GLIEROIDELCALCIO.COM (Andrea Gioia) – Il pugno sul petto prima di entrare in campo, il Mestalla strabordante di tifo, la fascia da capitano stretta al braccio sinistro. Gaizka Mendieta era l’emblema di una squadra che, sul finire dei ’90, seppe conquistare la fiducia di una piazza esigente e l’attenzione di un pubblico planetario.
Perché non era da tutti arrivare a giocarsi due finali consecutive di Coppa Campioni, peraltro contro due corazzate chiamate Real e Bayern. Gaizka, nel biennio 1999 – 2001, guidava un centrocampo formato da Baraja, Kily Gonzalez e Farinos. Il cervello che impostava la manovra della compagine di Hector Cuper, dettando i tempi di inserimento di Aimar, Claudio Lopez, Miguel Angel Angulo.
Nell’estate del 2001, la Lazio di Cragnotti cercava disperatamente di confermarsi anche nel massimo torneo continentale, dopo uno scudetto vinto nel 2000, un altro sfiorato un anno prima e la splendida vittoria nella Coppa delle Coppe 1999. Con il ceco Nedved partito alla volta di Torino, bisognava disperatamente trovare un degno sostituto, un asso in grado di non snaturare la classe dei laziali e di dettare i ritmi di gioco.
Ma chi prendere?
Sulla piazza, tra i pochi disponibili, c’era un nome di primaria grandezza. Mendieta da Bilbao, nazionale spagnolo e talento cristallino. Il presidente laziale, dopo un tiro e molla durato abbastanza, riuscì a chiudere “l’affare” per l’incredibile cifra di 90 miliardi (più 8 all’anno al giocatore). Dovevano essere i soldi più ben spesi della storia del calciomercato. Diventeranno un macigno incredibilmente pressante sulle casse dei biancocelesti.
Mendieta, dopo qualche sprazzo di buon calcio, mai si adatterà ai ritmi forsennati del pallone italiano. Troppa pressione e forse troppi schemi. Ben presto finirà al margine del progetto di Zoff prima e di Zaccheroni poi, lasciando la Lazio dopo una sola stagione, condita da 20 presenze e nessun gol.
Il Barcellona lo accoglierà nell’annata successiva, prima di spedirlo in Inghilterra, sponda Middlesbrough.
La storia di una talento cristallino finito nell’impietosa, e crudele, classifica dei bidoni del calcio italiano.