GLIEROIDELCALCIO.COM (Massimiliano Morelli) – Quando nel gennaio del 1944 il valoroso generale Lucas sbarca al comando dei suoi anfibi anglo-americani sulle coste di Anzio, non può immaginare che l’impresa, neanche perfettamente riuscita, di aggirare la tenace linea «Gustav», piazzata dai tedeschi a guardia di quel che resta dell’Asse, sarà il calcio di inizio, è il caso di dirlo, di un’altra altrettanto valorosa epopea. Quella dell’Unione Sportiva Conversano e di uno scudetto fantasma, una favola semisconosciuta, nascosta a piè di pagina negli annali della grande storia dell’Italia Liberata.
Il suono delle mitraglie che si scambiano scaramucce e bombe incendiarie a nord di Roma, arriva sfocato nell’Italia sbrindellata del neonato Regno del Sud. I sudditi del Re fuggiasco si barcamenano come possono, arrangiandosi in un clima da Polvere di Stelle tra i cocci ancora fumanti del tutti a casa, e la voglia di riabbracciare un pallone, che non vedono rotolare dal ’43. L’ultimo campionato, come spesso accade, se l’è portato a casa il Torino. Poi, però, l’arbitro ha fischiato la fine, del calcio e di Mussolini, e l’Italia s’è fermata. Non ci sono stadi, oppure sono pieni di tende da campo. I giocatori sono sparsi per il fronte, qualcuno ci ha lasciato le penne, qualche altro se n’è scappato. Il Sud è più sicuro, diciamo così, e molti campioni in braghe e calzettoni hanno preso la stessa strada del Re, ripiegando in Puglia e dintorni.
Laggiù c’è fermento, e qualcuno, quando non cadono le bombe, pensa a ricominciare. Uno di questi è Giosuè Poli, dirigente della Federcalcio locale e gloria sportiva del regime che non c’è più, che tutti chiamano Il Capitano, perché intanto ha giurato Patria e Onore all’accademia militare di Livorno. Ci crede così tanto che un giorno lo trovano con un secchio di carbonella a spianare le corsie nel campo semidistrutto della sua Molfetta, alle porte di Bari. Lo sport deve ricominciare. E possibilmente dalla Puglia. Poli ci prova prima con una Coppa a 16 squadre, la chiama «Coppa Puglia», e riesce nell’ardita impresa. Ma non è pago. Si può dare di più. E si darà. Pioli ed un manipolo di galantuomini del suo tempo regalano al pubblico pugliese il sogno ritrovato di un pallone per cui gioire e dimenticare per qualche istante fame e lacrime versate.
Il «Campionato dell’Italia Libera» è un carrozzone sbilenco che mette insieme tutto quello che si può. Ci sono 37 squadre, tutte pugliesi, tranne il Matera. Si prova ad organizzarle in otto gironi, messi su come viene, qualcuno parte e poi scompare, qualche altro arriva a campionato iniziato. Non ci sono teste di serie e ranking europei, a quel tempo l’unico criterio è la «vicinorietà», come ai seggi elettorali, perché le trasferte costano, anche se le fai arrampicato su calessi e treni merci. Le squadre hanno nomi in cui risuonano ancora le fanfare del conflitto e la memoria Balilla. A fronteggiarsi trovi allora Lampi e Fulmini, Fanterie e Divisioni, Artiglieri e Frecce Nere. Sembra un Risiko d’antan, ma è il meglio che passa il convento. E la gente sembra gradire.
Tra peones mercenari e militi ignoti c’è pure chi fa sul serio. Peppino Laruccia, insegnante elementare, è uno che lo sport ce l’ha nel sangue. Vuole che la sua Conversano, operosa cittadina appollaiata a Sud Est di Bari, famosa per le ciliegie e per la bellezza della sua storia, si faccia largo nel torneo, bissando il trionfo nell’antipasto di Coppa. Ne ha ben donde. L’undici in lanetta viola e braghettoni bianchi, che ha fatto di un locale angusto a due passi dal chiostro benedettino il suo quartier generale e la sala per raccogliere la questua e pagarsi le trasferte, annovera tra le sue fila la meglio gioventù del calcio che fu. Sfuggiti alle bombe e al timore di rappresaglie crucche e partigiane, ci sono fior di campioni, Campana, Bettini, l’oriundo Ponzinibio II, Fusco e Orlando che hanno già fatto le fortune del Bari. E poi c’è la stella. Nardino Costagliola, «il gatto magico», ciliegina sulla torta nel paese delle ciliegie, che il vulcanico Patron Laruccia, ha convinto con 100 lire al mese a difendere i pali della sua creatura. Lo farà con altrettanto successo con un’altra maglia viola, quella di Firenze, regalando ai suoi le parate indimenticabili che lo porteranno a vestire la casacca azzurra nei mondiali del ’54.
