La sfida tra Italia e Perù ai Mondiali di Spagna ’82
Dopo la Polonia l’Italia nel primo girone di Spagna ’82 deve affrontare il Perù. La partita è prevista per il 18 giugno, arbitro il tedesco occidentale Eschweiler, un diplomatico di 47 anni, conoscitore di 4 lingue.
Bearzot alla vigilia della gara così esternava: “Niente calcoli, si deve vincere. In questi mondiali si è visto quanto è difficile rimontare un gol, ma dobbiamo insistere. Un pareggio ci chiamerebbe a battere il Camerun nell’ultimo incontro, sulla carta si tratta di un’impresa tutt’altro che difficile, ma sul campo potrebbe risultare molto più scomoda e rischiosa del previsto”.
La formazione che avrebbe fronteggiato il Perù era la stessa precedentemente scesa in campo contro la Polonia, anche se si era affacciata la possibilità che giocasse Causio, ritenuto in quel frangente in ottima forma. Si faceva più chiara l’esigenza di vincere: i due punti ci avrebbero garantito la quasi certa qualificazione.
Ma bisognava stare attenti a non perdere per il motivo specularmente opposto. C’era da stare in guardia: la prima tornata di partite aveva dimostrato come le soprese non fossero difettate, dall’Algeria che aveva sconfitto la Germania Ovest, al Kuwait che aveva impattato con la Cecoslovacchia, alla Spagna bloccata dall’Honduras (con il pari spagnolo siglato grazie a un rigore “generoso”, se non proprio regalato).
Del resto, riguardo al Perù, almeno prima che lo stesso giocasse contro il Camerun e portasse a casa un pareggio deludente, si parlava di squadra dai piedi brasiliani e dal contropiede europeo (esagerando un poco).
Tim, CT peruviano, parlava della propria squadra come la migliore di sempre; tecnicamente non si sentiva inferiore a nessuno e fisicamente riteneva fosse al top. Peraltro, Tardelli diffidava del Perù, visto come collettivo solido e ne evidenziava l’imprevedibilità, i giocatori tecnici, il cambio di passo.
Esso avrebbe giocato con tre punte: Barbadillo, Cubillas e Uribe, perché, come diceva l’allenatore Tim, la squadra sudamericana si sarebbe giocato tutto. In ogni caso, Bearzot aveva, come accennato, posto l’evidenza sulla circostanza di quanto fosse difficile rimontare e i tre attaccanti di cui sopra sarebbero stati sorvegliati opportunamente dalla difesa azzurra.
Dunque, vincere: ma per vincere bisogna segnare. Da qui conseguiva che anche qualche difensore dovesse dare il proprio apporto: Cabrini, per l’occasione, garantiva come la marcatura su Barbadillo gli potesse dare più possibilità di avanzare, quando il pallone era in mano italiana, perché il peruviano stazionava troppo avanti e non era come Lato della Polonia, dal quale non bisognava mai staccare gli occhi.
I gol, dunque. E non a caso la “Gazzetta dello Sport” il 18 giugno a caratteri cubitali in prima pagina titolava “Italia, i gol”. E la partita iniziava bene: al 19’ Conti, dopo essersi liberato di un avversario, segnava un bel punto di destro, con pallone all’incrocio dei pali su passaggio di Antognoni.
Pochi minuti dopo Graziani serviva Rossi, ma questi si faceva trovare impreparato. Quasi allo scadere del tempo Scirea non riusciva a mettere in rete un pallone capitatogli su respinta del portiere peruviano a seguito di tiro di Antognoni.
Ma se il primo tempo era di livello quanto meno non del tutto censurabile, soprattutto per quel che concerne la prima mezz’ora, quindi al netto di un non preventivato e deprecabile calo negli ultimi 10 minuti, il secondo si rivelava un deciso, malaugurato, ingiustificabile e imbarazzante flop.
