IL GIORNALE (Riccardo Signori) […] a Natale, nella letterina chiedeva…?
“Sempre un pallone di cuoio e le scarpe da calcio. Arrivavano sempre. E quando ho capito che babbo Natale era papà, andavo a frugare, qualche giomo prima, per vedere se i regali c’erano. Ma lui era bravo a nasconderli. Non vedevo l’ora di usarli”.
Mamma Marianna e papà Aldo erano d’accordo sul suo futuro?
“Mamma è sempre stata la più severa, comandava lei. E si arrabbiò molto quando andai via: papà aveva fatto tutto di nascosto. Mi ha sempre appoggiato, voleva fare il calciatore da giovane. E quand’ero piccolo diceva: diventerà un giocatore”.
Quindi contenti, ma con magone?
“Certo, andare via così giovane è stato difficile: per me e per loro. A settembre compii 14 anni, a novembre ero a Bologna: non che fosse così lontano, ma allora le distanze erano diverse. I genitori lavoravano […]”.
Da bambino quale è stata la peggior marachella?
“Quando rubavo 200-300 lire alla mamma per comprare le figurine dei calciatori: costavano 10 lire al pacchetto. Niente di più”.
Sarebbe d’accordo anche il parroco della chiesa di lesi?
“Il parroco che si chiamava don Roberto, guarda il caso, diventava matto perché usavamo il sagrato per le partite di pallone, mettendo le porte e ogni tanto qualche pallone sbatteva ovunque. Alla fine anche lui si è rassegnato”.
[…] Con lei stava per azzeccarci il Milan. Invece?
“Fu una storia strana. I club mandavano in giro i talent scout. Una società di Jesi organizzò un provino per i ragazzi della zona. Il Milan inviò Tessari, l’uomo di fiducia di Liedholm. Mi apprezzò, e il Milan spedì una richiesta per farmi arrivare a Milanello. Però indirizzò al Real Jesi, che aveva organizzato il provino. E non all’Aurora, la mia società. Nessuno ci disse niente. Qualche settimana più tardi andai a Bologna”.
Un peccato? “Una grande occasione mancata. Era una squadra di vertice. Ed io ho vissuto la carriera in club, Bologna, Sampdoria, Lazio, non di vertice. Ma se le cose devono accadere, accadono. A Genova ho avuto la fortuna di incontrare Mantovani: stare sotto di lui tanti anni è valso come vincere in club titolati. Solo chi lo ha conosciuto bene può dire quello che era”.
Appunto, com’era?
“Fantastico! Avanti 30-40 anni rispetto ad altri. Capiva tutto in anticipo, aveva rispetto, sapeva trattare le persone. Ha creato qualcosa di irripetibile. Quella Samp è irripetibile e solo lui ci poteva riuscire. Mi ha preso a 17 anni e ha insegnato tanto: a quell’età fai errori ma sono cresciuto bene”.
Pentito di qualche errore? Si è mai dato del pirla, come direbbe Mourinho?
“Me lo sono dato quando non ho chiesto scusa a Bearzot nel 1984 e quando ho detto no a Sacchi, che non volevo tornare in nazionale nel 1994. Alla fine ti penti sempre”.
[…] Quattro persone alle quali sarà sempre legato?
“Mantovani in assoluto, la persona più importante per tanti giovani della Samp; i 3-4 allenatori che ho avuto al Bologna. Era il momento più difficile per un ragazzo, mi hanno aiutato ad esprimermi e insegnato la vita: Burgnich che mi ha lanciato, Perani e Fogli che mi hanno preso, Bonini il meno conosciuto; infine penso ai miei compagni della Samp” […]