[…] Il mio racconto, quello che provo e quello che ho vissuto, a riguardo Salernitana-Roma nasce quindi molto prima di quanto potreste immaginare. In fondo ero solo un bambino e tutti quelli che erano i miei ricordi di calcio allora non potevano che essere legati al lavoro ed ai luoghi di lavoro di Ago. […]
Ricordo che una delle prime volte che accompagnai Agostino per gli allenamenti mentre stavamo ritornando in auto verso la casa dei nonni che si era ingrandita per accoglierci tutti, presi coraggio e gli chiesi: «Papà perchè sei voluto venire a Salerno?». Gracchiando con la voce nasale che si trovava mi rispose che c’era l’essenziale: vivere davanti al mare gli piaceva, potevamo andare in barca a pescare e che poi quel campo misto d’erba e terra gli ricordava il primo rettangolo di gioco, quello dell’Omi a Tor Marancia. Non avevo dieci anni e lui mi disse rettangolo di gioco.
Agostino era così: talmente fuori dal tempo delle cose da diventare serissimo quando parlava con un bambino, usando poi non curanza quando c’era da parlare fra adulti. Sembrava arroganza mentre era solo imbarazzo. Riveder “lavorare” Agostino quindi, in un campo ed in una realtà molto diversa da quelle che avevo percepito in precedenza, fu sicuramente la prima cosa che mi colpì. […]
Agostino ha dato il massimo ovunque abbia lavorato cercando di essere un professionista in ogni fase della sua carriera. Ma a Roma e Salerno credo che per lui sia stato diverso. E questo è più o meno tutto quello che so della partita di domenica…
(Il Romanista – L. Di Bartolomei)
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