Nella ripresa al posto di Rossi, evidentemente sottotono, entrava Causio. Ma l’Italia scompariva e il Perù cresceva. E l’Italia si chiudeva dietro in maniera inspiegabile, subendo letteralmente un assedio senza fine. Addirittura, Nando Martellini nella sua telecronaca parlava di melina italiana già a mezz’ora dalla fine dell’incontro.
Così, l’Italia rischiava tantissimo: solo la difesa e un ottimo Zoff ci salvavano in più occasioni. Qualche volta, come al 75’, ci era andata bene solo perché il nostro avversario non metteva dentro una palla abbastanza agevole e piana: dopo che Zoff aveva respinto un tiro di un solitario Duarte, La Rosa (si potrebbe dire inspiegabilmente, tanto ghiotta, lineare e facile era l’occasione) calciava incredibilmente fuori a porta vuota.
Ma dieci minuti dopo gli assalti peruviani, ormai continui, venivano premiati, sia pure con un pizzico di fortuna: un tiro di Diaz non sarebbe stato malagevole preda per un Zoff appostato e tuffato dalla parte esatta; ma una deviazione di Collovati lo spiazzava.
Un 1-1 che poteva stare persino stretto al Perù, legittimato a reclamare un rigore per un fallo di Gentile su Oblitas (non a caso, per esempio nel “Corriere dello Sport” del 21 giugno, si parlava di “Ripresa vergognosa, dovevamo perdere” e “Tuttosport” lo stesso giorno precisava: “Un tempo per noi, uno per loro e i peruviani lamentano un rigore”).
L’Italia aveva giocato male: la sufficienza veniva meritata solo da Zoff, dai difensori e da Conti, che nella ripresa arretrava per sostenere la linea difensiva.
Centrocampo insufficiente: e se Antognoni non creava, se Tardelli e Cabrini non riuscivano a operare da incursori, e se Conti non poteva spingere più di tanto, l’attacco rimaneva abbandonato a se stesso, con Graziani che non poteva che girare a vuoto per mancanza di rifornimenti prima che di sbocchi e con Rossi decisamente lontano dai suoi standard minimi, tra un gol mancato e tocchi di palla imprecisi, quando non si rivelavano autentici, inopportuni e pericolosi passaggi agli avversari, che ne rimanevano quasi sbalorditi (anche se, a vedere il bicchiere mezzo pieno, qualcuno arguiva che l’esibizione di Rossi era stata in ogni caso utile, perché risucchiava e calamitava spesso dietro due difensori avversari per controllarlo).
Una doccia fredda: come la partita di Braga aveva cancellato le (magari anche poche) certezze acquisite dopo la prova con la Svizzera, così la partita con il Perù spazzava drammaticamente quel che di entusiastico o, per lo meno, di sufficientemente positivo aveva suggerito la prova contro la Polonia.
Aveva giocato male Rossi; ma aveva giocato male la squadra, aveva stonato il solista, ma aveva cannato l’orchestra (Collovati a “Sfide” del 12 luglio 2013 ammetterà come il secondo tempo con il Perù fosse stato quanto di peggio avesse fatto vedere la nazionale azzurra ai mondiali spagnoli). Bearzot bacchettava la squadra sostenendo che “Contro il Perù non mi ha obbedito, è riaffiorata nei giocatori la vecchia mentalità di rinchiudersi appena in vantaggio”.
Il CT non trovava spiegazioni per il comportamento della propria squadra che si era rintanata in quella maniera: e, può sembrare paradossale, si lamentava anche per il fatto che Diaz, l’autore del gol peruviano, non fosse stato “chiuso” da nessuno.
Evidenziava come l’ingresso di Causio fosse dettato dall’esigenza di dare più peso nella fascia destra. E Bearzot veniva spalleggiato da Antognoni e Graziani nell’opinione di come fosse stato semplicemente e deplorevolmente inopinato e censurabile serrarsi in difesa una volta messo in rete il golletto.
Comunque, la squadra pareva in linea di massima fare quadrato attorno a Bearzot: Graziani evidenziava come il CT li avesse sempre incitati ad attaccare, ma, nonostante ciò, pareva che l’emozione di vincere avesse bloccato gli azzurri.
