Stasera, per la terza volta nella storia, Liverpool e Real Madrid si affronteranno in una finale di Champions League. Dopo la recente finale dell’edizione del 2018, vinta dai madrileni per 3-1, per ritrovare le due squadre in finale bisogna fare un piccolo salto nel passato, fino al 27 maggio del 1981
Football comes home
Nel 1977 le squadre inglesi inaugurano la striscia vincente più lunga di sempre nella storia della competizione: sei titoli consecutivi, sette in otto stagioni. Tre affermazioni del Liverpool (1977, 1978, 1981), due del Nottingham Forest (1979, 1980) e una dell’Aston Villa (1982). Questa prolungata serie di successi si spiega, in parte, con un’applicazione più rapida e pragmatica della lezione olandese, attraverso il controllo del gioco e il movimento incessante sulle fasce, ma anche per una concatenazione di eventi di carattere storico, politico e sociale che hanno contribuito in quegli anni a forgiare lo stile del calcio inglese.
Le numerose affermazioni in Europa di quel periodo coincidono con una grave crisi interna, politica ed economica. Il tasso di disoccupazione e del cambio della sterlina sono ai minimi storici. Nel 1979, però, la nuova inquilina di Downing Street è Margaret Thatcher, subito ribattezzata dai cittadini inglesi «the Iron lady» per via del pugno di ferro attraverso cui intende affrontare la suddetta crisi: tagli alla spesa assistenziale e chiusura definitiva dei cancelli delle fabbriche minerarie da lei ritenute improduttive. Sulla working class infuria così il cosiddetto «invero del malcontento» e per strada Piovono pietre, come avrebbe poi raccontato il regista Ken Loach. Migliaia di disoccupati, relegati ai margini della società, trovano così riparo e solidarietà solo pagando cinque sterline a settimana per occupare un posto sul cemento delle tribune dell’Old Trafford, Elland Road o dell’Anfield Road.
Tra il 1980 e il 1981, i tifosi dei Reds si ritrovano dunque a sospingere la squadra di Bob Paisley sia in campionato, sia in Coppa dei Campioni. È un cammino agevole e travolgente, sin dai Sedicesimi di finale, quando sbriciolano i finlandesi dell’Oulun Palloseura con un complessivo di undici reti; poi è il turno dell’Aberdeen allenato dal giovane Alex Ferguson, ma anche gli scozzesi vengono piegati con cinque gol tra andata e ritorno; ai Quarti di finale una pioggia di sei gol si abbatte pure sui bulgari del CSKA Sofia, mentre decisamente più difficile si annuncia la semifinale contro il Bayern Monaco.
Rummenigge e compagni non sembrano invece preoccuparsi del Liverpool, anzi si lasciano andare a dichiarazioni abbastanza baldanzose: «Il calcio inglese è stupido e totalmente privo di fantasia». In effetti, la partita di andata ad Anfield sembra confermare i preconcetti dei bavaresi che per novanta minuti riescono ad imbrigliare il gioco sulle fasce dei Reds, i quali per la prima volta non riescono a segnare neanche un gol. Negli spogliatoi i giocatori tedeschi sono pressoché sicuri: «non ci hanno dato il minimo disturbo. A Monaco chiuderemo il conto».
Due settimane più tardi, all’Olympiastadion di Monaco la partita sembra avviarsi ai tempi supplementari, perché entrambe le squadre non sono riuscite a trovare il bandolo della matassa. A sette minuti dalla fine, però, ci pensa Ray Kennedy a portare in vantaggio il Liverpool. Il Bayern non ci sta, e a un minuto dalla fine pareggia il conto con quella forza della natura che risponde al nome di Rummenigge, capocannoniere di quell’edizione e futuro Pallone d’Oro. Il pareggio però, per via della regola dei gol in trasferta, manda in finale il Liverpool per la terza volta nella sua storia. Questa vittoria rappresenta così l’apice della saldatura tra il calcio e il movimento di protesta operaia.
Real Madrid, gol e movida
Dall’altra parte del tabellone in semifinale sono giunte Inter e Real Madrid, ciò significa che, insieme a Bayern e Liverpool, tutte insieme mettono sul piatto della bilancia la bellezza di 13 Coppe dei Campioni. Anche i madrileni hanno avuto vita facile fino alle semifinali: sette gol al Limerick, tre alla Honvéd e due allo Spartak Mosca. La squadra, allenata dallo jugoslavo Vujadin Boškov, dopo aver vinto il ventesimo titolo nella Primera División, punta decisamente alla Coppa dei Campioni che manca in bacheca dal 1966. I blancos sono un undici quadrato e intransigente, guidato a centrocampo da Vicente del Bosque e dal tedesco Uli Stielike, mentre dalla tre quarti in poi si affida all’estro e alla fantasia di Juanito e del capitano Santillana.
