Nel 1981 il Milan ingaggia il fuoriclasse olandese per il debutto nel torneo voluto da Silvio Berlusconi … Cruijff gioca solo un tempo, deludendo i 34mila spettatori che avevano sfidato il caldo afoso
per GLIEROIDELCALCIO.com Matteo Vincenzi
Quel 16 giugno del 1981 lo ricordo ancora bene. Era un martedì e faceva un caldo insopportabile nella Milano da bere degli anni 80, dove in quel periodo ero solito trascorrere qualche settimana dai nonni. I pomeriggi erano caratterizzati da interminabili partitelle a pallone nei giardinetti pubblici sotto casa (quelli, oggi purtroppo smembrati, posti tra via Cadibona, via Paolo Maspero e via Monte Velino), oppure nel campetto in cemento del vicino parco Alessandrini, perché tanto a 7 anni le ginocchia e i gomiti sbucciati erano l’ultimo dei problemi. Ore e ore trascorse sotto il sole cocente a dribblare il coetaneo di turno cercando di metterla dentro, con la sola preoccupazione di dover recuperare il Sica-Elite o il Super Tele (quando andava di lusso c’era il Super Santos) nel caso fosse finito sotto un’auto in sosta o in mezzo alla strada. Non quel pomeriggio, perché alle 19 bisognava essere a San Siro per l’esordio del Milan nel primo Mundialito per Club, il torneo a inviti organizzato da Canale 5 e voluto dal suo proprietario Silvio Berlusconi, sceso ufficialmente in campo per sgretolare il monopolio della Rai. Un debutto scialbo finito 0-0 con il Feyenoord ma che in qualche modo è passato alla storia perché nei ranghi rossoneri figurava nientemeno che Johan Cruijff.
La notizia circolava da giorni, tuttavia ricordo un certo scettiscismo degli addetti ai lavori, convinti si trattasse di una boutade promozionale. Il fuoriclasse olandese alla fine fu convinto da 120 milioni di buoni motivi. Ad accoglierlo, l’allora vicepresidente del Milan ed ex enfant prodige del calcio italiano Gianni Rivera, suo avversario nella finale di Coppa Campioni 1969 vinta dal Diavolo. Quella sera sulle tribune di San Siro ci sono quasi 34.000 spettatori paganti. Un biglietto della gradinata costava 3.500 lire e si distingueva per aver riprodotto il pupazzo Five, la mascotte della rete berlusconiana che aveva le sembianze di un draghetto arancione, con la testa modellata sul biscione del logo di Canale 5 dell’epoca, a sua volta ispirato allo stemma araldico dei Visconti.
Differentemente da papà, nonno non era propriamente uno sfegatato di calcio, ma la curiosità di vedere il tre volte pallone d’oro – quando il premio era ancora una cosa seria – lo spinse a rinfoltire la comitiva Vincenzi presentandosi con l’immancabile cuscinetto pieghevole, una sorta di ricordo-feticcio per i nostalgici che in quegli anni frequentavano gli stadi (anche nel secondo anello “popolare” di San Siro non c’erano ancora i sedili ma gradini di cemento che d’estate diventavano roventi). Ad affiancare Cruijff nel quartetto d’attacco ci sono Walter Novellino, Roberto Antonelli e Gabriello Carotti.
Tuttavia la prestazione dell’olandese si rivela una comparsata incolore e deludente, al punto che, esausto, dopo 45’ lascia il posto al giovane Francesco Romano. A onor del vero va detto che solo tre settimane prima l’ex stella dell’Ajax, reduce da una stagione negli States con i Washington Diplomats e in Spagna con il Deportivo Levante (serie B iberica), era stato operato all’adduttore della gamba sinistra, e questo spiegherebbe perché si teneva a distanza di sicurezza da qualsiasi contrasto, lasciando l’incombenza a Ruben Buriani, detto “Pannocchia”, colui che a fine match incasserà l’elogio di Johan. A precisa domanda su chi fosse stato il compagno di squadra che più l’aveva impressionato risponde senza esitazioni: «Il numero 7, quello biondo». Lapidario fu il titolo del Corriere della Sera: «Sembrava un ghisa in mezzo a un ingorgo». «Cruijff è finito?», si domandò il Guerin Sportivo che definì la sua prova «patetica e sbiadita». Ancor più pesante ci andò il suo ex compagno di nazionale e capitano del Feyenoord Arie Haan, ricordato soprattutto per aver segnato il gol da 35 metri a Dino Zoff nell’ultima partita della seconda fase a gironi dei Mondiali argentini del 1978: «E’ stato vergognoso, in campo camminava». Giudizi onestamente fin troppo impietosi. Ma alla fine poco contava. Aver visto il profeta del calcio totale con la maglia rossonera, seppure per un solo tempo, aveva valso la rinuncia alla partitella del pomeriggio. Mica una cosa da niente.
Giornalista professionista. Cronista-inviato del quotidiano "La Voce di Mantova" dal 1993, già corrispondente di Libero fino al 2010 e collaboratore di altri quotidiani nazionali. Opinionista sportivo sulle emittenti locali. Appassionato di calcio anni '80 («uno sport completamente diverso in un'Italia diversa») e soprattutto del Mondiale di Spagna dell’82 («inarrivabile per l'intensità e l'atmosfera magica che ha saputo trasmettere, capace sempre di emozionare ogni volta che scorrono le immagini di quella che è stata una storia sportiva, umana e agonistica difficilmente ripetibile»). Diversi gli idoli sportivi, ma se deve scegliere tre nomi non ha dubbi: Franco Baresi, Marco Van Basten e Ivan Lendl.