GLIEROIDELCALCIO.COM (Federico Baranello) – Per la rubrica “Calcio, Arte & Società” abbiamo raggiunto Angelo Deiana, autore del libro “A Diosa – La leggenda di Nenè”edito da L’Erudita. Il libro è un viaggio alla ricerca delle proprie origini, quindi di sé stessi, dove la Sardegna e il Cagliari dello Scudetto sono la propria “vita”. Abbiamo incontrato l’autore per permettere a tutti noi di meglio comprendere il contenuto del libro. Un triplo appuntamento, oggi l’intervista e nei prossimi giorni due estratti.
Buona lettura.
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Angelo, in primis, come nasce l’idea di questo romanzo?
“Nasce da una serie di combinazioni. La prima, la più importante, è lo spunto: una conversazione con lo scrittore Fabio Stassi, viterbese d’adozione anche lui e grande appassionato del rapporto tra calcio e letteratura. Ci siamo ritrovati una sera, a Tarquinia, a parlare della mia squadra del cuore, il Cagliari, e di una figura che a lui affascinava molto, Nenè. Da lì, è scattata la molla: perché non scrivere qualcosa su di lui? E allora nel giro di pochissimi giorni tutte le tessere del mosaico si sono messe a posto: non volevo scrivere né una cronistoria dello Scudetto del ’69-70, né una sterile biografia su Nenè. E allora a quel punto l’idea del romanzo è venuta giù da sé, andando a toccare tutti gli altri aspetti da cui poi è nato: il mio trascorso, il rapporto con le origini, con le radici, con il destino… E così poi tutti questi (e molti altri) ingredienti sono finiti in un frullatore. Non ho dovuto fare altro che premere avvio“
Il titolo, davvero particolare, cosa significa esattamente?
“A Diosa” è una poesia scritta in lingua sarda, tra le più conosciute e importanti della tradizione. È a due voci: un amato e un’amata si scrivono. Diosa è un nomignolo, vuol dire dea, è un modo in cui ci si può chiamare nelle lettere tra innamorati. Da questa poesia è stata poi tratta una delle canzoni più belle di sempre, almeno per me: “Non potho reposare”. Anche questa divenuta in breve tempo un canto tradizionale e rappresentativo della cultura sarda. La poesia e la canzone, dunque, svolgono un ruolo fondamentale nella trama del libro, tenendo in un certo senso incollate tutte le storie che vengono qui ad intrecciarsi. Ed è per questo che poi “A Diosa” è anche diventato il titolo del libro.
Il sottotitolo, invece, è “La leggenda di Nenè”, proprio perché il richiamo alla figura di Nenè doveva risaltare subito agli occhi, caratterizzando così questo racconto. Un racconto che assume i contorni di una leggenda, che poi il lettore capirà…”
Qual è il metodo utilizzato per la narrazione?
“La narrazione è tutta in prima persona. Gli occhi, la voce, le emozioni, i ricordi, sono quelli del protagonista, Damiano, un giornalista precario di 34 anni. È lui che ci porta per mano dentro questa storia. Lo incontriamo nella sua città, Viterbo, e poi partiamo con lui per andare al di là del Tirreno, in Sardegna. Dove tutto quello che accade gli stravolge incredibilmente e inaspettatamente l’esistenza.
Si alternano poi due piani narrativi. In un gioco ad incastro tra il presente e, appunto, il 1969-70, la stagione di quell’impresa mitica che ha cambiato per sempre le sorti di un intero popolo. Tra aneddoti (tutti veri, che ho avuto la possibilità di raccogliere dalle voci dei reali protagonisti di quella straordinaria vittoria), racconti e retroscena di un calcio che non esiste più”
Che cosa troviamo nel libro, quali storie, quali misteri?
