GLIEROIDELCALCIO.COM – Per la rubrica “Calcio, Arte & Società” abbiamo raggiunto Sandro Solinas, autore del libro ”Vecchi Spalti – Storie di stadi che non sono più tra noi”. Il libro racconta storie e aneddoti degli stadi italiani protagonisti della nostra storia ma che non ci sono più. Abbiamo quindi incontrato l’autore per permettere a tutti noi di meglio comprendere il contenuto del libro.
- Si parla spesso di stadi negli ultimi tempi… come nasce l’idea di dedicare un libro a stadi che non ci sono più?
“Lo spirito del nuovo libro è sempre quello che mi spinse a scrivere il primo, ossia il desiderio di rimuovere l’oblio calato sui nostri stadi, dimenticati senza un vero perché, pur essendo lo scrigno dei nostri ricordi e delle nostre emozioni. Ma se Stadi d’Italia nasceva dall’idea di raccontare le vicende passate delle nostre arene, Vecchi Spalti vuole essere un omaggio alle nostre città, alla nostra gente, uno delle tante possibili narrazioni che raccontano la storia degli uomini e delle donne della nostra bellissima terra. Perché, ne sono sempre stato convinto, quella dei nostri stadi è una storia italiana, la parabola di un’eccellenza del nostro Paese, del suo genio e della sua sregolatezza. Io l’ho raccontata a modo mio, l’unico che conosco. Una storia forse segnata da errori, sprechi, degrado, eccessi e approssimazione, ma anche ricca di gloria, successo e talento. Sono queste, del resto, le parole che chiudono il mio libro. È questo, e nient’altro, che mi ha spinto a raccontare le vicende passate dei nostri stadi. La loro storia, la nostra storia. Sono passati oltre dieci anni dalla prima pubblicazione di Stadi d’Italia e mai avrei pensato di ritrovarmi, a distanza di tanto tempo, a parlare e scrivere ancora di arene e spalti. D’altronde, ho sempre pensato al mio lavoro di ricerca come al punto di partenza per altri, non per me. Ma sono qui. Non volevo, e mai avrei potuto, scrivere una copia del primo libro, differita solamente un po’ più in là nel tempo, in direzione di quegli stadi che non sono più tra noi. Ho preferito variare il linguaggio narrativo, il modo e i tempi del racconto. Mi sono divertito, più di quanto immaginassi”.
- Quale il metodo utilizzato per la narrazione…
“Sostanzialmente raccontare ciò che non è stato raccontato, o almeno provare a farlo in maniera diversa. Nelle forme, ma anche nei contenuti, perché non mancano le entrate a gamba tesa in quei passaggi – per qualcuno assai scomodi – e in quelle vicende per anni nascoste o addirittura negate nei libri di scuola. Il sogno, in verità, era quello di riscrivere tutto in forma diversa, quasi romanzata, un viaggio on the road tra le arene, soprattutto un cammino fatto di incontri con i tanti personaggi legati in qualche modo agli stadi. Adoro le storie dentro le storie. Penso a Don Ferrero e ai suoi giovani che facevano il tifo per la Pistoiese dalle finestre del Seminario Vescovile; a Guido Cagnacci, l’energumeno custode del Velodromo Stampace, dotato di bastone ma soprattutto di un feroce e adattissimo nome di battaglia che terrorizzava i pionieri clandestini del calcio pisano; soprattutto la storia – quasi un romanzo – del baffuto testimonial della Moretti, il celebre birrificio che dava il nome al campo udinese. Ma era così anche nel primo libro, dove si parlava del Vezzosi di Orbetello, racchiuso tra le acque di una laguna senza tempo, i bastioni della fortezza spagnola e le mura di cinta del vecchio idroscalo conosciuto per le imprese aviatorie di Italo Balbo. Meriterebbe un libro a parte. Come il campo di Terracina, quello di Piombino e chissà quanti altri prati di polvere e sudore che ci aspettano sulla giostra dei ricordi”.
- Quanta ricerca c’è in un libro come questo e quali i luoghi che hai visitato per fare ricerche…
“È una ricerca infinita proprio perché al termine di ogni storia ne comincia un’altra, come un lungo viaggio senza una vera fine e un vero principio. Del resto Stadi d’Italia si apriva con le parole di Borges che ci ricordano come ogni volta che un bambino prende a calci qualcosa per la strada lì ricomincia la storia del calcio. Questo libro in fondo potrebbe essere scritto mille volte in forma sempre diversa. Invece non l’ha scritto mai nessuno e ancora faccio fatica a crederlo. E mi ha molto colpito l’indifferenza, per non dire l’avversione, che ho percepito spesso durante le mie ricerche sull’argomento, soprattutto in quegli ambienti che dovrebbero invece promuovere, sostenere e valorizzare la storia e le testimonianze dell’evoluzione del calcio, temi che nel resto del mondo – ma non da noi – sono giustamente valorizzati come patrimonio di conoscenza utile alla ricostruzione della cultura locale, del passato sportivo e dei fenomeni sociali del territorio. Ma siamo in Italia, e questo fastidio per qualunque cosa venga fatta per passione e non porti vantaggi a breve termine altro non è che lo specchio di un paese ignorante e opportunista”.
- Quale la scoperta che hai fatto che ti ha meravigliato di più
“Visivamente mi ha stregato la doppia tribuna del campo di Rovigo, i vecchi spalti che come uno spettro del passato appaiono alle spalle della nuova tribuna. Il passato che non passa. E poi l’incredibile somiglianza degli stadi costruiti da Rozzi, soprattutto quelli di Benevento e Campobasso – pressoché identici – ma anche le arene di Avellino e Ascoli (e, in misura minore, Lecce) assai simili, benché costruite sopra spalti preesistenti. Poi ci sono i dettagli cult, le visioni iconiche, come le scale di San Siro, quelle elicoidali del campo di Firenze o gli archi bolognesi ripresi dalle terme di Caracalla. E la torre pendente che accompagna i tramonti pisani”.
- Quali misteri svela il libro…
“Non ci sono misteri, solo storie che aspettavano di essere raccontate. E lette, soprattutto, perché scrivere è bello ma leggere è divino, dona a tutti un paio di ali per volare lontano. Certi libri vanno scritti comunque, perché così sono alcune storie. Devono essere raccontate e basta, qualcuno lo avrebbe fatto al mio posto, prima o poi. Quella dei nostri stadi, tra l’altro, è una gran bella storia, perché non raccontarla? “Il mondo è fatto per finire in un bel libro” diceva Mallarmé, ed è proprio così”.
- Che “Cosa” è questo libro per te, cosa rappresenta…
“Un tributo di riconoscenza verso il gioco più bello dl mondo, oggi purtroppo svuotato dei suoi contenuti identitari, mitici, simbolici, sentimentali e di quei rituali che, al di là del gioco e dello spettacolo, da sempre hanno fatto la fortuna secolare di questo sport nazionalpopolare. Un modo come un altro per dire no al calcio moderno che ha spento ogni emozione”.
“Perché i nostri stadi hanno tanto da raccontare, ascoltiamoli. «Guai a quella città che non trovi posto per il tempio» ammoniva l’oratore e politico ateniese Demostene. Ne vogliamo parlare?”
Qui potete scaricare un estratto del libro
Per ordinare le copie potete contattare l’autore tramite il suo profilo facebook