RIVISTACONTRASTI.IT (Matteo Mancini) – Come nelle belle fiabe per bambini, anche questa storia inizia con “c’era una volta”. Ed in effetti di favole si tratta, con tutti gli elementi che caratterizzano il genere narrativo. Ci sono i cattivi, i posti incantevoli, gli eroi indimenticabili, manca, quasi sempre però, il lieto fine. Comunque, c’era una volta un calcio italiano che stava crescendo, e le cui squadre dominavano in giro per l’Europa. Ma la cosa più bella ed affascinante è che a far da protagoniste non c’erano solamente le grandi squadre, ma anche e soprattutto le più piccole. Nell’anno 1988 la prima provinciale prova a bussare alle porte del paradiso.
L’Atalanta, nella stagione precedente, è incappata in un’annata strana: in campionato la squadra non si esprime secondo le potenzialità, anche se qualche individualità spicca comunque, come Magrin che andrà a sostituire poi un certo Platini con il 10 sulle spalle in maglia juventina. Arriva una dolorosa retrocessione, bilanciata in parte dalla cavalcata in Coppa Italia, che vede gli orobici arrivare in finale, al cospetto del Napoli di Maradona fresco campione d’Italia. Sconfitta nella doppia finale, la squadra si qualifica comunque per la coppa delle coppe e nella stagione 87/88 disputerà una competizione europea e la Serie B, caso assai raro che resterà anche l’ultimo.
wp-image-13185 size-full” src=”https://www.rivistacontrasti.it/wp-content/uploads/2018/09/DeOB9ykXkAEA6qX.jpg” alt=”” width=”1200″ height=”790″ srcset=”http://www.rivistacontrasti.it/wp-content/uploads/2018/09/DeOB9ykXkAEA6qX.jpg 1200w, http://www.rivistacontrasti.it/wp-content/uploads/2018/09/DeOB9ykXkAEA6qX-300×198.jpg 300w, http://www.rivistacontrasti.it/wp-content/uploads/2018/09/DeOB9ykXkAEA6qX-768×506.jpg 768w, http://www.rivistacontrasti.it/wp-content/uploads/2018/09/DeOB9ykXkAEA6qX-1024×674.jpg 1024w” sizes=”(max-width: 1200px) 100vw, 1200px” /&aVenduto Magrin alla Juve, la formazione orobica sembra leggermente più povera di talento, ma in panchina arriva un allenatore tosto e ed emergente come Emiliano Mondonico, che forgia la squadra a sua immagine e somiglianza. Quella Atalanta è quadrata e frizzante allo stesso tempo, in Serie B rimane sempre nelle posizioni di testa e secondo pronostico
riconquista la promozione in Serie A. In Europa sembra una cenerentola, ed anche le avversarie sembrano sottovalutarla: inizia la propria cavalcata con gli sconosciuti gallesi del Merthyr Tydfil, e viene sconfitta nella trasferta d’andata, in uno “stadio” che sembra uno dei campi comunali di tanti paesi italiani. Al ritorno i nerazzurri ribaltano il risultato e lo stesso iter seguono con i greci dell’Ofi creta, regalandosi la sfida dei
quarti con il blasonato Sporting Lisbona, una delle favorite per la vittoria finale.
Qui l’avventura prende i contorni della favola, i portoghesi vengono aggrediti letteralmente allo stadio “Atleti Azzurri d’Italia”, e sconfitti per 2-0 non riusciranno a ribaltare la situazione nel ritorno, anzi verranno puniti da un gol in contropiede di Cantarutti, che proietterà gli orobici in semifinale contro il Malines. Sembra un accoppiamento buono, le altre due semifinaliste sono il Marsiglia e l’Ajax campione in carica. All’andata in Belgio un gol dello svedese Stromberg alimenta le speranze di finale nonostante la sconfitta. A Bergamo basta l’1-0, che arriva già nel primo tempo con un rigore di Garlini. Nell’intervallo chiedono a Mondonico se si sente già a Strasburgo per la finale, il mister atalantino fa gli scongiuri e sembra quasi prevedere quello che accade di lì a poco: i nerazzurri giocano una ripresa di gran livello, mettono nuovamente alle strette i belgi, colpiscono anche un palo, ma a metà secondo un tremendo uno-due firmato da Rutjers ed Emmers (che giocherà poi in Italia nel Perugia di Gaucci) spezza i sogni atalantini e manda i belgi a giocare (e vincere) la finale di Strasburgo contro l’Ajax.
