GLIEROIDELCALCIO.COM (Antonio Mattera) –
Non siamo ancora negli anni ’70, ma se ci fosse arrivato, Gigi Meroni, ne sarebbe stato indiscutibilmente un assoluto protagonista
In campo e fuori.
Non solo calcio, dribbling, goal e assist.
Quelli li profonde a piene mani, mai parco di un dribbling fulminante, mai sazio di un assist al bacio per Combin, mai scevro di giocate al limite dell’impossibile.
Gigi Meroni è molto altro ancora.
IL BEST ITALIANO
È un personaggio, estroso come lo è il suo calcio.
Forse porta la sua vita nel calcio, o il calcio nella sua vita, chissà!
Ascolta i Beatles e la musica jazz, dipinge quadri, legge libri e scrive poesie.
Convive nella “mansarda di Piazza Vittorio” insieme a Cristiana, la “bella tra le belle” dei Luna Park della quale si innamorò follemente tanto da presentarsi al matrimonio imposto dai genitori di lei per cercare di fermare la cerimonia.
Disegna lui stesso i vestiti che indossa sui modelli di quelli dei Beatles.
Viene bazzicato a passeggiare per Como portando al guinzaglio una gallina.
Ama fingersi giornalista e chiedere alla gente cosa pensa di Meroni, la giovane ala destra del Torino, e ride se la risposta è che non lo conoscono.
IL GRAN RIFIUTO
Agnelli cerca di portarlo alla Juventus offrendo l’incredibile cifra (per l’epoca) di mezzo miliardo, ma i tifosi granata, in rivolta, impediscono lo “scippo”.
Anticonformista per natura, in un’epoca in cui tutta la nazione è tremendamente conservatrice, arriva a rifiutare la Nazionale di Fabbri che gli vuole imporre il taglio dei capelli.
Se la riprenderà e sarà tra gli sciagurati protagonisti del mondiale del 1966 in Inghilterra, quello della sconfitta contro i “Ridolini coreani”.
Ma lui quella partita non la gioca, mentre disputa le due precedenti andando a segno entrambe le volte.
Nonostante questo diventa il capo espiatorio della fallimentare spedizione azzurra.
Non gli viene perdonato niente, il dazio da pagare per quel suo esser “fuori dalle righe”.
MORTE DI UNA FARFALLA
«Il Fato è un cacciatore paziente. Certe coincidenze sono scritte in anticipo, come cecchini acquattati con un occhio nel mirino e un dito sul grilletto, in attesa del momento adatto.»
(Arturo Pérez-Reverte)
È il 15 ottobre 1967; Luigi Meroni, astro nascente del Torino e del calcio italiano, colui che riaccende la passione dei tifosi dopo il buio del post Superga, dopo la partita con la Sampdoria non può ritornare a casa, poiché non ha le chiavi.
Decide di prendere un aperitivo col compagno di squadra Poletti, aspettando il ritorno della compagna con la quale conviveva.
Insieme a Poletti si dirige quindi verso corso Re Umberto, percorrendo a piedi parte della carreggiata.
Si fermano in mezzo alla strada, aspettando il momento buono per completare l’attraversamento. Vedendo sopraggiungere un’automobile, decidono di scansarla facendo un passo indietro.
Dalla parte opposta, però, sopraggiunge una Fiat 124,
Poletti viene colpito di striscio; Gigi Meroni, investito alla gamba sinistra, viene sbalzato in aria dall’impatto, cade a terra nell’altra corsia e viene travolto da una altra auto che sopraggiunge in quel momento.
Stavolta viene centrato in pieno e trascinato per 50 metri.
Meroni viene portato all’ospedale Mauriziano da un passante; le sue condizioni sono disperate, ha gambe e bacino fratturati e con un grave trauma cranico
Gigi muore poche ore dopo, alle 22.40.
E qui il cacciatore paziente, sotto forma di Fato inesorabile, ha sparato il suo colpo.
Invisibile ai più, il colpo colpisce una squadra, il Torino, la sua tifoseria e lega indissolubilmente due tragedie dai colori granata, Superga e Meroni, alla storia di una squadra rappresentante una città, Torino per l’appunto, da sempre legata alle leggende che riguardano culti esoterici e misteri tanto da meritarsi l’appellativo di “città magica”.
Quel filo invisibile si intreccia attraverso un incredibile caso di omonimia.
Quello esistente fra Luigi Meroni, detto Gigi, astro nascente e idolo dei tifosi granata, e Pierluigi Meroni, detto Gigi, primo pilota dell’aereo che si schianterà su Superga, del quale parliamo in un altro articolo.
Due tragedie con lo stesso cognome (nemmeno tanto diffuso in Piemonte, ma entrambi, guarda caso, lombardi), lo stesso diminutivo, che volano sulle ali entrambe.
Quelle reali di un aereo per il pilota Meroni, quelle simboliche del suo soprannome, “la farfalla”, per il Meroni calciatore.
Due tragedie che hanno unito un paese, non essendoci maglia o tifo che tenesse innanzi a simili dolori.
Due cognomi uguali, due nomi simili, due tragedie per una squadra magica in una città magica.
A proposito, parlando di coincidenze: il giovane tifoso del Toro alla guida dell’auto che per prima travolgerà Meroni, si chiama Attilio Romero.
Quel giovane diventerà presidente del Torino Calcio, rimanendone tale fino al fallimento che decretò una altra tragedia per la squadra e i suoi tifosi, ovvero l’esclusione dalla serie A.
Se non vi piace il Fato come cacciatore in una città magica, con una squadra magica dai colori del sangue, allora tenetevi quest’altra:
«Il fato non si accontenta di una semplice calamità» (Publilio Sirio)