Il Real Madrid, nel frattempo, è diventato il simbolo calcistico di una Spagna che con grande fatica sta provando definitivamente a lasciarsi alle spalle gli anni bui del franchismo. Non hanno aiutato gli ultimi attentati terroristici dell’Eta, il tentativo di golpe da parte del colonnello Antonio Tejero Molina, né il sequestro del calciatore del Barcellona Enrique Castro González, detto Quini, uno dei più grandi goleador del calcio spagnolo, per questo soprannominato «El Brujo», lo stregone. Ora, però, dopo tanti anni di oscurantismo e dittatura, c’è voglia di euforia e modernità.
Le vittorie del Real Madrid, in campionato e in Coppa, dettano il passo di un Paese in netta crescita economica che si appresta ad ospitare anche il Mondiale di calcio del 1982. Per questo motivo, la parola d’ordine in quegli anni diventa «movida» e la Spagna si appresta a immergersi anima e corpo nelle strade e nelle piazze tramutate finalmente in spazi vitali dove emergono figure artistiche e culturali come il regista Pedro Almodóvar o il cantante Miguel Bosé, raccontati ogni settimana sulla rivista indipendente «La luna de Madrid», vera e propria Bibbia della movida spagnola. È una sorta di Sessantotto spagnolo, riassunto nei due slogan che meglio raccontano il movimento: «Madrid nunca duerme» (Madrid non dorme mai) ed «Esta noche todo el mundo a la calle», (Stanotte tutti in strada). Questa Spagna giovane e dei giovani affida al calcio il compito di mostrare a livello planetario il nuovo volto di un Paese finalmente affidabile, organizzato e dinamico. L’occasione del Mondiale è ghiotta sia per riammodernare strade, stadi, infrastrutture, sia per rilanciare un’economia in pieno desarrollo, mentre l’ultimo atto di Coppa dei Campioni contro il Liverpool, dopo aver superato in semifinale l’Inter, può essere il momento decisivo per affermare questa rinascita anche a livello calcistico.
Il prezioso tagliando della finale (Collezione Matteo Melodia)
La Finale
Il 27 maggio 1981 al Parco dei Principi di Parigi scendono in campo due squadre che contano in rosa molti assenti e tanti infortunati. Kenny Dalglish, per esempio, torna a giocare dopo un brutto infortunio alla caviglia rimediato nella partita con il Bayern Monaco; sono acciaccati il capitano Phil Thompson, Sammy Lee e anche Alan Kennedy, che nella partita precedente si è rotto il polso.
Le merengues di Boskov ne vorrebbero approfittare, ma vanno veramente vicine al gol solo in un’occasione, quando Camacho in proiezione offensiva, solo davanti al portiere Ray Clemence, spara la palla alta sopra la traversa. I tifosi sugli spalti assistono così a una partita bloccata, a tratti noiosa e con poche occasioni da gol da una parte dell’altra. Quando, però, i giocatori in campo sembrano rassegnati a giocarsi la finale ai supplementari, da un innocuo fallo laterale sulla trequarti spunta il terzino sinistro Alan Kennedy che con un diagonale in area di rigore beffa il portiere spagnolo Agustín Rodríguez.
È suo il gol decisivo, così Alan Kennedy diventa l’uomo del destino del Liverpool, poiché sarà capace di segnare due anni dopo nella finale di Coppa di Lega contro il Manchester United e soprattutto l’ultimo rigore nell’altra finale di Coppa dei Campioni, quella contro la Roma nel 1984.
Kennedy
Festeggiano i giocatori in campo, festeggia un’intera città e festeggia anche Bob Paisley, che in tal modo si avvia a diventare il primo allenatore a vincere per tre volte la Coppa dei Campioni (Ancelotti e Zidane arriveranno molti anni dopo). Lui, il timido assistente cresciuto nell’ombra di Bill Shankly, si conquista così un cancello d’ingresso a lui intitolato ad Anfield Road e un posto speciale nei cuori dei tifosi del Liverpool e nella Hall of fame del club.
Per quanto riguarda il Real Madrid, invece, per approdare nuovamente in una finale di Champions League avrebbe dovuto aspettare ancora tanto tempo, il 1998. Ma quella contro il Liverpool del 1981, a oggi rimane l’ultima finale europea persa dai Blancos. Il Liverpool è avvisato. Chi vincerà questa sera?
Nato a Cosenza, classe 1985, è storico, regista cinematografico e scrittore. Autore di diversi saggi e documentari sulla storia dello sport, è anche membro della Siss e dell'Anac. Da qualche anno lavora come supplente a Torino e ha da poco fondato la propria casa di produzione.