Rimane questo, però, il miglior piazzamento di una squadra italiana di Serie B in una delle coppe europee.
La storia di quel periodo di coppe, è anche, come detto, la storia del trionfo del calcio italiano, quello del campionato più bello del mondo. Può così capitare che Torino e Genoa, due squadre che appena un paio di stagioni prima militavano in Serie B, possano spingersi fino alle semifinali e combattere ad armi pari con team blasonati come Ajax e Real Madrid. Accade nella coppa Uefa 91/92, ed in questa storia rientra ancora Mondonico, che allena i granata, ed Osvaldo Bagnoli, il mago della bovisa, avvezzo alle imprese da underdog avendo allenato il Verona dello scudetto, ora condottiero del Genoa.
I rossoblu si erano qualificati alla Coppa UEFA grazie al loro miglior campionato dal dopoguerra, con uno scintillante quarto posto nel 90/91 oscurato però dallo scudetto dei concittadini sampdoriani. L’avventura in Coppa UEFA viene vista come un simpatico diversivo, anche Bagnoli l’affronta in modo disincantato, ma assume contorni indimenticabili quando ai quarti di finale i genoani estromettono il Liverpool, diventando la prima squadra italiana ad espugnare “Anfield Road”. L’avventura s’interromperà in semifinale, per mano del giovane Ajax di Bergkamp. In finale i lancieri incontreranno i granata allenati da Mondonico, che nella doppia semifinale aveva estromesso nientemeno che il Real Madrid di Butragueño grazie al gol di Casagrande al Bernabeu e alla magica notte del “Delle Alpi” al ritorno, culminata in un 2-0 indimenticabile per il popolo granata.
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La doppia finale vede il Torino pareggiare in casa 2-2 e poi andare ad Amsterdam per un ritorno in cui il classico cuore toro è pari solo alla sfortuna, con pali e traverse (l’ultimo legno colpito da Sordo a tempo scaduto) ed un’immagine che rimane scolpita nella memoria di tutti gli appassionati, con
Mondonico che alza al cielo di Amsterdam una sedia in segno di protesta contro il destino avverso. Le amare parole di capitan Cravero a fine gara riassumono perfettamente quanto visto in campo: “
solo il Torino può perdere una finale in questo modo”. Dopo queste grandi cavalcate, ma senza la gioia del lieto fine,
è tempo finalmente per una provinciale di varcare i confini della provincia stessa, per mostrarsi all’Europa intera. Nel 92/93 il
Parma di Nevio Scala è proprio il prototipo della provinciale di lusso, una squadra frizzante, che gioca bene, piena di talenti pronti ad esplodere. Nell’anno precedente ha vinto la Coppa Italia battendo la Juve, ribaltando al “Tardini” la sconfitta dell’andata.
Si affaccia per la seconda volta nella storia delle coppe europee dopo l’avventura UEFA terminata al primo turno nell’anno precedente con un gol subito al 90’ dai bulgari del CSKA Sofia. Nella Coppa delle Coppe del 92/93, i ducali costruiscono la le loro fortune in trasferta, vincendo tre delle quattro gare esterne della competizione, compresa quella di semifinale contro i favoriti dell’Altetico Madrid. Nella finale di Wembley un’altra cenerentola, l’Anversa, attende i gialloblu. È la favola italiana a prevalere grazie alle reti di Melli, Minotti e Grun. Da qui in avanti il Parma lascerà lo status di provinciale per diventare una delle principali realtà degli anni 90’.