L’Unione Sportiva Conversano schierata in attesa del match (Foto Barinedita.it, Archivio Giacinto Iacovazzo)
L’avventura dei conversanesi in quel torneo è un’epopea tragicomica che si inerpica tra mille difficoltà e scene surreali. E tutto in mezzo c’è la guerra. Che negli occhi e nelle orecchie dei pugliesi risuona ancora vicina, come l’eco delle bombe tedesche che, soltanto pochi mesi prima, hanno sventrato il porto di Bari e la pancia di una portaerei americana, sversando in mare il subdolo odore di mostarda dell’iprite. Laruccia e i suoi diventano allora l’agognato scacciapensieri di una tifoseria povera ma bella, e raccolgono tanta gente assiepata ai bordi dei campetti in terra battuta, negli spiazzi requisiti alla men peggio alle truppe e ai parrocchiani. C’è il calcio, e la classe di campioni mai visti a quelle latitudini di provincia, se non forse a Bari, unica nobile decaduta iscritta al torneo, ma c’è anche l’affresco formidabile di un neorealismo bellico in salsa pallonara. Le cronache dell’impresa, scarne come i risultati che arrivavano a singhiozzo, raccontano di un cammino fatto di zuffe, di partite sospese, ritiri improvvisi e sceneggiate teatrali.
Il Conversano va avanti con un treno, noncurante degli avversari e delle avversità. Passa attraverso un mancamento, quello dell’arbitro Pranzo, che, a dispetto del nome, sviene sul più bello del match col Mola, colto dagli effetti di un lungo digiuno. Ed esce indenne dalla corrida di Putignano, dove Laruccia, indispettito dalla richiesta di un oltraggioso obolo per accedere al campo, finisce per essere arrestato dalla polizia militare. La sua colpa? Aver «soccorso» il terzino avversario, lanciandogli da bordo campo la valigia dei medicamenti. Particolare non di poco conto, la borsa salvavita è in realtà una cassetta porta-munizioni sottratto alla Wehrmacht e adattata alla bisogna, e lo slancio filantropo ha stecchito al suolo il poveraccio. Soltanto l’intercessione celeste di Don Peppino, l’amico prete, salverà il Presidentissimo con un memorabile blitz in caserma, al grido manzoniano di «Iddio vi punirà».
Alla fine della travagliata contesa arrivano in tre, i viola, il Rutigliano e la Miraglia di San Vito di Normanni. Un girone all’italiana non basta a decretare il vincitore, e Conversano e Rutigliano, pari in tutto, dovranno scontrarsi ancora nel doppio rendez-vous finale. Il primo duello si svolge nella Città dell’Uva. I padroni di casa, per nulla disposti a fare da vittima sacrificale, si scagliano in campo con tremendo ardore. I giocatori prendono a darsele di santa ragione, e bastano soltanto cinque giri di lancette, perché l’arbitro ponga un freno alla bagarre. Fallo da rigore. Mancini lascia il Conversano in dieci, e il Rutigliano non perdona. Capocasale, il gioiello di casa, detto paletta per le formidabili sassate da lontano ed un piedone fuori misura, ricorda a tutti che viene dalla Juve, e schianta Costagliola dal dischetto. 1-0. E basta così. La sfida finisce com’era cominciata, poco spettacolo e molte legnate. Ma fuori accade di peggio. L’antica rivalità tra i due campanili divampa tra i sostenitori assiepati a bordo campo. Il clima bellico non porta a miti consigli, e, a dispetto dei buoni intenti degli organizzatori, il primo atto della contesa si chiude con un’indegna guerriglia ed inaudite violenze.
Il clima è talmente caldo che il ritorno fa paura. Conversano attende invano i suoi avversari. Lo svenevole Pranzo, chiamato ancora una volta a dirigere l’incontro, attende invano la comparsa dei contendenti. Il Rutigliano non si presenta, temendo rappresaglie dei facinorosi supporter locali. Il 2-0 a tavolino sancisce l’inaspettata rimonta d’ufficio. Laruccia e i suoi eroi issano la piccola Conversano sul trono tricolore di Campioni dell’Italia Libera. Quel Wunderteam di pionieri e rifugiati si cuce sulle maglie rattoppate uno scudetto che non verrà mai riconosciuto. La bella favola della cenerentola tricolore ha infatti un finale amaro. Nonostante una levata di scudi della politica locale, finita sui giornali nazionali, e un’istruttoria aperta nel 2009, la FIGC non ha mai accreditato la vittoria dei conversanesi come degna di essere inclusa nei suoi annali ufficiali. A differenza di quanto accaduto ai Vigili del Fuoco di La Spezia che hanno visto concretizzarsi il riconoscimento dello scudetto di guerra conquistato nell’Italia del Nord dai «Campioni di Grisù», l’impresa eroica dei pugliesi è valsa soltanto l’illusoria consolazione di un beffardo attestato.
Leggende e maldicenze sparse attraverso i secoli raccontano che Conversano si sia popolata in conseguenza del dilettuoso Ius primae noctis a cui veniva obbligata dal suo sanguinario padrone Girolamo D’Acquaviva, Conte di Aragona e «Guercio delle Puglie». Nessuno avrebbe però mai immaginato che i figli del Conte sarebbero stati trattati, dal gotha calcistico nazionale, come gli sfortunati figli di un Dio minore.
(Tutte le foto di questo articolo appartengono a BARINEDITA.IT)
Classe 1981, biologo e ricercatore del CNR, con la testa. Con il cuore, tante altre cose. Scrittore dilettante, appassionato di calcio e di un colore, il biancorosso, che lo accompagna dal primo vagito, emesso quando sulla panchina sedeva Catuzzi, e il Bari giocava il calcio più bello d’Italia. Sarà stato quell’imprinting a farlo innamorare del pallone e delle sue storie. Oggi è curatore della pagina Facebook “Una storia chiamata Bari”.