Nell’immaginario collettivo di ogni amante del calcio, la nazionale calcistica dell’Unione Sovietica ha sempre rappresentato la forza e la tenacia del popolo russo
Il calcio sovietico, come tutto lo sport nella Russia del tempo, seguiva i dettami classici dell’organizzazione sportiva socialista. Cosa vuol dire questo? Significa calcio rigido, votato alla vittoria, concreto e soprattutto pianificato. La pianificazione che era un tratto tipico dei sovietici penetrò anche dentro il calcio e questo tratto fu unito a una vasta quantità di strutture sportive pubbliche concepite per la crescita degli atleti.
Dopo la rivoluzione russa, nel 1917, venne riorganizzato anche il campionato di calcio e nacque così la Vysšaja Liga. A dar colore e carattere a tutto il complesso furono squadre, tutt’ora attive nell’attuale campionato di calcio russo, che divennero dei veri pilastri culturali e più rappresentative sulla scena internazionale, come lo Spartak Mosca, la Lokomotiv Mosca, la Torpedo Mosca, la Dinamo Mosca e il CSKA Mosca. La logica era quella di sostituire le vecchie squadre considerate simbolo della borghesia con associazioni sportive legate ad aziende di Stato ed enti pubblici, quindi che potessero rappresentare al meglio il popolo russo.
E così seguendo questa logica nel 1922 nacque lo Spartak Mosca, la squadra del popolo, soprannominata “la carne” per via che la proprietà era di un’industria moscovita che produceva la carne in scatola e al contrario delle altre squadre, che erano controllate da esercito, polizia, industrie automobilistiche, metallurgiche o ferroviaria, lo Spartak era costituita come società sportiva di un sindacato operaio (platea più numerosa di tifosi) e da qui l’origine del nome, Spartaco, lo schiavo romano che si era ribellato in nome della libertà. Poi, la Dinamo Mosca, la squadra che era sotto il controllo del Ministero dell’Interno russo e poi della Ceka (polizia segreta divenuta dopo KGB), il CSKA Mosca la squadra del ministero della difesa, cioè quella dell’Armata Rossa, la Lokomotiv Mosca quella dei ferrovieri che nel 1923 nacque con il nome del “Club della Rivoluzione Russa” e la Torpedo Mosca che nel 1924 era denominata Proletárskaya kúznitsa (Forza Proletaria) cambiò il suo nome nel 1936, quando la squadra fu di fatto acquisita dal settore automobilistico, in particolare dall’impresa statale ZIL. Questa era la base da cui la nazionale sovietica “pescava”, al suo tempo, i migliori giocatori da portare in nazionale e di fatto il campionato sovietico riuscì a produrre giocatori tanto forti quanto leggendari al tempo stesso.
Il primo successo internazionale della compagine sovietica fu nelle Olimpiadi di Melbourne nel 1956. Queste Olimpiadi oltre che consacrare i sovietici come campioni fece conoscere al mondo intero il talento di un giocatore che negli anni a venire sarà il simbolo e l’icona per eccellenza della forza calcistica sovietica: Lev Jascin il ragno nero. Jascin aveva ventisette anni quando guidò la sua nazionale al trionfo e sarà l’unico portiere, nella storia del calcio a vincere il pallone d’oro. La sfida in finale vide i sovietici scontrarsi con la Jugoslavia di Tito, da poco c’era stato lo strappo politico-internazionale tra le due nazioni, trasformando così quella partita di calcio in una sfida politica tra i due sistemi socialisti. La vera affermazione però arrivò nel 1960, quando nella prima edizione dei Campionati Europei di Calcio, i sovietici si aggiudicarono il trofeo.
Campione d’Europa 1960
Anche in questo caso, la competizione calcistica diventò uno scontro politico, cioè un confronto tra il blocco Occidentale e quello dell’Est. Edizione dominata dalle squadre del Patto di Varsavia con un caso particolare accaduto nei quarti di finale del torneo, dove l’URSS aveva pescato la Spagna di Franco. La Partita fu vinta a tavolino dai sovietici perché Franco decise di ritirare la squadra e non affrontare i rivali, questo perché al tempo di questa edizione, la formula era quelle di partite di andata e ritorno nelle rispettive nazioni, Franco aveva il timore che la venuta sovietica potesse dar forza ai gruppi di opposizione clandestini e soprattutto la paura più grande era quella di trovarsi gli spalti dello stadio pieni di bandiera rosse. La vittoria “dell’Armata Rossa” si concretizzò contro la Jugoslavia di Tito, dando così vita ai maggiori timori occidentali, cioè l’Urss campione d’Europa. Nel corso delle successive edizioni dei mondiali e europei arrivarono a ottimi risultati ma non riuscirono più a ripetere i grandi successi del 1956 e 1960. L’Urss nel corso della sua storia è riuscita ad arrivare sempre nelle prime quattro posizioni mettendo in seria difficoltà le squadre più forti del tempo.
Ciò che attirò l’interesse e il fascino di molti tifosi internazionali verso i sovietici furono anche le figure mitiche che hanno “animato” questa nazionale, figure come il già citato Lev Jascin, poi Igor Netto, Alexandar “lo Zar” Zavarov, Valerij Voronin, Oleksij Mykhaylychenko e Oleh Blochin considerato il più grande giocatore russo dopo Jascin. Anche nella sezione allenatori possiamo trovare diversi personaggi mitici del mondo calcistico sovietico, ma pochi si son guadagnati il rango di leggenda come il colonnello Valerij Lobanovskij che fu un vero e proprio simbolo del calcio sovietico incarnando tutta l’essenza della filosofia sportiva socialista. Durante il suo periodo d’allenatore, i ragazzi tesserati nelle società di calcio dell’Unione Sovietica salirono da 6 a 30 milioni, tra questi c’era anche il campione del Milan Andriy Shevchenko che dopo aver vinto la Champions, nel 2003, portò il trofeo sotto la statua del suo maestro rendendogli così il giusto omaggio e arrivando a coronare uno degli obiettivi mai raggiunti dal colonnello.
La nazionale sovietica finalista all’Europeo del 1988, ultimo risultato di rilievo prima dello scioglimento dell’URSS