STABIACHANNEL.IT (Giovanni Minieri) – Nostalgia canaglia. Di quando il calcio era davvero della gente, attacca alla radiolina la domenica alle tre del pomeriggio, per ascoltare minuto per minuto tutti gli aggiornamenti dai campi di Serie A. Con rigorosa contemporaneità. Gli stadi erano pieni fino all’inverosimile, regnava l’equilibrio come dimostra l’alternanza sul gradino più alto del podio, e l’attaccamento alla maglia era reale e non soltanto di facciata. Botte da orbi, senza teatralità. Ogni gara era una battaglia, e vincere su ogni campo era impresa più che ardua, a prescindere dal valore tecnico-tattico sul terreno di gioco. Il cuore come elemento imprescindibile, con la folla ad accompagnare tra cori e tamburi un esercito di soldati che non mollava mai fino all’ultima stilla di sudore. Le favole erano ancora possibili, come quella di vedere un campione del mondo difendere con orgoglio la maglia del Lecce. I colori giallorossi del Salento tatuati sulla pelle, un amore incondizionato che non si è spezzato neanche con la B, mentre la vera ricchezza era sentire l’affetto di una piazza calda ed esigente, e dare più del 100% in campo per ricambiare affetto, fiducia e sostegno.
Pedro Pablo Pasculli giunse in Italia nell’estate del 1985 proveniente dall’Argentinos Juniors, dove per due anni aveva condiviso spogliatoio e campo con un certo Diego Armando Maradona. Destinazione Lecce, colpo da novanta per il primo storico campionato in massima serie sotto la presidenza Jurlano. Tra alti e bassi, due retrocessioni ma soprattutto tre stagioni di fila in Serie A tra 1988 e 1991 con il 9° posto 1988/89 (con l’attaccante argentino inevitabilmente in doppia cifra), che resta ancora il miglior piazzamento dei salentini nel gotha del calcio mondiale.
Pasculli è la storia: 7° posto assoluto per numero di presenze, e secondo miglior realizzatore in massima serie dietro Chevanton, sbarcato in Salento qualche anno più tardi. 8 le sfide contro il Napoli di Maradona, tra cui spicca il suo gol al Via del Mare per riacciuffare gli azzurri passati in vantaggio con Carnevale nell’anno del Secondo Scudetto.
Dal campo alla panchina è un attimo, ed ora l’obiettivo è risollevare il Valdiano dai bassifondi della classifica, e portarlo alla salvezza nel massimo campionato dilettantistico regionale. Esordio con vittoria la settimana scorsa tra le mura amiche contro la Scafatese, e chi ben comincia è già a metà dell’opera.
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Da calciatore è stato una bandiera del Lecce. 7 anni vestendo la maglia giallorossa anche in Serie B, pur essendo campione del mondo con l’Argentina. Il presidente Jurlano scommise su di lei per la prima, storica stagione in Serie A. Il nuovo Via del Mare stracolmo per la “prima” con il Torino. Da argentino, qual è stato l’impatto con il calore di una tra le più belle piazze del meridione?
“Giocare in Serie A a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta, è stato per me un motivo di immensa soddisfazione. Ho avuto la fortuna di difendere i colori di una grande squadra come il Lecce, che mi ha dato tanto ed a cui credo di aver dato altrettanto. È stato un onore disputare i mondiali di Messico ’86 da calciatore della compagine salentina. In Italia si poteva ammirare un calcio vero in quegli anni, con grandissimi campioni che hanno fatto la storia di questo sport come Maradona, Platini, Zico, Antognoni, Roberto Baggio, Altobelli, Baresi. Potersi confrontare con avversari simili riempie di gioia ed orgoglio”.
Pasculli sta al Lecce quasi come Marek Hamsik sta al Napoli. In un calcio mai così globalizzato, sente nostalgia per gli anni Ottanta-Novanta dove c’era più equilibrio, attaccamento alla maglia e tifosi allo stadio?
