GLIEROIDELCALCIO.COM (Manuel Cordero) – L’influenza sul calcio di tutta Europa non cessa.
La Scuola Danubiana si sublima, dopo la fine delle sue due compagini emblematiche (Wunderteam e Aranycsapat), in figure di allenatori giramondo. Fondamentali per lo sviluppo del calcio contemporaneo.
Il primo che viene in mente, guardandone il palmarès, è Ernst Happel. Ha militato, da calciatore, quasi tutta la sua carriera, tranne una breve parentesi col Racing Club de France, nel Rapid Vienna. Club che si alternerà, assieme alla sua rivale, dal 1911, l’Austria Vienna, per la vittoria del campionato austriaco. Soltanto il LASK Linz, nella stagione ‘64-’65, romperà l’egemonia viennese.
Terminata la sua carriera da calciatore, Happel disegnò la storia del calcio europeo. E non solo lui. Anche un certo Tomislav Ivic, seppur in sordina, ebbe non poco da dire, europeizzando il totaalvoetbal del sopracitato Ernst Happel.
Ernst Happel foto Wikipedia
Inoltre, un altro boemo, dopo Arpad Weisz, di nome Zdenek Zeman, ha reso accettabili delle sfumature non proprio “italiane” (anche se di italiano il calcio ha ben poco), gettando le basi della tipologia di gioco che, oggi, osserviamo in Serie A.
Avevamo lasciato l’altro articolo con l’interrogativo della “spazialità”. Interrogativo che rappresenta la risposta ad una necessità: “divertire il pubblico”. Ma, prima di arrivare al nocciolo della questione, sarà meglio dedicare le prossime righe ad un micro-tema direttamente collegato e fondamentale per la comprensione del macrotema.
Il calcio non è più l’attività ricreativa delle scuole aristocratiche inglesi. Nei primi anni del ‘900, ma si potrebbe dire, guardando al Brasile (la nascita del calcio brasiliano si dice che sia intorno al 1888), già a fine ‘800, iniziò ad assumere tutti i connotati di un business.
Il primo calciatore pagato per giocare fu Fergus Suter, attaccante scozzese che militò, in Inghilterra, nel Darwen FC e nel Blackburn Rovers. Si parla di una linea temporale che va dal 1876 al 1889 circa.
Tomislav Ivic foto wikipedia
Dunque, si ha uno spostamento dell’oggetto conoscitivo, che diviene il pubblico, i tifosi, los hinchas. Il calciatore inizia la sua discesa, la sua “devalorizzazione”.
Qui inizia ad imporsi sempre con maggiore forza, fino ai nostri giorni, la figura del tecnico.
Figura che oggi sostituisce, in toto, quella dell’allenatore. Ormai reputata inutile alla metodologia invasiva selezionata dalle istituzioni calcistiche.
Ma ciò che, a tutti gli effetti, segnerà la fragorosa caduta del calciatore, sarà la nascita del “professionismo”.
Sindelar, Hidegkuti, Puskas guadagnavano, certo, eppure, rispetto a Messi, Cristiano Ronaldo, Neymar, avevano naturalezza e nessuna costruzione nel loro approcciarsi alla palla.
La società nella quale circoliamo (non viviamo), impone, qualifica e limita. Abbiamo compiti che dobbiamo eseguire nella maniera più esteticamente efficiente possibile.
Il ciclo vitale: nascita, vita, riproduzione e morte. Oggigiorno è riassumibile in utilità e inutilità.
E persino in quest’ultima troviamo il nostro renderci efficienti.
Il professionismo implica una professione e, quindi, nel mondo lavorativo una qualifica.
Qualifica e professione sono dettate da determinati requisiti che la figura deve possedere per ricoprire una “determinata” mansione.
Qui si può notare come si abbia una decifrazione, una definizione specifica. Cosa che, ai tempi del Wunderteam, non era imposta.
La giornata “tipica” (metterla tra virgolette ha un senso) di un qualunque lavoratore inizia e finisce col lavoro. La sera viene dedicata al riposo (per riposo vengono intesi anche gli svaghi o i vizi predeterminati e resi fruibili dalle istituzioni in modo controllato e sezionato) e al sogno (non sonno) che aiuta a renderci ancora meno coscienti e pensanti. Aiuta a renderci utili per la ripetizione del giorno successivo.
Il benessere è sofferenza, perché per arrivarci e, soprattutto, per mantenerlo bisogna ridurre a sogni molte delle capacità squalificate dalla maniera di circolare selezionata.
La “vita” è una condizione di perenne correzione. Lo dice anche Foucault. Sintetizzata nella differenziazione (non diversificazione) e nella selezione delle unità (non solitudine). Tutto all’interno di un campo conoscitivo.
Perché tenere presente, almeno, quelle peculiarità, sopra riassunte, della nostra (perché lo è) società?
Lo sport è lo specchio della vita.
Nelle scuole calcio (e non per le strade) i giocatori non iniziano mai e non terminano mai.
Vengono addestrati con esercizi ripetuti, per raggiungere la perfezione estetica massima, esempio, di uno stop o di un passaggio. Non rappresenta alcuna necessità l’individualità.
Casomai l’individuazione, all’interno dell’insieme di calciatori, di dove, tra i ruoli già determinati nei regolamenti e nelle norme, viene concentrata, dunque resa utile, la qualità squalificata.
Il calciatore è, a tutti gli effetti, un oggetto economico: prodotto in serie e fruibile fin da subito.
La differenza tra tecnico e allenatore, di cui si parlerà nella terza parte, farà comprendere, ancora più nel dettaglio, cosa si intende in queste righe.
Vivo a Cerreto Guidi, cittadina della campagna toscana in provincia di Firenze. Sono uno scrittore e un aspirante giornalista sportivo. Cerco di raccontare il calcio alla Foucault. La storia e la tattica sono i miei mezzi. Appassionato del football in tutte le sue forme.