Marco Tardelli ha ricordato il Mundial ’82 a La Gazzetta del Mezzogiorno, di seguito alcuni passaggi …
Sulla Finale …
«Una partita incredibile nella tranquillità con cui fu interpretata dalla squadra. Eravamo consapevoli della nostra forza. Anche dopo il rigore sbagliato non ci siamo disuniti»
Da dove veniva questa forza granitica?
«Da quello che avevamo costruito nelle sfide precedenti. Siamo arrivati battendo le squadre migliori del campionato e del mondo intero»
Su Paolo Rossi …
«Veniva da un problema fisico, non aveva giocato per due anni partite ufficiali. E aveva anche problemi legate al timore della sua tenuta. Dopo due anni non avrebbe mai pensato di recuperare in maniera così brillante […] Bastava guardarsi negli occhi. Durante gli allenamenti c’era chi spronava Rossi in maniera simpatica o duramente, ma con grande animo di gruppo»
Bearzot?
«Determinante. È l’uomo che ci ha messo la faccia sempre, senza farci sentire la pesantezza del clima di conflitti che avevamo con i media. Alla fine quando abbiamo vinto, con un gesto straordinario, si è tirato indietro: ci ha lasciato la ribalta della festa»
Da dove nasceva l’ostilità di stampa e tv?
«Dal dialogo duro con Bearzot. Era un allenatore diverso, con grande cultura. Combatteva i giornalisti con risposte tranquille e questo li faceva infuriare…»
Il girone iniziale fu vissuto con apprensione. Si temeva di tornare a casa.
«Secondo me il problema era che avemmo un cammino inverso rispetto all’Argentina ’78. Lì facemmo bene le qualificazioni e poi calammo. In Spagna, fu fatta una preparazione diversa, che ci creò difficoltà iniziali, per poi vedere la squadra crescere sul piano dell’intensità gara dopo gara»
Le prime tre partite non furono da incorniciare.
«Non esprimemmo un gran gioco, ma non eravamo in difficoltà. Con la Polonia prendemmo due traverse, fummo sfortunati. Con il Perù anche. Il Camerun ci fece paura, tememmo qualcosa, ma alla fine trovammo la nostra dimensione»
Della tournée resta anche l’epica dell’albergo madrileno…
«C’erano le stanze di quelli che stavano sempre svegli – come Oriali o Conti – e la camera di Zoff e Scirea: la chiamavamo la Svizzera, era quella più silenziosa»
La notte dopo la vittoria…
«Dino e Gaetano rimasero in camera, noi eravamo nei corridoi a festeggiare. E ci domandavamo: “Adesso cosa si può fare ancora di bello?”. Pensavamo già al futuro prossimo azzurro».
Lei è ricordato per “l’urlo Mundial”
«Difficile raccontarlo. Una sensazione che puoi solo provare… Con un passaggio di sinistra, Scirea mi ha servito un gran pallone e l’ho buttata dentro. Una gioia intensa, di un intero Paese»
La Gazzetta del Mezzogiorno – Michele De Feudis