Il piacere di “attribuire un’adorazione quasi divina” è un dogma tipicamente pallonaro.
L’identificazione di un singolo in un simbolo, speciale come pochi e in grado di convogliare la passione per un gioco, per una squadra, per un tifo.
Talenti più o meno puri, più o meno fortunati, più o meno decisivi. Tanti e di ogni razza, molti con lo stesso numero sulle spalle, molti altri con una cifra che mutava fino all’11.
Se l’impersonificazione del dio calcistico racchiude le figure del compianto Diego e dell’immenso Edson, la fotografia della classe ha un nome comune ed un cognome tipicamente Veneto.
Quel 1° Aprile di 20 anni fa, il romantico romanzo calcistico del rivoluzionario 90° Minuto aveva attirato ancora la mia attenzione.
L’ansia di vedere Baggio contro la sua ex Juventus, il vantaggio di conoscere anticipatamente il risultato ed i marcatori. Perché nei marcatori c’era anche lui.
Si parlava di un gol spettacolare, forse il più bello, sicuramente uno dei più difficili. Si parlava di un lancio millimetrico di un giovanotto silenzioso e schivo, dotato di un piede raffinato come pochi. Uno di quelli cresciuti nel floridissimo vivaio bresciano. Si parlava, anche, di una incredulità di un pubblico lasciato a bocca a porta.
Soltanto tre minuti al termine dell’incontro, pochissimi per lasciare il segno sulla rivincita.
Poi quel tocco diventato realtà. Perché è incredibile e irrazionale immaginare una rete del genere. Qualsiasi altro giocatore avrebbe tentato una conclusione al volo, di prima. Qualsiasi altro giocatore … ma non lui.
Lo stop a seguire, con una torsione innaturale della caviglia. Accarezzare la sfera quel tanto di giusto che bastava a superare un portierone di quasi due metri. Rivedendolo, quel pomeriggio di 20 anni addietro, mi risultava tecnicamente inconcepibile. Il pallone accompagnato verso il primo spazio utile e poi un leggero appoggio con il sinistro.
Roba da Diego. Roba da Divino.
Ne ha fatti tanti di capolavori Roberto. Quello, però, è forse il più assurdo, il più impossibile. Quando la difficoltà si trasforma in apparente semplicità, serve soltanto inchinarsi alla grandezza.