La Coppa delle Coppe di quegli anni è terreno fertile per le sorprese, venendo alimentata dalle coppe nazionali, oramai relegate a competizione di secondo livello in quasi tutte le leghe europee. Capita così che il Vicenza vinca inaspettatamente la Coppa Italia 97 regalandosi un’avventura europea tutta da raccontare. L’undici di Guidolin è la squadra sorpresa delle stagioni precedenti, si è fatta anche un paio di settimane in testa alla classifica, ed ha innestato su un tessuto di squadra competitivo un bomber di lusso come Pasquale Luiso, il toro di Sora, che aveva fatto piangere il Milan l’anno precedente con una rovesciata spettacolare, portando all’esonero di Tabarez. Il calcio semplice ma efficace tanto caro a Guidolin gira l’Europa, trovando per la verità ostacoli non insormontabili come Legia Varsavia, Shakhtar, (non ancora quello dei brasiliani) e Roda.
Giunge fino alle semifinali con il Chelsea. Sembra quasi una partita di Serie A. Celebre, nei Blues, le presenze di Zola e Di Matteo, allenati da Luca Vialli, per l’occasione anche giocatore in un primo esperimento da “player manager” che troverà il suo unico acuto proprio in questa stagione. Dopo aver battuto gli inglesi al Menti grazie al gol del “piccolo Zidane” Zauli, i biancorossi entrano a Stamford Bridge senza timori reverenziali, ed un’incornata di Luiso porta i vicentini in vantaggio all’intervallo (a soli 45’ dalla finale di Stoccolma). Ma proprio come per l’Atalanta dieci anni prima, nella ripresa il sogno si frantuma, complice un gol annullato a Luiso per fuorigioco inesistente e le tre reti messe a segno dagli inglesi, che alzeranno al cielo la coppa grazie ad un gol di “magic Box” Zola nella finale contro lo Stoccarda.
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Stessa delusione toccherà al
Bologna l’anno seguente, e sarà anche l’ultimo acuto di una piccola nelle coppe europee, prima della modernizzazione che porterà la UEFA a prediligere le squadre blasonate nelle coppe per massimizzare gli introiti. Quello è davvero un bel Bologna allenato da una vecchia volpe come
Carletto Mazzone, e nonostante sia nella stagione post-Baggio, il talento non manca: è arrivato Beppe
Signori, ci sono giovani di prospettiva come Binotto e gente d’esperienza come Fontolan, Marocchi e Paganin.
I rossoblu iniziano la loro avventura partendo da lontanissimo, dalla bizzarra Coppa Intertoto sperimentale che fornisce tre pass per la coppa UEFA. Dopo aver ottenuto il posto UEFA, estromettendo anche la Samp in un derby fratricida, la banda di Mazzone inizia a girare l’Europa, eliminando formazioni blasonate come Betis, Sporting Lisbona e Lione giungendo alle semifinali al cospetto del Marsiglia. Dopo uno 0-0 sul campo del “Velodrome” i rossoblu attendono i francesi al “Dall’Ara”. Dopo appena 17 minuti è un gol di Paramatti a far esplodere lo stadio, e sembra un segno del destino che proprio quel ragazzo, dal cognome così particolare e che veste la maglia del Bologna dai tempi della Serie C, possa portare i suoi nella finale di Mosca dove li attende il Parma per quello che sarebbe uno storico derby regionale.
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La storia però prende una strada inattesa: mancano solo tre minuti alla finale e Antonioli stende Maurice in area. Rigore, che viene calciato da
Blanc per due volte prima di mandare
i francesi al mattatoio contro il miglior Parma della storia nella finale di Mosca. Signori avrebbe sul piede la palla che porterebbe il Bologna in Russia, la spara però fuori e l’epilogo è reso più triste dalla mega rissa finale, frutto di tensione e frustrazione per un traguardo scivolato dalle mani quando lo si poteva ormai stringere.
Questo sarà l’ultimo squillo di una piccola in Europa. Da lì in poi le cavalcate europee saranno molto meno frequenti e comunque ad appannaggio delle grandi squadre. Rimane la bellezza di quelle notti, in cui ci si scopriva tifosi appassionati dell’Atalanta, del Vicenza o del Bologna di turno, ed era bello, perché era quasi come tifare la nazionale. Ed era bello, perché le favole piacciono a tutti, anche quando si cresce.
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