Causio difendeva Bearzot strenuamente e chiedeva ai giornalisti di non eccedere nelle critiche, dichiarando che 45 minuti brutti potevano capitare e commentando “immagino cosa avreste scritto se avessimo perso contro l’Algeria”.
E all’osservazione che poi i tedeschi si erano riscattati con 4 gol, la risposta era: “Quattro gol fatti a chi?”. Altri giocatori preferivano evidenziare come negli ultimi 10 minuti fossero mancati gambe e ossigeno per il caldo.
Ma se i “senatori” facevano scudo intorno a Bearzot, o così appariva, per i giornali in seno alla squadra azzurra non sarebbero mancati discussioni e facce scure, quanto meno da parte di Altobelli e Oriali.
Un articolo di Antonio Corbo del “Corriere dello Sport-Stadio” dal titolo “Altobelli: Fuori perché non sono juventino”, edito il 22 giugno, ne è un esempio. L’articolo così recitava: “Altobelli è offeso, perché Bearzot con lui parla poco.
Oriali è stanco della panchina, e l’avrebbe fatto già sapere. Antognoni non sa invece che domani si gioca il posto. Il CT non ha molto apprezzato il suo comportamento tattico contro il Perù”. In realtà, Bearzot non aveva alcuna intenzione di privarsi del capitano della Fiorentina; e se la stampa in quei giorni sentenziava che Antognoni non “vedeva” il gioco, Bearzot ribadiva che il giocatore era sempre temuto dagli avversari (il che era comunque vero).
E se Gianni Brera lo sollecitava a impiegare Dossena, il CT rispondeva che era ancora giovane, ma che si sarebbe fatto le ossa. Ritornando all’articolo di Corbo, sopra richiamato, esso dettava: “Gambe molli e nervi tesi, i malumori affiorano di nuovo nella nazionale, a poche ore da una partita cruciale, qualificazione o Corea numero 2.
Dalle ore 18 di venerdì (giorno della sfida con il Perù e frangente in cui era stato sostituito Rossi), più di tutti soffre Altobelli. Sperava di sostituire Rossi.
Era il primo dei non eletti nella lista degli attaccanti: Bearzot aveva detto sempre così, ma in campo contro i peruviani mandò Causio, vocazione per la regia”. “Io speravo di giocare, invece sarei entrato in caso di risultato sfavorevole, e a me non va di giocare solo quando l’Italia perde” si è sfogato Altobelli, come vi abbiamo già riferito ieri”.
Nel resto dell’articolo è riferito che Altobelli avesse sostenuto che se avesse giocato nella Juventus, avrebbe avuto più spazio e che lo stesso fosse contrariato perché, seppur preparandosi con dedizione, non ricevesse la giusta attenzione da parte del CT. Questo mentre Graziani dava fiducia a Rossi e Altobelli se ne sarebbe risentito.
In questo contesto non mancavano quotidiani che descrivevano la nazionale come prossima a spaccarsi. “Il Giornale” parlava di rivolta degli esclusi. E del resto, il citato articolo di Corbo non mancava di notare come “Oriali pensava di giocare contro il Perù nel secondo tempo.
Parla sempre meno. La sua faccia è simile a quella degli altri giocatori destinati alla tribuna. Come deportati in Spagna vivono gli altri sei: Galli, Vierchowod, Massaro, Dossena, Baresi, Selvaggi.
Nel bilancio modesto di questo mondiale, va inserito anche l’ostracismo di Bearzot verso chi si è macchiato di grottesche colpe: Massaro e Dossena sono stati esclusi solo perché hanno detto qualche parola in più nelle interviste”.
Nella realtà, di rivolte vere e proprie nel clan azzurro non se ne registrarono, sebbene qualche giocatore fosse scontento e scalpitasse per giocare; per lo meno Bearzot e i dirigenti riuscivano a dare impressione di un sufficiente ordine.
