eleganti di Cruyff, ma è scaltro ed efficace e paradossalmente il colpo di testa è il suo pezzo forte, grazie al suo tempismo e alla sua grande elevazione.

Esordisce in Serie A ad appena 18 anni, è il 2 dicembre 1973 e il Genoa è di scena nella trasferta di Cesena. La stagione in realtà non gli regala grandi soddisfazioni: 19 presenze e nessuna realizzazione, parecchia sfortuna lo accompagna e il grifone quell’anno retrocede in Serie B, ma proprio questa sciagura sportiva si rivela una rampa di lancio per il giovane Pruzzo: in vista del campionato cadetto la società conferma la fiducia al ragazzo seppure in stagione non abbia messo a segno nessuna rete.

La scelta si rivela azzeccata, perché nella stagione 1974/75 realizza 12 reti e nel campionato successivo Pruzzo diventa addirittura capocannoniere in serie B mettendo a segno 18 goal. Proprio grazie alle prestazioni della giovane punta il Genoa torna in serie A, Pruzzo timbra il cartellino anche nella massima serie per 18 volte e si guadagna dai tifosi il meritato appellativo di “Bomber”. La stagione successiva è in chiaroscuro e mette a segno la metà del bottino ma ormai il talento di

Crocefiaschi è una realtà del calcio italiano e molte società di serie A se lo contendono. Alla fine la spunta la Roma che lo tessera nella stagione 1978/79.

La squadra giallorossa in quel momento storico non appare una scelta di primissimo piano perchè vivacchia in posizioni di classifica anonime. Quell’anno Roberto segna all’esordio contro il Verona, ma soprattutto salva la Roma dalla retrocessione alla penultima giornata con un gol pesantissimo all’Atalanta. Il primo anno chiude con 9 reti mentre diventa capocannoniere della serie A nelle stagioni 1980/81 e 1981/82, rispettivamente con 18 e 15 reti (nella stagione successiva, quella dello scudetto della Roma, realizza 12 goal). Il suo ritmo realizzativo scema nei campionati successivi ma Pruzzo ha un sussulto nel campionato 1985/86, quando realizza la sua migliore performance in carriera con ben 19 centri e vince per la terza volta la classifica dei capocannonieri. Questa è una stagione magica e allo stesso tempo disgraziata per la Roma dello svedese Eriksson, che vede vanificata al rush finale un’emozionante rincorsa ai rivali della Juventus che si aggiudicano il tricolore. Il bottino del bomber quell’anno è da record anche per via di una prestazione storica che ancora oggi è ricordata come una vera e propria impresa.

É Il 16 febbraio 1986 e all’Olimpico è di scena l’Avellino di mister Robotti. Il primo tempo non fa pensare a scenari molto rosei per la Roma, la prima frazione si chiude infatti col punteggio di 1-1 con il gol iniziale di Pruzzo su calcio di rigore e la risposta biancoverde firmata dall’otttimo Ramon Diaz. Nella ripresa, l’Avellino riesce a resistere nei primi minuti della ripresa dopo di che il centravanti di Crocefiaschi decide di scrivere la storia, sfoggiando tutto il suo repertorio: al 12’ insacca di testa su punizione-cross di Bruno Conti, al 24’ imbeccato da Boniek in azione di rimessa, dribbla il portiere Ferroni e infila la terza rete di sinistro, al 42’ ribadisce in rete una conclusione di Gerolin respinta da un giocatore avellinese, e solo due minuti più tardi completa la cinquina ancora su calcio di rigore, concesso per fallo di mano di un

giocatore della squadra ospite. Incredibilmete il centravanti della Roma trova addirittura il tempo di farsi invalidare un altro gol per via di una presunta irregolarità.

É una giornata davvero indimenticabile per lui e per la Roma che superando anche l’ostacolo Avellino, e approfittando del contemporaneo pareggio della Juventus nel derby della Mole, si porta a meno tre dai bianconeri. Per i ragazzi di Eriksson, alla sesta vittoria di fila, iniziava davvero a diventare credibile una straordinaria rimonta, che, come accennato, dopo aver fatto sognare i tifosi romanisti si conclude amaramente con l’ancora oggi inspiegabile sconfitta dell’Olimpico con il Lecce già retrocesso.

Per capire la portata dell’impresa di Pruzzo basti pensare che per ritrovare una prestazione simile bisogna tornare indietro nel tempo, alle gesta del giocatore della fiorentina Hamrin, autore di una cinquina in una gara del 1964 (Atalanta – Fiorentina 1-7) e riposizionarci invece più avanti, nel 2013, quando il tedesco della Lazio Klose, in un memorabile Lazio-Bologna finito 6-0, anch’esso si rende autore di una storica cinquina personale.

In quella stagione emergono alcuni aneddoti che rivelano molto le sfaccettaure del Pruzzo uomo. Alcuni rivelano le caratteristiche di personaggio burbero, antidivo, estremamente orgoglioso e diretto, che punzecchia i giornalisti che lo additano come giocatore finito, alla vigilia di quel roboante girone di ritorno della stagione 1985/86: «Ero già stato scaricato, preparavano in gran segreto la successione, telefonavano ripetutamente ad Elkjaer. Siamo ammalati di esterofilia, un gol straniero ne vale sempre tre nostrani. Ma ho costretto i dirigenti giallorossi e il signor Eriksson a rivedere i piani: segnavo ad occhi chiusi, ci avevo preso gusto, avevo il radar, scoperchiavo le difese. Quel girone di ritorno da “Attila” non è riuscito a nessun re del gol. I periodi migliori della Roma hanno sempre coinciso con il mio risveglio. Meditate, gente di poca fede».

Altri aneddoti ne rivelano invece l’animo spontaneo e generoso a dispetto delle sue origini liguri che lo avrebbero voluto sparagnino, come racconta lo storico massaggiatore Giorgio Rossi in una sua vecchia intervista: «a ogni gol segnato mi regalava 100 mila lire. Arrivò la trasferta con il Torino (9 febbraio 1986) e lui segnò la rete decisiva, ma mentre salivamo sul pullman mi disse: “Giorgio, sono rimasto indietro di tre gol con te, ma mi sento in forma, la prossima volta saldo tutto”. Risposi che andava bene, ma la gara successiva, contro l’Avellino, Roberto esagerò, segnando cinque reti. Era così contento che mi firmò un assegno da un milione. Il “Bomber” era fatto così».

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