“Le storie sono tante, e tutte collegate tra loro, come se un destino (a cui il protagonista non crede) dall’alto muovesse i fili. Sono le storie di una generazione, la mia, che è rimasta fregata sotto il giogo della precarietà (che diventa precarietà del tutto), ma che nonostante tutto non vuole arrendersi; sono le storie di generazioni passate, quelle di chi aveva vent’anni sul finire degli anni Sessanta. Non ci sono misteri, tutt’al più ci sono magie. Perché il racconto assume in alcune circostanze dei contorni fiabeschi, ma anche questo è un aspetto solamente da accennare per non togliere il gusto della lettura…
Insomma, è un libro in cui si intrecciano molte vite, ognuna con una sua peculiarità. Ognuna in cui possiamo ritrovare una parte di noi stessi”
Un libro che è un omaggio ad un grande campione, ma non solo…
“Esatto. È un omaggio a Nenè, forse l’eroe più tragico di quell’impresa. Ed è un omaggio sentito e dovuto in quest’anno particolare in cui si celebrano i 50 anni dallo Scudetto. Ma è un libro che racconta soprattutto altro. Come dicevo prima, è un insieme di storie e vissuti che hanno a che fare con me, con quello che ho vissuto e che solo scrivendo sono riuscito a capire e fissare. Scrivere è spesso terapeutico anche per questo, ci aiuta a mettere ordine, a metabolizzare. E, molto spesso, a dare un finale diverso che la vita invece ci ha sottratto. Almeno sulle pagine, possiamo far andare le cose come avremmo voluto che andassero”
Quanta ricerca c’è in un libro come questo… e quali sono i luoghi che hai visitato per fare ricerche…
“Di ricerca ce n’è stata molta, prima di tutto dentro di me. E poi al di fuori. I luoghi sono quelli che io chiamo “dell’anima”. Perché i posti in cui è ambientato, in Sardegna, sono quelli che fanno parte del mio dna. Ardauli, ad esempio, il paese dei miei nonni e di mio padre. Un posto unico, che per me ha un significato intimo e quasi trascendentale. E poi c’è stata la ricerca relativa a Nenè: sono andato a Cagliari a incontrare i suoi ex compagni di squadra, Tomasini, Reginato, Greatti… E sono stati loro a raccontarmi aneddoti e particolari che mi sono serviti per descrivere e ritrarre questo personaggio meraviglioso. Ho incontrato anche un altro ex giocatore, Angelo Benedicto Sormani, che fu compagno di squadra di Nenè nel Santos di Pelè. Insomma, anche fare le ricerche è stata una bellissima esperienza, che ha poi dato i suoi frutti nelle pagine che ho scritto”
Che “cosa” è questo libro per te, cosa rappresenta…
“Rappresenta molto. Ma mi limito a dire una cosa: per me questo libro è un traguardo e al tempo stesso un punto di partenza. È il primo romanzo, un sogno realizzato quindi, un punto a cui sognavo di arrivare prima o poi. Ma vorrei fosse anche un primo passo verso altro”
Perché andrebbe letto e chi deve assolutamente leggerlo…
“Domanda difficile, non sono bravo con l’autopromozione. Faccio un solo “spoiler”: è un romanzo a lieto fine. E credo che oggi più che mai ci sia bisogno di un lieto fine almeno nelle storie che leggiamo. Visto che la realtà, purtroppo, ci concede tutti i giorni tragedie che fanno male. Andrebbe letto quindi per questo e perché credo sia un buon modo per scoprire una Sardegna inedita, un entroterra dell’anima, e uno spaccato generazionale che non si deve ignorare.
“Assolutamente”, invece, dovrebbero leggerlo i ragazzi, i tifosi del Cagliari e tutti gli appassionati di calcio. Perché la storia di quel Cagliari lì è talmente unica che supera ogni confine e emoziona sempre l’Italia intera”
Il mondo del calcio in quel periodo era davvero migliore come spesso diciamo?
“Sotto molti punti di vista sì. C’erano certamente dei valori che poi si sono persi. Un esempio su tutti: Gigi Riva. Bastano la sua storia e le sue scelte per dire tutto. Anche se per natura sono portato a non mitizzare troppo il passato. Cerco di cogliere sempre il buono in ogni cosa, anche nell’epoca che vivo. E quindi nel calcio con cui sono cresciuto e che ancora, ogni domenica, mi fa tornare bambino per 90 minuti.
Riporto solo l’incipit del romanzo, come invito alla lettura: “Ci sono viaggi che sembrano destini. Il mio è stato uno di questi”.