GLIEROIDELCALCIO.COM – Pubblichiamo, come preannunciato (vedi intervista con l’autore qui), il primo estratto del libro “A Diosa – La leggenda di Nenè” di Angelo Deiana, edito da L’Erudita. Ringraziamo ancora l’autore e la casa editrice per averci dato questa possibilità.
Buona lettura.
Il Team de Gli Eroi del Calcio.com
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«Di tutti loro, è stata la persona a cui ho voluto più bene, con cui ho legato di più. Forse perché in modi diversi eravamo entrambi stranieri: io appena arrivato in città da un piccolo paese dell’entroterra e lui catapultato in Sardegna dopo aver girato mezzo mondo con il Santos, e dopo aver attraversato le vie di Torino in pieno boom economico, quando giocava alla Juve». Fece un pausa solo per innaffiare la bocca. E poi riprese con un entusiasmo incontenibile. «Arrivò a Cagliari nel 1964. Aveva giocato e condiviso lo spogliatoio con Pelè: diceva che quella era stata la gioia più grande della sua vita e che solo uno scudetto con il Cagliari avrebbe potuto eguagliarla. Io non seguivo molto il calcio, ma ricordo bene cosa fosse Pelè in quegli anni, era sulla bocca di tutti. E sulle orme di quello che veniva considerato il giocatore più forte di sempre, aveva toccato l’Europa, la Russia, gli Stati Uniti, l’America Centrale… Io che il mondo non l’avevo mai visto, lo scoprii così, attraverso i racconti di Nenè. Mi innamorai del Brasile ascoltando con lui, un giorno a occhi chiusi, La barca di Lucho Gatica. Era stata la colonna sonora delle lunghe trasferte in pullman che facevano su e giù per il sud-est, suonando samba tutti insieme con quello che avevano a disposizione, penne, pettini e scatole di fiammiferi».
«Quando vi parlaste la prima volta?», chiesi.
«Fu fuori dalla porta del Corsaro. Mi chiese da dove venissi: appena risposi Ardauli, scoppiò a ridere. Provò tutta la sera a ripeterlo, ma ogni volta si impappinava a tornava a sbellicarsi. Così, cominciammo a chiacchierare, prima solo durante le mie pause, poi tutte le volte che passava dal ristorante, anche nei giorni in cui la squadra si riposava. Nenè soggiornava nella foresteria della società, insieme agli altri compagni scapoli, sotto l’occhio vigile di Manlio Scopigno, l’allenatore filosofo. Non si poteva sgarrare là, Nenè mi raccontava degli scherzi che si facevano a vicenda, anche solo per un ritardo. Una volta a un malcapitato che osò presentarsi un quarto d’ora dopo le ventidue e trenta, che era l’orario stabilito per i rientri, Tomasini buttò giù il materasso dalla finestra: ricordo ancora quanto Nenè si divertisse a raccontarlo. Erano scapoli, campioni e scalmanati: lui, Riva, Domenghini, Tomasini, Zignoli… La foresteria era in via Sanna Randaccio, qualche volta dopo la chiusura facevamo un pezzo di strada insieme perché anche io e tuo nonno abitavamo da quelle parti».
«Aspetta, aspetta. Vuoi dire che nonno ha conosciuto Nenè?».
«Eia!».
Tre vocali che affermarono, intrecciandole, tre generazioni: quella di mio nonno, quella di mio padre e la mia […]
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