GLIEROIDELCALCIO.COM (Antonio Capotosto) – Negli anni Settanta i calciatori con barba e capelli lunghi erano considerati dei divi. Tranne Dino Pagliari da Macerata, che nel ’75 la Fiorentina mandò in prestito per tre stagioni. Uno che arrivava all’allenamento in motorino e qualche volta in bicicletta tra le Mercedes dei compagni di squadra. Quando loro facevano a gara per concedersi ai giornalisti e finire in tv, lui non rilasciava intervista e non concedeva autografi. Pagliari sembrava una promessa di bello e di pulito in un momento, gli anni Settanta e il loro clima di piombo, che di bello e di pulito prometteva proprio poco. Incarnava l’idea che potesse esistere un calcio senza divi e senza divismo. Un giocatore idoli dei tifosi, i quali gli chiesero a gran voce di segnare alla Juventus (anche se la rivalità con i bianconeri non era così accesa), sotto l’appartamento a Fiesole che condivideva con Ezio Sella. Quella rete arrivò: il 29 aprile 1979, a Torino, la Vecchia Signora stava vincendo grazie al gol di Vinicio Verza. Sembrava non esserci partita, troppo più forte la Juve rispetto alla piccola Fiorentina operaia di Paolo Carosi. Finché, al 17 della ripresa, Sella mise di testa al centro dell’area una palla morbida di Antognoni: Pagliari si buttò come un ossesso verso la sfera, incuneandosi tra Scirea e il gigantesco Brio, colpendola prima che potesse intervenire Zoff, rete! Pagliari, ancora incredulo, corse a braccia aperte fino alla bandierina, seguito a ruota da tutta la squadra a festeggiare l’1-1 che non cambierà più. L’attaccante che non segnava mai (sei gol nei campionati in maglia gigliata) aveva segnato nella gara in cui sembrava impossibile segnare. “Lode a te, Dino Pagliari”, cantavano i tifosi viola.