GLIEROIDELCALCIO.COM (Andrea Gioia)
“Una scelta obbligata dallo stato di necessità della Nazionale”
La notte del Bernabeu aveva portato una gioia che mancava dai mitici anni ’30, quelli dei due trionfi consecutivi targati Pozzo. Ma aveva anche condotto verso un rilassamento naturale, manifestatosi attraverso una sorta di “dannosa” riconoscenza nel torneo del 1986. La rivoluzione giovane del c.t. Vicini, poi, aveva illuso una platea assetata di vittoria, desiderosa di conquistare allori a ripetizione sulla scia di un movimento in continua crescita. E invece, come nei migliori copioni, c’era stata la sfortunata serata di Napoli, quella del gol di Caniggia, che aveva gettato nello sconforto un Paese intero e una federazione quasi sicura almeno di una finale casalinga.
Nell’Ottobre del 1991, il presidente Matarrese decide di assegnare gli azzurri ad un romagnolo entrato, nel giro di pochissimi anni, nel dorato mondo del mito calcistico. Arrigo Sacchi, l’uomo della rivoluzione, il condottiero capace di portare il suo Milan verso un dominio mai visto in precedenza.
Responsabile di tutti i tecnici della federazione, con buona pace anche di un certo Cesare Maldini, maestro di vita e di calcio, “spinto” verso un silenzioso allontanamento che, per fortuna, mai si manifesterà (tre Europei Under 21 consecutivi: roba da fenomeni).
In quei giorni di trenta anni fa, Sacchi scelse di lasciare il Milan perché intrigato da un progetto innovativo, quello, cioè, di poter plasmare il calcio italiano partendo dalla sua squadra principe. Bisognava staccarsi dalla tradizione catenacciara, seppur fertile e portatrice di trofei da mettere in bacheca. Zona, pressing, mentalità vincente ed offensiva.
Un contratto da 800 milioni più premi, con un termine iniziale fissato al 30 Giugno 1992, con possibilità di prolungamento fino al 1996, nel caso di rielezione del presidente Matarrese.
Subito dopo la notizia, l’Italia pallonara si schierò, come sempre, con incerta decisione. Da una parte c’erano i puristi della tradizione, quelli che, per dirla con le parole di Franco Arturi, erano “innamorati della figura del praticone” a discapito dello “studioso”. A Sacchi, per farla breve, si rimproverava il fatto di non essere mai stato un grande calciatore, come invece i suoi grandi predecessori.
Ma, si sa, il calcio non è sempre esatto e deciso a priori. Arrigo, nonostante tutto, anche grazie ad una generazione di fenomeni guidata dal divino Baggio, riuscirà nell’impresa di arrivare a giocarsi una finale mondiale, dodici anni dopo quella di Madrid. Non la vincerà e, forse, non riuscirà nemmeno a cambiare totalmente una mentalità radicata. Comunque ci provò.