GLIEROIDELCALCIO.COM (Matteo Vincenzi) –
Dalla stagione 2022-23 sarà vietato l’utilizzo delle divise da gioco di colore verde per i calciatori di movimento
È l’ultima “bizzarria” della Lega di Serie A contenuta nel nuovo regolamento per maglie, calzoncini e calzettoni che entrerà in vigore il prossimo anno. Chi pensasse ad uno scherzo è sufficiente che vada a leggersi il comma 1 dell’articolo 1 (“Colori”). Una decisione che non ha mancato di suscitare polemiche e che gli estensori di tale modifica hanno motivato aggrappandosi al fatto che le maglie verdi si confonderebbero non solo con l’erba, ma anche con i tabelloni pubblicitari a bordo campo. La domanda sorge spontanea: come farà il Sassuolo neroverde o il Venezia, risalito in Serie A, ad “attenuare” il verde? Alla fine una soluzione si troverà, ma resta il fatto che in nome delle esigenze televisive – perché alla fine di quello si tratta – viene sistematicamente smantellato ogni residuo di calcio tradizionale che ancora resisteva. Una stravaganza non richiesta che ci catapulta inevitabilmente in pieni anni ’80, quando l’Avellino – unico club della massima serie di verde vestito – era diventata una presenza fissa del campionato più importante del mondo.
Dieci dignitosissime stagioni consecutive – dal 1978-79 al 1987-88 – in cui i lupi dell’Irpinia alternano momenti di entusiasmo a soffertissime salvezze e che dal punto di vista sportivo hanno dato tanto alla città e alla provincia campana ferita dalla tragedia del terremoto. Proprio in quegli anni nasce la cosiddetta “Legge del Partenio”, dove i biancoverdi si tolgono notevoli soddisfazioni battendo squadre del calibro di Juventus, Milan, Inter e Roma. Un campo insidioso, talvolta al limite dell’impraticabile, ma dove sono state scritte pagine importanti del passato più iconico e glorioso del calcio.
Nella stagione 1986-87 la compagine irpina allenata da Luís Vinício chiude addirittura il campionato nella parte sinistra della classifica, a pochi punti da una clamorosa qualificazione in Uefa. In quella stessa estate ricordo il singolare rituale apotropaico di un gruppo di ultras della curva milanista conosciuti in vacanza sulla riviera romagnola, che ogni sera dal balcone dell’albergo Leongabriel scandivano ad alta voce: «Aaavellino coppa Uefa, Aaavellino coppa Uefa, A-vellino!». Mi spiegarono che oltre all’omaggio agli uomini in verde, quel coro era un modo per esorcizzare l’onta delle quattro “pappine” che ci beccammo all’esordio del torneo 1983-84, giusto per evocare quanto appuntarono non troppo garbatamente i tifosi-gemelli a Canà dopo il 4 a 0 rimediato dalla Longobarda al San Paolo. Un coro che qualche anno dopo rispolverai assieme ai compagni di squadra dell’Under 18. Lo si intonava sotto la doccia per celebrare le vittorie. E mister Stefano Bagnoli, che per noi sbarbatelli era un po’ un fratello maggiore perché di ognuno sapeva quale tasto toccare per spingerlo verso il meglio, dopo lo scetticismo iniziale per performance canterine non propriamente da Ugola d’oro, alla fine si lasciava contagiare unendosi alla gazzarra post-partita. A proposito: la seconda maglia di quel Villimpenta, che spesso diventava la prima, era di colore verde. Oggi l’Avellino sgomita nei campi della Serie C, ma se un giorno dovesse ritornare in A sarebbe costretto a rinunciare al proprio colore identitario e distintivo. Suvvia, più che stramberie certe scelte della Lega appaiono come forme “violenza” verso la storia dei club, che da che mondo è mondo sono indissolubilmente legati ai propri colori sociali.