Quanto ai possibili ostracismi di Bearzot, la realtà avrebbe dimostrato che non era proprio così (o non del tutto così): Altobelli e Oriali, soprattutto il secondo, sarebbero stati a tempo debito impiegati.
Per gli altri non si sarebbe trattato di accantonamento discriminatorio, ma di scelta tecnica: semplicemente o la squadra titolare aveva, per il CT, dimostrato in linea di massima di meritare la maglia o gli altri venivano ritenuti troppo giovani per scalzare veterani come Antognoni.
Ma la stampa sembrava un torrente in piena nell’incolpare il CT praticamente di tutto e non si tacitavano quelle voci che lo volevano esonerato (tra gli altri, anche Helenio Herrera infieriva nel “Processo” di Biscardi, esprimendosi con concetti pesanti, tipo “Non è un grande allenatore, ha diretto soltanto il Prato, con gli uomini che ha, Liedholm o Trapattoni avrebbero messo su una grande squadra, non sa prendere decisioni durante una partita”) .
Un articolo del “Corriere della Sera” dal titolo “La commedia degli errori di Bearzot preso dal panico dopo il gol di Conti”, a firma di Carlo Grandini, impietosamente vedeva il nostro CT (ritenuto responsabile di sostituzioni sbagliate) e la squadra nel panico.
Esso recitava: “D’un tratto, dalla mezz’ora del primo tempo in poi, è cominciata e si è dipanata, sempre più autorevole e schiacciante, la partita del Perù. Notate ch’è cominciata, paradossalmente, quando il terzino Duarte si è ferito a un sopracciglio incornandosi con Cabrini e Tym, per rimetterlo in campo nella ripresa, lo ha fatto uscire e lo ha sostituito, lasciando per quasi un quarto d’ora la squadra in dieci contro undici: oddio, se si pensa a quel Rossi, eravamo in dieci anche noi… e dunque è parso che in quel tocco di genio di Tym insinuasse all’improvviso negli azzurri, che pure stavano vincendo, e in Bearzot, un panico crescente.
E il panico è sfociato in un secondo tempo dove la fragile impalcatura è crollata fra i fischi di un pubblico… sempre più inviperito e ironico con gli azzurri.
La commedia si è iniziata col miracolo dell’assurdo messo in scena da Bearzot: fuori Rossi (e fin qui tutto regolare, doveroso), dentro non Altobelli, ch’è l’attaccante più in forma, né Oriali che poteva servire a rinforzare la difesa, ma Causio”.
E per sintesi finale l’articolo parlava di “Italia mal diretta, debole di gambe e di cuore”. Dunque, uno dei due interisti fra Altobelli e Oriali doveva entrare, per il “Corsera”: lo storico quotidiano di Milano non aveva mai mancato di sostenere gli interisti, compreso, finché era stato possibile, Beccalossi.
La circostanza di non aver sostituito Rossi con Altobelli era anche oggetto di critica da parte di Tosatti in un articolo2 del 22 giugno sul “Corriere dello Sport-Stadio” nel quale il giornalista, dopo aver in un certo senso “bacchettato” Bearzot per aver accusato la squadra “di non aver rispettato le consegne, di aver stoltamente difeso il gol di Conti, anziché di portarsi in avanti”, rimarcava come “con la disinvoltura che gli è caratteristica il CT sorvola su due realtà: sostituendo Rossi con Causio anziché Altobelli ha tolto incisività all’attacco e ha messo in campo una formazione decisamente più difensiva; gli azzurri non si reggevano in piedi e questa è una colpa da attribuire alla sua maldestra preparazione” (sull’ultimo punto Bearzot avrebbe dissentito, sicuro della non veridicità dell’assunto, come avrebbe dimostrato nel secondo turno).
Una pagina, la cinque per essere esatti, della “Gazzetta dello Sport” del 21 giugno dal titolo gigante “Rossi davanti al mistero Rossi” cercava spiegazioni partendo appunto da Paolo Rossi.
