GLIEROIDELCALCIO.COM (Federico Baranello) – Per la rubrica “Libri” abbiamo raggiunto e intervistato un amico de GliEroidelCalcio, Mauro Grimaldi, Consigliere Delegato della Federcalcio Servizi, scrittore e autore del libro “Storia d’Italia, del calcio e della Nazionale – Uomini, Fatti, aneddoti (1850-1949)”, edito da Lab DFG.
L’opera è un percorso che si articola nel periodo più drammatico della nostra storia, attraversato da due guerre mondiali, dal fascismo alla caduta della Monarchia fino alla nuova Italia repubblicana. Ma è anche il periodo più entusiasmante, sotto l’aspetto storico e sportivo, per il nostro calcio. Dalla sua affermazione e presenza sul territorio, alla conquista dei massimi titoli mondiali e continentali degli anni Trenta. Una storia che si conclude atrocemente con la tragedia di Superga
Un doppio appuntamento, oggi l’intervista a Grimaldi e la prossima settimana un estratto del libro.
Buona lettura
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Mauro, siamo di fronte ad una tua nuova opera… partiamo dal titolo… “Storia d’Italia…”, quindi non solo calcio. Come si inserisce il calcio nella Storia d’Italia…
“Il pallone, in questo caso, diventa la voce narrante della nostra storia dove il calcio, da oltre un secolo, ha un percorso parallelo. Non è un caso che il calcio arriva in Italia in un momento storico di grande cambiamento. Siamo all’indomani dell’Unità e l’Italia ancora deve prendere coscienza di essere diventata una Nazione sovrana al pari degli altri Stati europei. Si rende conto dell’enorme GAP tecnologico e sociale che la separa da paese più evoluti come ad esempio l’Inghilterra, la Francia, la Germania. Ma è l’Inghilterra ad attrarre l’attenzione della nuova Governance politica e imprenditoriale. L’Inghilterra vittoriana, con la Rivoluzione industriale, aveva cambiato completamente modello sociale ed economico diventando un punto di riferimento mondiale. L’Italia post-risorgimentale è ancora una Nazione povera, con un alto tasso di analfabetismo, che basa la propria economia sull’agricoltura, pastorizia, artigianato e delle attività commerciali e quindi non è strutturata per confrontarsi con un nuovo modello sociale in poco tempo, ma il Nord-est sì, perché è stato sempre recettivo agli influssi anglosassoni e alle nuove tendenze. Non dimentichiamo che il Regno di Sardegna, cioè il Piemonte, è il primo Stato ad introdurre nel 1844, seppure come pratica militare, la ginnastica. Per cui, assieme alla Liguria e alla Lombardia ha, nel suo DNA, questa propensione alle novità. Poi, non dimentichiamo il grande porto commerciale di Genova che diventa una sorta di cordone ombelicale con le navi inglesi e la Borsa di Genova, fulcro delle transazioni commerciali. C’è quindi quasi un automatismo nel recepire il modello industriale inglese e ad accogliere le prime Comunità anglosassoni che assieme al loro know-how tecnologico importano anche i loro hobby, tra cui il football moderno e attenzione all’aggettivo, perché il football è veramente uno sport rivoluzionario per la sua semplicità. Fino ad allora lo sport era riservato all’élite aristocratica e borghese, come l’ippica, la scherma, il tiro al volo. Con il calcio il concetto della pratica sportiva si apre. Da questo momento in poi inizia questo percorso parallelo tra il calcio e la nostra storia, passando per il fascismo, la repubblica, il boom economico fino alla globalizzazione, e di questi modelli, come una spugna, ne assorbe pregi e difetti”
Mauro Grimaldi e il suo libro
E la Nazionale? Che ruolo ricopre in questo periodo…
“L’idea di una squadra Nazionale nasce dopo oltre un decennio dalla fondazione della Federazione, avvenuta, come sappiamo, nel 1898. Nel 1910 il calcio è ormai cresciuto, ci sono quindi le condizioni per pensare ad una squadra rappresentativa di un’intera Nazione ed è proprio questa l’importanza storica della Nazionale. Per la prima volta, una squadra, incarna l’immaginario collettivo di una nazione e unisce attorno a sé tutto un popolo indistintamente dalle rivalità territoriale, dalla cultura, dai rancori. Immaginate le partite giocate contro l’Austria, questa rivalità che dai campi di battaglia si trasferisce su quelli di gioco. Immaginate uno scontro epico dove la sola arma è un pallone. E poi non è un caso – a parte le prime due partite giocate con una casacca bianca, ma solo perché in Federazione c’era ancora confusione e impreparazione – che la Nazionale indossa una divisa con il colore dei Savoia, l’azzurro e lo stemma Sabaudo, uno scudetto rosso con una croce bianca, che è lo stemma del Re d’Italia. Questo simbolismo sarà poi sfruttato dal Regime durante il ventennio con l’apposizione vicino allo stemma sabaudo di un fascio littorio, e dalla Repubblica con lo scudetto tricolore”
“Calcio” e “Guerra”, sono due termini che spesso nella storia abbiamo visto “vicini”; cosa hanno “raccontato” nella storia della nostra Italia …
