Il gioco del calcio deve la maggior parte del suo successo alla sua semplicità: undici giocatori contro undici, un pallone, un arbitro, due porte, con l’obiettivo di segnare un gol più degli avversari per vincere le partite.
Tutto qui nella sua essenza base, primordiale.
Queste, però, sono le basi, le fondamenta su cui si inizia a costruire una storia infinita fatta di capitoli da novanta minuti.
Capitoli che contengono la vita stessa: i sorrisi, le lacrime, la gioia, il dolore, gli elementi cardine che, a loro volta, permeano l’esistenza umana.
Allargando il discorso, ogni squadra a sua volta forma un microcosmo composto dai giocatori e dai loro tifosi, mondi che vanno a sfidare mondi, pianeti che spesso si trovano in rotta di collisione, prevalendo una volta l’uno, una volta l’altro.
È da questi scontri, che si protraggono nel tempo, che scaturisce un altro elemento fondamentale del gioco: la rivalità.
Sia essa di quartiere, cittadina, tra nazioni, la rivalità calcistica è insita nell’anima della partita che rappresenta l’incrocio, spesso, tra due realtà acerrime rivali, se non nemiche, e che può finire per diventare il fulcro centrale di un’intera stagione sportiva, quelle partite che, se le vinci, danno un senso a tutto, indipendentemente da tutto.
In genere sono proprio le stracittadine, i classici derby, le partite più accese e sentite, ma ci sono incroci che vanno oltre il limite geografico, diventano particolari per motivazioni che possono essere politiche, sociali o religiose.
O semplice odio calcistico.
A quest’ultimo caso possiamo ascrivere la partita, e la rivalità, di cui vogliamo narrare, quella tra Leeds United e Chelsea.
Il Leeds United fu fondato ufficialmente nel 1919, anche se già c’era stata una rappresentante calcistica della città inglese, poi radiata per illeciti, e apparteneva al ceto medio basso del calcio britannico, viaggiando tra First e Second Division, famosa più che altro perché tra le sue file aveva militato John Charles, che aveva contribuito alla promozione nella massima serie prima di essere ceduto alla Juventus.
Il periodo d’oro dei Whites inizia, in pratica, nel 1961, quando la guida tecnica fu affidata a Don Revie.
Personaggio vulcanico e controverso almeno quanto il suo antagonista dell’epoca, Brian Clough, Revie riuscì con un lavoro meticoloso a risollevare le sorti della squadra e a regalarle la gloria con la vittoria in campionato nel 1969, bissata nel 1974, prima che lo stesso Revie andasse a guidare la nazionale dei Tre Leoni.
La storia del Chelsea di quegli anni è simile a quella del Leeds, la squadra londinese è solo negli anni Duemila che si è iscritta nel ristretto novero delle grandi d’Europa, con due Champions League conquistate, unica squadra della capitale ad esserci riuscita.
Alla fine degli anni Settanta la bacheca era ricca di un solo campionato vinto nel 1955 per cui quella finale di FA Cup raggiunta nel 1970 rappresentava una opportunità da cogliere, a patto di avere ragione proprio del Leeds.
Quella coppa rappresenta ancora oggi la più antica competizione calcistica del mondo, avendo visto la sua prima edizione disputarsi addirittura nella stagione 1871/1872, vinta dal Wanderers Football Club.
Una competizione dal fascino unico, forse perché veramente aperta alla partecipazione di tutto il calcio britannico, dilettanti compresi, ma anche per tutto il cerimoniale, e il rituale, cui si accompagna, iniziando dal palcoscenico della finale, il mitico Wembley Stadium.
Tanto per dare la dimensione dell’importanza di questa coppa, quando la nostrana Coppa Italia disputò la sua prima edizione, nel 1922, già cinquanta volte si era giocata quella inglese, e praticamente cento erano nel 1970.
Il cammino verso al finale che si sarebbe disputata l’11 aprile del 1970 iniziò con il turno preliminare del 6 settembre 1969, le nostre protagoniste entrarono in scena al terzo turno.
Il Leeds superò lo Swansea Town per due a uno, per poi arrivare senza problemi fino alla semifinale, avendo ragione di Sutton United (0 – 6), Mansfield Town (2 – 0), Swindon Town (0 – 2).
Al penultimo atto occorsero ben tre partite per superare il Manchester United, al secondo replay, dopo due zero a zero, bastò un gol di Billy Bremner per andare a Wembley.
Qui ad attendere i Whites c’era il Chelsea: i londinesi avevano superato il Birmingham City all’esordio al terzo turno (3 – 0), ebbero bisogno di un replay contro il Burnley (2 – 2, 1 – 3), di slancio superarono Crystal Palace (1 – 4), Queens Park Rangers (2 – 4) e Watford in semifinale (5 – 1).
Quell’11 aprile, davanti ai “soliti” centomila di Wembley una vittoria sarebbe stata la prima volta per entrambe, ma il match finì in parità, tra errori dei portieri e il solito gioco ruvido britannico, con il Leeds due volte in vantaggio, con Jack Charlton e Mick Jones, sempre raggiunto prima da Peter Houseman e poi da Ian Hitchinson.
Occorreva la ripetizione come non accadeva dal 1912 e, per motivi di ordine pubblico, si scelse di far giocare la gara all’Old Trafford di Manchester, per la prima volta lontano da Wembley dal 1923.
La data era il 29 aprile del 1970 ma, al fischio d’inizio del sig. Eric Jennings di Worcester, forse per ruggini accumulate nella prima partita, il match si trasformò in una specie di caccia all’uomo.
I falli si susseguivano ai falli, i tackles, quel gesto tecnico duro ma spettacolare che proprio gli inglesi più di altri hanno saputo esaltare, si trasformavano in entrate micidiali all’altezza delle ginocchia.
Il pallone era quasi diventato un orpello, una scusa per attaccare l’avversario di turno.
In mezzo a tutta questa brutalità, in maniera quasi casuale, da intrusi arrivarono anche i gol, con il vantaggio iniziale ancora del Leeds ad opera di Jones pareggiato da Peter Osgood.
Nei supplementari fu David Webb a dare il definitivo vantaggio al Chelsea, con conseguente primo alloro dei Blues nella competizione, il Leeds si sarebbe rifatto due anni dopo, ma da quella finale si acuì una rivalità non sanata, solo mitigata dal fatto che nel corso degli anni le due squadre si sono incontrate poche volte, una rivalità nata in quella partita passata alla storia come The most brutal game.
Fa Cup Finale ReplayOld TraffordManchester29 April 1970
allenatore di calcio professionista, si dedica agli studi sullo sport, il calcio in particolare, dividendo tale attività con quella di dirigente e allenatore.
Giornalista pubblicista, socio Ussi e Aips, è membro della Società Italiana di Storia dello Sport (Siss), dell’European Committee for Sports History (Cesh), dell’Associazione dei Cronisti e Storici dello Sport (La-CRO.S.S.).
Relatore a numerosi convegni, oltre a vari saggi, ha pubblicato: 80 voglia di vincere – Storia dei Mondiali di Calcio (2010); La Vita al 90° (2011), una raccolta di racconti calcistici; Più difficile di un Mondiale – Storia degli Europei di Calcio (2012); Il Destino in un Pallone (2014), una seconda raccolta di racconti calcistici; Lasciamoli giocare-Idee per un buon calcio giovanile (Edizioni del Sud, Napoli 2016).
Per GliEroidelCalcio in convenzione S.I.S.S.