Nell’articolo Lodovico Maradei sottolineava l’avvilente situazione in cui annaspava la nostra squadra, descrivendo Rossi come “smagrito, angosciato, avvilito, privo di energie e di lucidità di gioco (è come se avesse esaurito tutte le sue risorse nell’amichevole di Ginevra) e la nazionale come “confusionaria, sciatta, priva di punti di riferimento certi, male organizzata”.
Detto questo, l’articolo si chiudeva con una stoccata rivolta implicitamente a Bearzot: “Rimane solo una speranza e che cioè uno dei due si sblocchi e aiuti l’altro a ritrovarsi.
Ma non è stata proprio la pretesa che Rossi risolvesse i problemi della nazionale una delle cause della prostrazione morale più che fisica del giocatore?”.
L’ultima frase poteva avere del vero e lasciava trasparire il sospetto inquietante che la situazione non avesse vie d’uscita; in questa cornice il classico detto del serpente che si morde la coda rischiava di essere realtà.
Dunque, pareva essere stato toccato il fondo: come se la non ancor buona condizione atletica e il blocco psicologico di Rossi potessero aver contagiato almeno mezza squadra, in special modo dal centrocampo in su.
Ma di fronte a questo non esaltante quadro, oggi si potrebbe dire che Bearzot aveva già preso una giusta e assennata decisione quando, sostituendo Rossi, che per sua stessa ammissione non se l’aspettava3, gli aveva assicurato che l’avrebbe fatto giocare contro il Camerun: bocciarlo sic et sempliciter avrebbe significato abbattere definitivamente il giocatore e ammettere il proprio fallimento nell’averlo convocato, il che avrebbe potuto condurre allo sfascio di tutta la squadra e al rischio di una nuova Corea.
La validità della decisione di Bearzot, peraltro, è avallata dallo stesso Rossi quando scrive che “Il cielo, improvvisamente, si rischiarò.
Tirai un sospiro di sollievo. Mi restava qualche carta da spendere”4 dopo che, comunque, Bearzot gli aveva detto di non preoccuparsi e di prepararsi per il Camerun.
Rossi dal canto suo, non cercava scuse e ammetteva di aver giocato male, rendendosi conto di aver sbagliato moltissimo, di aver fatto tanti scatti a vuoto.
E rifiutava il ruolo di salvatore della patria. Non protestava per la sostituzione, perché operata per il bene della squadra, per cui si dispiaceva più per il pari che per l’avvicendamento con Causio, e si metteva a disposizione del CT.
Sul punto lo stesso giocatore era chiaro: basta vedere l’articolo di Silvio Garioni del “Corriere della Sera” del 22 giugno dal titolo “Il mio mito è finito” ammette Rossi”. Pablito ribadiva di aver giocato male con il Perù, anche se pensava per l’avvenire di poter giocare meglio, perché non poteva essere quello che era apparso contro la squadra sudamericana.
Ringraziava Bearzot per averlo confermato per la partita con il Camerun, ritenendo che si sarebbe fatto il suo bene solo mandandolo in campo.
Soprattutto, con sincerità ammetteva di essersi liberato del proprio mito: in quel momento non avrebbe potuto dare molto di più; che non ci si aspettasse miracoli da lui. I compagni della nazionale non l’avrebbero abbandonato, e Antognoni, per esempio, ribadiva, ancora una volta, che solo giocando poteva sbloccarsi.
Dello stesso tenore, l’opinione di Graziani, sempre più deciso a difendere il proprio collega d’attacco. D’altronde, lo stesso Rossi e il professor Vecchiet confermavano come stesse bene.
Il suo era solo un problema di ordine psicologico, di fiducia in se stesso. Per dargli una mano, era sopraggiunto a Vigo il giorno prima di Italia-Camerun Giuseppe Farina, all’epoca presidente del Milan, ma in precedenza presidente del Lanerossi Vicenza nel periodo in cui era Rossi era esploso come attaccante.