“Il periodo che affronto con il mio primo volume – dal 1850 al 1949 – è sicuramente uno dei più complessi della storia mondiale e della nostra storia. Noi apparteniamo ad una generazione che non ha mai vissuto la guerra ma i nostri nonni ne hanno affrontate addirittura due e sono passati attraverso tre cambiamenti dell’assetto costituzionale, dalla monarchia alla dittatura fino alla Repubblica. È un periodo pieno di storia, di cambiamenti epocali, di drammi ma è anche un periodo intenso, importante dove il nostro calcio assume una dimensione mondiale. Poi il suo ruolo durante la guerra, soprattutto la seconda, dove a differenza della Grande guerra dove tutte le attività si fermarono il 24 maggio del 1915 per la mobilitazione generale, almeno fino al 1943, prima dell’armistizio, i campionati sono continuati dando una sensazione di normalità. Ed una funzione ancora più importante l’ha avuta nel dopoguerra, quando in un Italia coperta di macerie, il calcio ha rappresentato un punto di rinascita, di aggregazione. Perché il calcio, nonostante le difficoltà logistiche, ha iniziato a giocare quasi subito. La Nazionale, ad esempio, ha disputato la sua prima partita nel novembre del 1945 contro la Svizzera. Questo spiega perché la tragedia di Superga, nel 1949, è stata per l’intero paese un dramma enorme. Il grande Torino, all’epoca, rappresentava uno dei pochi simboli vincenti di un’Italia ancora in ginocchio, un punto di riferimento per ricominciare, per risollevare un intero paese”
Quale il metodo utilizzato per la narrazione. Quanta ricerca c’è in un libro come questo
“Ho utilizzato un metodo molto discorsivo ma anche analitico. Tutta la narrazione è supportata da riferimenti documentali richiamati in delle note a margine. Ho spulciato l’Archivio nazionale dello Stato, quello riservato del Ministero degli Esteri con il carteggio premondiale del 1934, le cronache de Il Calcio Illustrato che fortunatamente fa parte della mia collezione a partire dal 1930, gli archivi di Coverciano e della FIGC, riviste, pubblicazioni, testimonianze. È stata una ricerca affascinante, approfondita. Tirare fuori da vecchi faldoni impolverati lettere che non vedevano la luce da oltre 80 anni è stata un’esperienza emozionante. Rileggere gli articoli di Vittorio Pozzo, Leone Baccali, Carlin. Sfogliare le interviste dell’epoca che aprono degli spaccati diversi su alcuni eventi è stata una cosa unica. Un grande lavoro di ricerca”
Misteri, curiosità; cosa possiamo trovare nel libro …
“Più che misteri, sicuramente curiosità e mi sono lasciato andare anche ad un paio di interpretazioni intriganti come quella della scelta fatta dalla Federazione di far indossare alla Nazionale, al suo esordio, una casacca bianca. Chiaramente il fatto che sia stato fatto in onore della squadra più forte del momento, la Pro Vercelli, è una balla. Tra l’altro in quella partita di esordio non c’era nessun atleta vercellese, semplicemente perché erano tutti squalificati a causa del fatto che avevano schierato per protesta, nella finale del campionato contro l’Internazionale tutti ragazzini. Quindi i rapporti tra Pro Vercelli e FIF erano molto tesi. La verità, secondo me, è molto più banale. La decisione di formare una squadra nazionale fu presa quasi di getto senza una idea organizzativa precisa e quando fu il momento di scegliere una divisa, visto che non si erano messi d’accordo, si optò per un colore neutro, il bianco, e facilmente reperibile dagli atleti. Vado oltre, ma secondo me, a guardare bene l’unica foto della prima Nazionale schierata quell’15 maggio del 1910, a parte la confusione dei calzoncini che si alternavano tra bianchi e neri, ho avuto l’impressione che i calciatori indossassero delle camicie del loro guardaroba, magari quelle che mettevano sotto il tait. Se osservate bene quella foto, uno dei calciatori ha una larga fascia nera che si sovrappone ai calzoni e la camicia, come quelle che si portavano nei tait sotto la giacca. Magari non è così, ma mi piace pensarlo perché trovo questa storia affascinate e romantica”
Che “Cosa” è questo libro per te, cosa rappresenta.
“È il compendio di oltre un ventennio di studi e di passione che come sai ha trovato un suo riferimento nella grande mostra che porto avanti assieme all’associazione sant’Anna, Un secolo d’azzurro. Tra l’altro nel libro c’è anche il marchio della mostra per significare che fa parte del nostro progetto di divulgazione della storia e della cultura del calcio. Quando l’opera sarà completa – credo almeno tre volumi – gli appassionati avranno a disposizione un importante contenitore di informazioni, storie, date, uomini”
Perché andrebbe letto.
“Vorrei dire perché la lettura è alla base della cultura ma mi limito semplicemente a dire – forse pecco di presunzione – perché è un libro interessante, facile da leggere, che ti rapisce dalla prima all’ultima pagina ed è rivolto non solo agli appassionati di calcio ma a tutti quelli che vogliono confrontarsi con la nostra storia. Mi piacerebbe molto che il mio target di lettori fosse, in buona percentuale, quello delle giovani generazioni perché, interiormente, è dedicato a loro per raccontargli in modo semplice, attraverso un pallone, come eravamo e perché siamo arrivati qui”