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Libri: “Tutta colpa del Mundialito” – Le origini

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GLIEROIDELCALCIO.COM (Federico Baranello) – Per la rubrica “Libri” abbiamo raggiunto e intervistato Andrea Bacci, autore del libro Tutta colpa del Mundialito: Silvio Berlusconi, la tv, il calcio, la politica e l’ombra della P2″, edito da Bradipolibri.

La Copa de Oro, o “Mundialito” è stato un torneo calcistico inventato in Uruguay per celebrare il cinquantesimo anniversario del primo mondiale di calcio. L’idea era di far partecipare in un mini campionato tra dicembre 1980 e i primi giorni del 1981 le sei nazioni che fino a quel momento di erano aggiudicate almeno un’edizione della Coppa del Mondo, con l’Olanda, finalista delle ultime due manifestazioni, a sostituire l’Inghilterra rinunciataria. Ma alle spalle del Mundialito apparvero interessi forti, i diritti televisivi e quelli di immagine che, almeno in Italia, provocarono addirittura una guerra tra la Rai e la neonata emittente privata Canale 5.

Un triplo appuntamento, dopo l’intervista, oggi il primo dei due estratti.

Si ringrazia la casa editrice BradipoLibri per l’opportunità.

Buona lettura

Il team de GliEroidelCalcio.com

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LE ORIGINI DEL MUNDIALITO

L’Uruguay è un piccolo paese sudamericano, stretto tra il Brasile a nord-est, dall’Argentina ad ovest, dal Rio de la Plata a sud e dall’Oceano Pacifico. Nel 1980 conta poco meno di tre milioni di abitanti, di cui un milione e duecentomila abitano a Montevideo, la capitale. Paese non propriamente florido a livello economico, e legato ancora alle esportazioni di carne e pesce, l’Uruguay è formalmente una repubblica, sebbene sotto lo stretto controllo militare e condizionato da una dittatura forse non feroce e assassina quanto quella Argentina, ma certamente criminosa e sanguinaria. Questi fatti sono legati al momento storico in cui praticamente tutto il Sudamerica è di fatto controllato da governi di stampo fascista in cui sono le forze armate ad avere il controllo politico, sotto lo stretto controllo degli Stati Uniti attraverso quella che è passata alla storia come “Operazione Condor”.

Nel 1973 l’allora presidente della repubblica Juan Maria Bordaberry, per contrastare i movimenti rivoluzionari e terroristici del gruppo noto come “Tupamaros”, cedette alle pressioni proprio delle forze armate e procedette a un colpo di stato che represse molte delle libertà fondamentali dei cittadini, sciolse il parlamento e i partiti politici, fino al vero e proprio golpe militare del 1976, quando fu avviata, come in Cile e come in Argentina, la tecnica della “desaparition”: in pratica non solo i veri e propri oppositori politici delle giunte militari, ma anche semplici cittadini, magari sorpresi in qualche locale a fare battute infelici su chi era arrivato al potere, venivano rapiti, torturati senza pietà, quindi uccisi o fatti semplicemente sparire. La tecnica più raffinata fu quella adottata in Argentina, dove la gente veniva reclusa nella tristemente famosa Scuola Superiore di Meccanica Navale (istituto della Marina militare argentina), caricata in aerei militari e gettata ancora viva al largo del Rio della Plata. Destituito con la forza il troppo morbido Bordaberry, al potere in Uruguay sale il sanguinario Alberto Demicheli, quindi Aparicio Méndez. Dal 1973 a Montevideo ha la sua abituale residenza anche Licio Gelli, calle Juan Manuel Ferrari numero 1325, in una villa estremamente lussuosa in compagnia del figlio Maurizio e della famiglia di quest’ultimo, e cura svariati interessi, anche leciti, tra cui il controllo di una rete bancaria, quale azionista del Banco Finanziario Sudamericano.

Nonostante i pochissimi abitanti, l’Uruguay è stata storicamente una grandissima potenza a livello calcistico, contendendo per anni il predominio sudamericano a due colossi come Brasile e Argentina. Squadra straordinaria negli anni Venti e Trenta, la “Celeste”, così come è notoriamente indicata la squadra nazionale uruguaiana, si coprì di gloria e successi vincendo i tornei olimpici di calcio ai Giochi di Parigi del ’24 e di Amsterdam del ’28, e laureandosi prima squadra campione nel Mondiale organizzato proprio in casa, in cui sconfisse in finale per 4-2 la rivale di sempre, l’Argentina. Altro incredibile successo fu poi quello nella quarta edizione iridata, disputata nel 1950 in Brasile, in cui gli uruguaiani batterono clamorosamente proprio i brasiliani al Maracanà per 2-1, gettando il paese ospitante nella più nera disperazione sportiva e sociale. Famoso per l’inconfondibile stile di gioco sudamericano fondato su un atteggiamento molto fisico, al limite del violento, e contraddistinto da pochi ma incredibili fuoriclasse (il nero Andrade negli anni Venti, Schiaffino e Ghiggia negli anni Cinquanta), il calcio uruguaiano è però decaduto fino a dei deludenti anni Settanta, dopo l’ultima grande vittoria in Coppa America datata 1967: ai mondiali tedeschi del ’74 l’Uruguay era uscito al primo turno dopo due sonore sconfitte con Olanda e Svezia e l’1-1 con la Bulgaria, invece nemmeno si era qualificato per la kermesse iridata successiva, quella in Argentina del ’78, l’elogio planetario attraverso il calcio della dittatura militare che si chiuse, guarda un po’, con la vittoria della squadra di casa tra polemiche assortite (la vittoria contro il Perù per 6-0), e arbitri compiacenti (l’italiano Gonnella nella finale contro l’Olanda). Il calcio uruguaiano masticava amaro e preparava la sua vendetta. Si doveva studiare qualcosa per ridare nuova visibilità alla Celeste e al calcio, cosa che il popolo, malridotto da un governo ossessivo, chiedeva a gran voce.

 

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