Una persona che aveva stima incondizionata di Rossi, il quale lo avrebbe sempre considerato alla stregua di un padre. Farina “raccoglieva” le confessioni di Rossi: “Mi ha detto che è ossessionato dalla paura di sbagliare”. (…) “Io penso che i suoi problemi siano esclusivamente di natura psicologica.
Del resto, anche lui mi ha accennato a qualcosa del genere, mi ha detto che mentre calcia pensa a non sbagliare e quando si ha questo stato d’animo, va a finire che sbaglia davvero.
Poveretto, va capito e aiutato perché in questo momento si rende conto di avere tutti gli occhi addosso e la responsabilità gli pesa. Tutti noi abbiamo detto per mesi che il destino dell’Italia ai mondiali sarebbe dipeso da Rossi e lui avverte questa situazione che non è assolutamente piacevole”. (…) Rossi deve giocare e anzi io l’avrei tenuto in campo anche nel secondo tempo contro il Perù.
Intendiamoci: non voglio polemizzare con Bearzot. Dico semplicemente che per il bene di Rossi io non l’avrei fatto uscire. E poi scusate, con Rossi l’Italia vinceva 1-0, mentre nella ripresa ha perso 1-0, per cui non credo che Rossi sia stato dannoso”. (…)
Bisogna dargli fiducia e incoraggiarlo. Rossi è arrivato a questo mondiale spremuto, perché si è consumato nell’attesa, al pensiero di dover risolvere i problemi dell’Italia. Ma non tutto è perduto.
Il giocatore è un fuoriclasse e se riesce a trovare un gol o uno spunto vincente, può di colpo dimenticare tutto. Ecco perché io credo che debba giocare, nonostante le critiche che ha ricevuto. In fondo ha sbagliato soltanto una partita.
Andiamo indietro nel tempo e vediamo quanti giocatori hanno giocato peggio di lui”. La visita di Farina fu un toccasana per Rossi. Peraltro, una lancia a favore a suo pro, la spezzava anche il suo vecchio allenatore del Vicenza dei miracoli, Giovanbattista Fabbri, che era dell’idea che Rossi non venisse compreso, che non avesse palloni giocabili e che il suo partner ideale fosse Bettega.
Un incoraggiamento e un appello a non distruggerlo arrivava da altri allenatori. Ma non avrebbe fatto piacere alla squadra, invece, la dichiarazione del presidente della Lega Matarrese: “Sordillo è stato un signore ad andare negli spogliatoi a fine partita.
Io non ci sono andato perché altrimenti avrei dovuto prenderli tutti a calci nel sedere. La nazionale italiana è una squadra vecchia, e non mi riferisco all’età, ma alla fantasia e alla voglia di vincere. In troppi si sentono appagati, fuorviati dall’obiettivo della qualificazione”.
Ed essendogli stato richiesto di riflettere circa l’eventualità che l’allenatore del suo Bari, ovvero Catuzzi, avesse potuto sostituire Rossi con Causio, la risposta era: “non offendiamo Catuzzi”. Bearzot e i giocatori non avrebbero gradito.
E all’atto di presentazione dello stesso presidente della Lega negli spogliatoi azzurri per complimentarsi dopo la vittoria del 5 luglio sul Brasile, reazioni e commenti dei giocatori non sarebbero stati teneri.
Il 18 giugno 1978, ai mondiali argentini, si giocava Italia – Austria. Gli azzurri vincevano per 1 a 0, gol di Rossi (altro contesto rispetto a 4 anni dopo, stessa data, quasi dalle stelle alle stalle) lanciato dopo un fraseggio con Causio a seguito di azione iniziata da Scirea.
L’Austria attaccava nella parte centrale della gara. L’Italia era in debito d’ossigeno per poi riprendersi nella parte finale del match, in cui godeva di almeno due occasioni per raddoppiare. In Argentina l’Italia era partita razzo per poi essere affaticata nei momenti clou, decisivi. In Spagna 4 anni dopo sarebbe successo il contrario.
GLIEROIDELCALCIO.COM (Francesco Zagami)