“Il calcio è cambiato totalmente nel corso degli ultimi anni, e non vedo più quel senso di appartenenza che esisteva ai miei tempi. Marek Hamsik è un’icona del Napoli, avendo fatto la storia dopo aver battuto il record assoluto di gol che apparteneva a Diego Maradona. La globalizzazione ha fatto sì che il calcio si aprisse a nuovi mercati, e così si spiega l’irruzione di una squadra cinese pronta a ricoprire d’oro il capitano azzurro, all’interno di una trattativa che continua a riservare colpi di scena. Adesso il dio denaro la fa da padrone, mentre io ricordo un altro calcio più genuino e familiare, fatto di sentimenti e attaccamento ai colori. Negli anni Ottanta la gente andava allo stadio e si divertiva, mentre oggi tutto questo non accade più”.
Ha affrontato 8 volte il Napoli di Maradona, cogliendo 1 vittoria con Marco Baroni che l’anno successivo passò proprio al Napoli, ed un pari con suo gol a Lecce, nell’anno del Secondo Scudetto. Qual è la gara che ricorda con maggior emozione di quei tempi?
“Affrontare quel Napoli nella bolgia del San Paolo è sempre stato un piacere immenso. Lo stadio partenopeo era sempre gremito in ogni ordine di posto: non c’era spazio neanche per uno spillo, ed avvertivi il tremolio fin sopra il terreno di gioco. Ho tanti ricordi bellissimi, sui quali spicca proprio quello del mio gol decisivo per strappare un punto d’oro davanti al nostro pubblico a Lecce. Ricordo a fine gara gli scherzosi sfottò di Maradona, perché al di là della rivalità calcistica ci univa una profonda amicizia”
Sua la rete decisiva agli ottavi del mondiale 1986 contro l’Uruguay, competizione poi vinta dall’Argentina grazie ad un certo Maradona. Si è allenato con lui in Nazionale, giocando sia in squadra con lui che contro tantissime volte. È il calciatore più forte che hai incontrato?
“Credo che Maradona sia stato il calciatore più forte che abbia mai visto giocare. Prima della Nazionale, siamo stati anche compagni di squadra per due stagioni, quando firmai per l’Argentinos Juniors proveniente dal Colon di Santa Fe. Difficile fare paragoni con epoche diverse, ma ritengo Diego il miglior interprete del calcio mondiale”.
Può raccontare un aneddoto divertente che vi riguarda?
“Beh, durante il Mondiale dividevamo la camera in ritiro, ed insieme abbiamo vissuto tantissimi bei momenti. Ricordo ad esempio la notte prima della finale contro la Germania. Un calciatore normale non riesce ad addormentarsi, perché inizia a pensare alla famiglia, poi agli amici fino a ripercorre tutta la carriera calcistica come in un flash-back prima di giocarsi la gloria eterna. Sai che tutto il mondo ti guarderà in televisione, in quella che può essere forse definita la partita più importante che possa mai essere giocata. Ero molto nervoso. Mi rivolsi a Diego, e lui mi disse di non preoccuparmi perché bastava chiudere gli occhi per prendere sonno dopo pochi istanti. Si addormentò in un nulla come se niente fosse, senza avvertire il peso di quanto sarebbe stato in palio da lì a poche ore”.
Ha avuto come allenatori Fascetti, Mazzone e Boniek. Quale ha apprezzato di più, e c’è qualcosa di questi tre che ha fatto suo durante il percorso da allenatore?
“È normale che tutti questi tecnici mi abbiano lasciato qualcosa riguardo il proprio modo di intendere il calcio, ma per me il migliore resta Carlo Mazzone. Oltre ad essere un grande allenatore, aveva carattere e personalità, e per noi calciatori era come un padre. Per me è stato il tecnico più importante con cui ho lavorato in carriera, seguito subito dopo da Bilardo con la Nazionale”.
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